Questo articolo è inutile. Tranquilli, non si tratta di un crollo dell’autostima, ma di un dato di fatto: i grafici e dati che lo corredano parlano da soli. Non servono confezioni regalo né particolari orpelli lessicali per capire che la crisi greca non è altro che un’enorme bufala orchestrata da Germania e Francia per modellare la nuova Ue post-crisi e post-Trattato di Lisbona a loro piacimento.
Ovvero, tagliare le gambe alla Gran Bretagna minandone il ruolo di leader finanziario dell’Unione e ponendo sotto scacco i cosiddetti Pigs più l’Irlanda: come dire, siete tutti a rischio default e solo noi possiamo decidere deroghe alle norme comunitarie per salvarvi se sarà necessario. Scegliete: o con noi, o contro di noi. La Grecia, nemmeno a dirlo, ha scelto: si è trasformata da vulcanico oppositore di Berlino, con tanto di insulti e richieste di risarcimento per l’occupazione nazista, a scendiletto di tutti i desiderata di frau Merkel, dall’inutile quanto controproducente regolamentazione sul naked short dei cds sovrani all’istituzione del Fondo Monetario Europeo.
Il grafico che vedete qui sotto illustra l’andamento dei cds sul debito sovrano greco negli ultimi due anni: e ci dice molte cose.
(clicca qui per ingrandire il grafico)
Primo, un’impennata nel valore in punti base si era già registrata tra ottobre 2008 e marzo 2009, periodo in cui nessuno parlava di Grecia in default, di rischio per l’eurozona, di speculatori in azione, di cds come nuova arma di distruzione di massa. Nessuno, né Parigi, né Berlino, né la Bce, né la Commissione Europea. E, guarda caso, nemmeno le società di rating, quelle che da un mese e mezzo hanno messo in croce Atene e le sue banche con una serie infinita di downgrade, dando il via alla danza macabra dei cds. I quali, giova ricordarlo, sono strumenti di difesa, di hedging, non di speculazione fine a se stessa.
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Cosa sia l’hedging, una volta per tutte, è facile a spiegarsi: se io ho azioni di una linea aerea, tenderò a diversificare il portafoglio d’investimento prendendo anche azioni di una grande società – ad esempio – di noleggio autovetture. In caso di un grave incidente aereo, infatti, il crollo delle azioni della linea aerea potrebbe essere in parte tamponato dall’aumento di quelle della catena di autonoleggio, visto che psicologicamente la gente avrà per un certo periodo paura di volare se non strettamente necessario.
È banale, elementare ma è così: i cds servono a coprirsi dal rischio di insolvenza, in questo caso i cds sui bond greci coprono dal rischio di default sul debito dello Stato ellenico. Oppure coprono un investitore che abbia partecipazioni azionarie in aziende greche. Attualmente i cds greci sul debito sono a 285 punti base, i più alti dopo quelli della tecnicamente fallita Islanda: tutta colpa del vecchio governo e dei suoi maneggi con Goldman Sachs per coprire i buchi attraverso i currency swaps? Solo Papandreou ci crede. E vuole farlo credere anche a noi.
Fino a settembre 2009, infatti, il livello dei cds era attorno ai 100 punti base, l’attuale valore della Spagna: poi, l’impennata. Graduale, certo, ma sempre seria. Da ottobre fino a gennaio di quest’anno, data dello scoppio in grande stile della crisi, il valore dei cds è cresciuto costantemente: possibile che nessuno se ne sia accorto? Dov’erano Fitch e soci? Dov’era l’Unione Europea con le sue procedure di infrazione e i suoi warning sul debito? E cosa diceva Papandreou ai suoi connazionali? Che bisognava tirare la cinghia? No, a novembre, quando si viaggiava ormai verso i 220 punti base di cds sul debito, il governo socialista ellenico ha tentato l’ennesima sortita con le banche d’affari, Goldman Sachs e JpMorgan, per gettare ancora fumo negli occhi al mondo.
Ma gli investitori, hedge funds in testa, avevano capito persino i trucchetti utilizzati da Lehman Brothers per far sparire 50 miliardi di dollari di bad assets – noi lo scopriamo dalle cronache di oggi -, figuriamoci se non sapevano che la pentola greca stava ormai per far saltare il coperchio. Attenzione, poi, a quanto accaduto quando la crisi è divenuta ufficiale e si è cominciato a parlare di salvataggio in sede europea: gli hedge funds hanno smobilitato tutte le posizioni, ma la curva ha cominciato a scendere dopo e anche oggi, con Atene ormai certa del bail out, i cds restano attorno a quota 300.
Chi ha continuato a comprare agli inizi di febbraio fino a metà mese, quando il grafico ci mostra un picco verso l’alto prima della discesa attuale? Le banche tedesche e francesi. Ma non solo. Insomma, la speculazione ha fatto il suo lavoro: ha sbugiardato i conti ellenici sapendo che erano truccati, ha fatto il suo bel giro in giostra e poi ha scaricato tenendosi i profitti. Alti. Qualcun’altro, però, mentre parlava di salvataggio comprava cds, tutti soggetti istituzionali i cui nomi principali sono Bnp Paribas, Deutsche Bank e Commerzbank.
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Questo, però, Nicolas Sarkozy e frau Merkel non lo vogliono dire. Il perché è presto detto: la Germania, così come alcune banche francesi, sono pesantemente esposte in Grecia e avendo già problemi – ad esempio Unicredit – con le sue succursali austriache per l’esposizione ad Est, occorreva correre ai ripari mentre i governi tergiversavano creando “volatilità” sul cds e lasciando operare al meglio gli istituti. Un giorno si parla di salvataggio sicuro e il cds scende, si aspetta un po’ e si fanno filtrare indiscrezioni rispetto al Bundestag nervoso verso ogni ipotesi di bail out e il cds sale: ci fosse un indice Vix per la politica, nelle ultime due settimane sarebbe schizzato oltre 80 punti. Purtroppo non c’è e i politici possono continuare a fare e dire ciò che vogliono, tanto chi sa nulla dei cds e del loro andamento? Voi, invece, adesso lo sapete grazie al grafico sottostante.
(clicca qui per ingrandire il grafico – nella colonna a destra i valori dei singoli paesi)
E sapete che la tanto vituperata Gran Bretagna, sul cui possibile default parleremo nella puntata di domani con altre belle rivelazioni sulle strategie di “diversificazione informativa” attuate da Berlino, ha un cds a 72 punti base, questo avendo stampato moneta da immettere nel sistema per 250 miliardi di sterline con il programma di quantitative easing della Bank of England: il debito al 130% è certamente preoccupante ma il dato che maggiormente “innervosisce” i bond inglesi è l’inflazione, non certo il rischio di rifinanziare il debito.
Quello ce l’ha la Spagna che traffica in euro, l’indipendenza valutaria di Londra è la sua scialuppa di salvataggio. La Spagna è in crisi ma il suo 101 non è poi così distante dal 97,6 dell’Italia, la quale paga il cronico problema del debito pubblico alle stelle, ma rispetto agli amici iberici vanta una certa considerazione sui mercati: non perché siamo bravi ma perché quel debito ce lo abbiamo da trent’anni e sappiamo gestirlo, più o meno. Così, almeno, pensano anche le società di rating. Speriamo continuino a farlo. Ma non è detto, in questo momento.
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Gli altri dati potete vederli da voi nel grafico precedente, dopo la Gran Bretagna c’è una sorta di stacco che ci porta all’Austria attestata a 54,5: poco, direte voi, ma per un paese così piccolo è tantissimo e sta a dimostrare che il rischio di default sull’esposizione a Est – paesi baltici, Ucraina ma anche Repubblica Ceca, Bulgaria e Romania – è molto probabile per gli istituti di quel paese, il più importante dei quali è una sussidiaria tedesca come già abbiamo ricordato.
Guardate, nella prossima puntata, il cds sussidiario di Unicredit e capirete da soli. La media dei punti base nella cosiddetta eurozona è di 87,8, questo spiega perché si comincia a parlare di rischio di default generalizzato per l’Ue. E questo spiega la fuga in avanti di Francia e Germania, le quali hanno capito il rischio e vogliono dar vita il prima possibile a un’Europa a due velocità di cui possono gestire la sala comando: il Fondo Monetario Europeo, di fatto, servirà ad attutire il tonfo che Pigs più Irlanda stanno per fare ma, come dicono al Bundesbank, potrebbe essere la pietra tombale della politica di surplus tedesco.
Berlino chiede severità fiscale agli altri, ma rischia di dover diventare un po’ “mediterranea” se non vuole veder saltare l’euro e, quindi, anche il proprio primato: svalutando o, addirittura, venendo cacciati e agganciati a una sorta di peg valutario, noi italiani e gli spagnoli spaccheremmo tutto a livello di export, la Germania rischierebbe il fallimento. Ecco cosa sottende la crisi greca, il “grasso, grosso imbroglio greco” che Germania e Francia stanno orchestrando: i cds non sono la Bibbia e nemmeno la cartina di tornasole perfetta. Di solito, però, non sbagliano.