Le banche, dicevamo ieri nella prima parte di questa inchiesta. Che ruolo hanno e hanno avuto nel grosso, grasso imbroglio greco e quale continuano ad avere nell’operazione franco-tedesca di ridefinizione dei profili della nuova Europa? Vediamo.

I dati che vedete riportati nei grafici (nelle tabelle a destra delle curve) sono relativi ai cds degli istituti bancari dell’eurozona e una cosa dovrebbe subito balzare agli occhi. Anzi, due. Per quanto riguarda le banche tedesche e francesi – ma anche le nostre Unicredit e Intesa San Paolo – le brutte notizie in termini di punti base arrivano dalle sussidisarie, come scritto nella precedente puntata: ovvero, filiali estere particolarmente esposte su mercati a rischio. Eppure continuano a dirci che va tutto benissimo.



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Secondo, la banca formalmente e fattivamente più sicura al mondo, oggi come oggi, è britannica Hsbc, con 27,0 punti base contro gli oltre 50-60 delle grandi sorelle continentali (le banche segnalate a punti base 0 sono praticamente degli sportelli di provincia nel grande marasma della crisi). Certo, il solone del caso ci farà notare che il grosso del business di Hsbc è nel Far East, Asia e Australia soprattutto, ma se la casa madre soffre, come stanno dicendoci da giorni con previsioni di tracollo da Terzo Mondo per l’Inghilterra, a pagare sono tutte le divisioni, non solo le filiali di Croydon e dintorni. 



 

 

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Perché questa digressione? Semplice, perché il terrorismo anti-britannico messo in circolo in questo periodo è figlio di una sola ragione, che non è certo il debito pubblico al 13%: gli hedge funds, ovunque essi siano, stanno scommettendo contro l’euro, ovvero contro l’asse franco-tedesco. E non parliamo solo dei grossi calibri di Wall Street ma proprio di tutti: una grande società britannica che opera sui Cfd, contratti per differenza sul monetario, nonostante viva all’80% di clientela retail, ha comunque un buon 20% di investitori in fondi: tutti, nessuno escluso, stanno scommettendo come pazzi contro l’euro. E questo, a Londra come a New York, vale per tutti.

 

Speculazione anti-europea? No, realismo. Finché l’Ue non avrà un’armonizzazione fiscale e un regime economico che non vada a due, tre velocità, qualsiasi crisi del debito – ormai una costante tra le grandi potenze, basti guardare l’America di Obama – porterà a una valutazione di rischio da parte di chi vuole coprirsi: e l’Europa, senza una indipendenza valutaria, senza armonizzazione, con paesi di fatto partner e con la stessa moneta ma con dati macro che sono in molti casi simili a Venere e Marte, diviene il bersaglio privilegiato. A ragione, dal punto di vista del mercato.

 

Ecco, quindi, che casualmente giovedì scorso la sede centrale di Unicredit Group in Germania pubblica un outlook in cui, di fatto, avverte gli investitori di shortare la sterlina poiché, a loro modo di vedere, la Gran Bretagna sarà la prossima Grecia. Strano, Morgan Stanley un outlook simile lo aveva reso noto e pubblicato lo scorso dicembre, prevedendo prima di qualsiasi sondaggista la quasi certezza di un hung parliament alle elezioni di maggio in Gran Bretagna, quindi senza una maggioranza qualificata o peggio con il rischio di un governo Brown-bis: parliamo di dicembre, quando i Tories erano avanti di dieci punti percentuali, non di quattro come oggi.

 

Unicredit, invece, dalla Germania lancia strali solo oggi. Strano timing. D’altronde Unicredit è il secondo gruppo bancario europeo, quindi va ascoltato. E questa brillante analisi l’ha affidata, facendogli mettere la faccia, a Kornelius Purps, capo dei suoi analisti. Il quale, interpellato dal Daily Telegraph, ha così sentenziato: «Sto convincendomi che la Gran Bretagna sarà la prossima nazione bersagliata dagli investitori. Il suo rating AAA è a forte rischio e con un deficit al 13% sul Pil, i mercati cominciano a non essere troppo sereni. Inoltre bisogna contare il fatto che fino alle elezioni di maggio il governo sarà praticamente inattivo, quindi la situazione non può che peggiorare. Servono tagli salariali pesanti per il settore della pubblica amministrazione ma nessuno sta parlando di questo in campagna elettorale: lo spread sui titoli, a mio modo di vedere crescerà di 30-50 punti base».

 

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Che Nostradamus, il nostro Purps. Già ora il premio pagato sui bonds è del 4,14 contro il 3,94 italiano, il 3,48 francese e il 3,19 dei bund tedeschi. Peccato che se c’è il rischio di hung parliament è proprio perché i Conservatori di David Cameron parlano da settimane, in tutte le salse, di tagli drastici alla spesa pubblica: forse in Germania, nelle mazzette dei giornali, non arrivano quelli britannici. Il crollo della sterlina, di fatto, c’è stato solo in due occasioni: il sondaggio del Sunday Times di due tre domeniche fa che ufficializzava l’hung parliament e, guarda caso, venerdì, il giorno dopo la sortita di Unicredit Group.

 

Se la sterlina cala, poi, non è un male. O, almeno, non soltanto un male: una voce, l’export – la stessa che sta facendo traballare la Cina in questi giorni, costringendola a rivedere la politica di valutazione dello yuan a seguito di un incremento vorticoso dell’import – vedrebbe la Gran Bretagna in grado concorrere, e alla grande, con i principale “partner” europei. La vocazione finanziaria, poi, le garantirebbe quella credibilità necessaria a far riflettere non una ma almeno cento volte le agenzie di rating prima di dar vita a un downgrade sulla AAA: ma questo, in Germania, fingono di non saperlo.

 

Sanno, invece, di aver paura. E tanta. E anche in Francia. Già, perché in contemporanea con Unicredit Group sapete chi ha lanciato strali allo short contro la sterlina? Ian Stunnard, analista strategico del valutario a Bnp Paribas: ma guarda che combinazione! Per gli amici francesi il pound finirà a 1,31 contro il dollaro e in parità non più tecnica contro l’euro del tanto vituperato Club Med entro l’estate. Wishful thinking, si dice da queste parti. Anche perché Goldman Sachs, gente che di certe cose ne capisce, parla invece nel suo ultimo report di “turbo-charge recovery” per la Gran Bretagna, ovvero una flessione e poi una ripresa a razzo, anche valutaria.

 

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E perché lo fa? Perché ritiene che la svalutazione della sterlina, con un euro così sopravvalutato e un’Europa così debole e divisa, sarà il kickstart per la ripresa: non ditelo però a Unicredit Group in Germania, ci hanno messo tanto a creare il casus belli per allontanare gli sguardi indiscreti degli speculatori shorter sull’euro che potrebbero restarci male. Inoltre, bisognerebbe far notare a chi di dovere che c’è qualcuno, decisamente influente, che invece sta parlando di default generalizzato sul debito dell’eurozona: non è il sottoscritto, povero pennivendolo, bensì Standard&Poor’s nel suo ultimo outlook, certamente non veritiero fino in fondo nei fondamentali ma certamente un segnale a chi di dovere per sapere dove speculare e investire pesantemente al ribasso.

 

Forse a Unicredit in Germania non lo hanno letto. O forse sì e hanno deciso di scendere anche loro in campo nella guerra dei drafts. Per S&P, la necessità dei governi europei di dover chiedere prestiti crescerà «a breve a livelli di picco mai conosciuti fino a ora e la pressione fiscale che questa necessità emergenziale porterà con sé è un fattore che noi guardiamo con interesse». Come dire, attendono di lanciarsi sulla carcassa. Lo dice Kai Stukenbrock, capo analista per l’area euro e lo conferma un gigante come PIMCO che parla a chiare lettere di «esplosione del debito sovrano nell’eurozona come principale e prossima minaccia».

 

Per S&P, ancora, il collasso del credito ha fatto sì che solo quest’anno i governi dell’eurozona saranno costretti a racimolare qualcosa come 1.446 miliardi di euro, come e dove (e a quali condizioni) non si sa. Solo l’Italia, quest’anno, deve rifinanziare il 20% del suo debito, il terzo al mondo dopo Usa e Giappone: avete ancora voglia di credere ai soloni dell’asse renano adesso, mentre i mercati sono pronti a farci letteralmente a pezzi, scegliendo tra noi, Spagna e Portogallo come antipasto, primo o secondo?

 

Capite perché Francia e Germania giocano tanto col caso greco, ora? Capite quali giochi sottendono le noiosissime e formalissime riunioni dei ministri delle Finanze dell’Ue di questi giorni? Capite la reale posta in palio? Capite che l’Italia, se vuole davvero contare, non può continuare a tacere e arrovellarsi solo sulle utenze telefoniche di Minzolini? Lo capite? Meglio che lo facciate o, a breve, ce lo faranno capire altri. E non sarà una bella lezione da dover studiare. Con buona pace di frau Merkel, di Nicolas Sarkozy e della nuova vestale anti-mercatista Papandreou (quello che, odiando il mercato, a novembre dello scorso anno aveva contattato Goldman Sachs per dare un’altra aggiustatina ai conti con un bel currency swap).

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