Ma dove sta la crisi? La Santabarbara sta per esplodere dalle parti di Madrid, a leggere la serata di passione della Borsa. Per la prima volta, nonostante gli ottimi risultati del Santander di don Emilio Botin, le convulsioni arrivano dal mondo bancario, zavorrato da incagli e sofferenze del mercato immobiliare.

Fino a ieri, a raddrizzare la baracca, ci stava un settore pubblico in buona salute. Ma la strada del deficit è ripida: il debito pubblico è schizzato dal 54 al 74 per cento in 12 mesi. Niente di paragonabile con i numeri della vecchia, malandata Italia che da un quarto di secolo veleggia ben oltre quota 100 per cento. Ma in questi casi quel che conta è la velocità della caduta. Ma dove sta l’epicentro della crisi?



Ad Atene, of course. Non solo perché, in questo caso, il debito rischia di sprofondare a quota 135 per cento su Pil salvo interventi drastici, assai più draconiani di quelli pur benedetti dalla Bce (congelamento dei salari pubblici, inasprimento delle condizioni pensionistiche), più per offrire un sostegno psicologico all’azione del governo che per reale convinzione. Difficile, senza un piano di Eurolandia, centrare l’obiettivo del rientro dal 12,7 per cento di deficit sul Pil al 3 per cento previsto dalle regole di Maastricht in soli due anni.



Anzi, impossibile, perché il risanamento impone sviluppo che, a sua volta, richiede investimenti garantiti da capitali. Merce rara, anzi rarissima ad Atene e che l’Europa, su indicazione tedesca, non intende sacrificare sulle vie del Peloponneso. Non resta che la via di Pechino, si sono detti in Grecia offrendo un cospicuo pacchetto di hellenic bonds alla Cina attraverso la solita Goldman Sachs.

Purtroppo la Cina è in frenata: il Drago, che teme gli effetti del surriscaldamento dell’economia, mira a proteggere la sua crescita senza toppi rischi per arrivare in una condizione ben governabile agli appuntamenti congressuali del 2012. Non ha tempo né voglia, perciò, per aumentare i propri impegni in aree così lontane e, semmai, così vicine agli interessi dell’Occidente.



Tocca a Londra e a Wall Street, insomma, disinnescare l’ennesima bomba che rischia di far saltare l’edificio della finanza globale: la Cina è troppo impegnata a “difendersi” dalle provocazioni in arrivo da Google o da Taiwan per stendere una rete protettiva fatta di yuan. E New York, invece, prende atto che ancora una volta la parola ripresa è stata pronunciata con troppo anticipo: posti di lavoro e consumi devono ancora attendere.

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La crisi, forse, stavolta sta per esplodere dalle parti di Bruxelles. Certo, Jean-Claude Trichet ha sottolineato che Eurolandia, comunità a 16 nazioni, vanta un rapporto deficit/Pil largamente migliore di quello Usa o giapponese. Ma ci vuole la fantasia di un banchiere d’eccellenza per fingere una visione d’assieme che comprenda Francoforte e Atene, Lisbona e Parigi. Tutti così diversi, ma tutti così eguali nelle reazioni quando si tratta di difendere il proprio particolare.

 

In tempi come questi non resta che ridere, amaramente, sulle traversie dei Pigs: Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna per l’appunto con un’importante novità. La solita, derelitta Italia è stata sostituita dalla patria di San Patrizio. Ma non facciamoci illusioni: il titolo più trattato nel mercato privato dei cds, gli swaps che misurano il rischio fallimento di un Paese, resta quello italiano.

 

Insomma, i possibili focolai dell’incendio che può rimettere a soqquadro la stabilità dei mercati, dopo un anno di ripresa dell’economia di carta, sono tanti. E a render più incerta la situazione è la diversità delle situazioni di partenza che caratterizza la congiuntura attuale, a tutto “Luv” come l’ha definita Kenneth Rogoff.

 

Che significa? Nel mondo si confrontano una situazione europea fatta ad L (discesa rapida seguita da una fase stagnante), il possibile rimbalzo ad U degli Stati Uniti (caduta, fase di stagnazione, ripresa in tempi rapidi), la V cinese (ripartenza già in atto dopo la caduta). L’ideale sarebbe far convergere le diverse voci in un ideale esperanto. Il rischio è di farsi travolgere da una Babele di genti che non si capiscono. Meglio trovare al più presto un buon traduttore per evitare brutte sorprese.