«Obama non ha risolto alcun problema: ci sarà un altro collasso finanziario, peggio di quello del 2008». A sentenziare quanto appena riportato non è stato il sottoscritto o qualche analista votato al pessimismo, bensì un ufficio di controllo del governo Usa nel suo rapporto trimestrale reso noto domenica scorsa al Congresso.



Per Neil Barofsky, ispettore generale del trouble asset relief problem, meglio conosciuto come Tarp, infatti la strategia del governo per rispondere alla crisi finanziaria «non ha per nulla offerto le risposte necessarie e, anzi, in alcuni casi ha fatto in modo che i problemi già presenti diventassero più grandi. Infatti, se anche il Tarp ha salvato il nostro sistema finanziario da un caduta certa dal dirupo della crisi due anni fa, senza riforme profonde e di sistema, noi stiamo continuando a percorrere la stessa pericolosa strada di montagna, ma questa volta guidando una macchina più potente e veloce».



Questo perché, secondo Barofsky, «da quando il Congresso ha votato per il piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari, le rimanenti istituzioni finanziarie hanno continuato a crescere, godendo del denaro pubblico e non hanno affatto smesso con la pratica degli stipendi d’oro e dei bonus. I salvataggi, nei fatti, sono stati un incentivo al rischio: poiché è passato in maniera roboante il principio del “too big to fail”, ognuno è certo che anche se le cose andranno male, il governo accorrerà in suo soccorso».

Ma Barofsky va oltre. Il suo ufficio sta investigando su un’ottantina di casi di possibile frode ai danni del Tarp, compresi evasione fiscale, insider trading, corruzione pubblica, false documentazioni e prestiti sui mutui. In un caso, alcuni manager di un fondo privato avrebbero comprato il portafoglio assets di un altro fondo in difficoltà a prezzo di sconto salvo poi rivenderle al governo al prezzo triplicato nel contesto del programma Tarp: guarda caso, all’atto dell’acquisto una solerte agenzia di rating aveva dato il downgrade a quel bond.



«Questi casi – teme Barofsky – sono molti più di quelli che siamo investigando e temo che, viste i limiti delle nostre forze investigative e l’enormità della cifra messa in campo e il numero di attori, in parecchi la faranno franca frodando lo Stato dopo aver frodato investitori e azionisti». Tutto come prima, se non peggio. Inoltre, il report di Barofsky mette in guardia dal ruolo sempre maggiore dello Stato nel mercato immobiliare, prodromo a suo dire della nascita di una nuova bolla nel real estate visto che nell’ultimo anno il governo ha sperso diverse centinaia di miliardi di dollari per cercare di rivitalizzare il settore.

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A oggi, il 90% dei mutui sulla casa è controllato da Fannie Mae, Freddie Mac e la Federal Housing Administration. Non è un caso, per esempio, che Goldman Sachs sia infatti ancora in trattative per comprare milioni di dollari di crediti fiscali proprio dal gigante dei mutui controllato dal governo Fannie Mae, anche se l’operazione si scontra con il potenziale semaforo rosso del Tesoro. L’amministrazione Obama, infatti, teme gli effetti di un accordo che in sostanza ridurrebbe il carico fiscale di Goldman Sachs: i dettagli ancora non sono chiari ma alcuni a Wall Street ritengono che la banca potrebbe comprare fino a un miliardo di dollari di crediti fiscali da Fannie.

 

Da quando ha assunto il controllo di Fannie Mae, il dipartimento del Tesoro ne ha acquistato 45,9 miliardi di dollari in azioni privilegiate, dando quindi ai contribuenti una quota sostanziale nella proprietà. I crediti fiscali sono stati un incentivo federale per incoraggiare gli investimenti per costruire abitazioni per famiglie a basso reddito: questi crediti tendenzialmente hanno una durata di 10 anni e sono attraenti per società che sanno di poter produrre utili in quel lasso di tempo. Come Goldman, appunto. La Fed ha speso qualcosa come 1,2 trilioni di dollari per abbassare i tassi sui mutui e milioni di proprietari hanno rinegoziato i loro contratti a tassi più vantaggiosi.

 

«Il governo – scrive Barofsky – è entrato a piedi uniti nei campi lasciati liberi dai privati. Ma se lo Stato rimpiazza il ruolo del mercato senza trovare soluzioni ai problemi di fondo che esistono nel sistema, questo rischia di portare a un aumento artificiale dei prezzi delle case già nei prossimi anni. Lo Stato, in molti casi, non ha semplicemente dato supporto al mercato immobiliare, lo è diventato e questo porta i cittadini a scrollarsi dalle spalle i rischi e le responsabilità che un tempo doveva accollarsi nei confronti del mercato».

 

A dare man forte alla denuncia di Barofsky ci hanno pensato parecchi analisti del settore, spaventati dall’aumento dei prezzi delle case in vendita già registrato in questi mesi. Responsabilità, a loro dire, proprio della politica di finanziamento statale a pioggia che ha abbasso i tassi dei mutui e gonfiato la domanda. Una volta che l’effetto placebo dello Stato sarà terminato – e non potrà certo durare ancora molto, visto il deficit federale – il mercato si ritroverà vulnerabile e potrebbe subire una brusca inversione di tendenza che non riuscirà a gestire.

 

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Daniel Alpert, managing partner della Westwood Capital, banca specializzata in mutui immobiliari, è molto chiaro al riguardo: «Entro la primavera i prezzi delle case, a livello nazionale, crolleranno di un 10% netto». Anche perché si è immesso talmente tanto denaro nel sistema, intervenendo in prima persona con garanzie e tutele mai viste, che i programmi per evitare i pignoramenti – come quello da 75 miliardi voluto proprio da Obama appena insediatosi – hanno visto solo spesi poco meno di 20 milioni effettivi. Troppe le clausole poste dal programma Making Home Affordable, visto che solo 66.500 sottoscrittori, pari 7% di tutti coloro che hanno aderito, hanno completato il processo di rifinanziamento entro il termine di dicembre scorso.

 

Quale ricetta offre Barofsky? Semplice: riformare carrozzoni come Fannie Mae e Freddie Mac e creare un ente di controllo e supervisione sui mutui erogati dalle banche. Altrimenti, una crisi ben peggiore della precedente, è già alle porte. Con la benedizione del governo Usa che ne sta ponendo seriamente le basi.