Anche in questa settimana il caso greco sarà alla ribalta delle cronache. Tre punti critici: (a) a breve termine, Atene ha difficoltà nel rifinanziare il proprio debito pubblico perché il mercato non crede che potrà ripagarlo; (b) a medio, la disciplina di bilancio richiesta per ricostruire la credibilità finanziaria della Grecia implica tagli di spesa pubblica tali da rischiare una sommossa sociale; (c) a lungo termine, l’adozione dell’euro, moneta forte in quanto calibrata sulle prestazioni del modello tedesco ad altissima produttività, è insostenibile in un’economia poco industrializzata e produttiva come quella greca. In settimana, giovedì, dovrà prendere concretezza una soluzione del primo problema, sotto il peso degli altri due, sistemici.



È utile chiarire che Atene ha un’opzione di soluzione catastrofica, ma soluzione: non ripagare il debito, uscire dall’euro, adottando una nuova dracma svalutata. Il vantaggio sarebbe quello di ottenere subito un impulso alla crescita del Pil attraverso competitività valutaria, in particolare un aumento stellare del turismo che è volano economico per il piccolo Paese. Gli svantaggi sarebbero molto pesanti: crisi bancaria interna, rischio di megainflazione, ecc. Ma se Atene riuscisse a tenere sotto controllo l’inflazione, alla fine la mossa porterebbe più benefici che svantaggi nazionali. In particolare, la moneta sarebbe adeguata al tipo di economia, cosa che con l’euro non è.



Il punto: non bisogna sottostimare la possibilità del governo greco di praticare l’opzione estrema. Cosa farebbe la Ue in questo caso? I trattati vietano l’uscita dall’euro, ma non prevedono misure per costringere una nazione a restarvi. Una Grecia supercompetitiva sul piano valutario ridurrebbe i flussi turistici in Italia e Spagna e inonderebbe il mercato europeo con i suoi prodotti. Dovrebbe la Ue reagire mettendo dazi? Atene ha diritto di veto nella Ue. Se fosse tolto salterebbe la Ue stessa. In sintesi, non è possibile far uscire la Grecia dall’euro senza mettere a rischio sia l’euro sia, perfino, la Ue.



Inoltre il sistema bancario europeo, soprattutto tedesco è carico di titoli di debito greci che se andassero in insolvenza produrrebbero una crisi finanziaria nel continente. Ma i trattati impediscono aiuti d’emergenza della Ue, e della Bce, a un Paese nei guai. Le popolazioni delle euro-nazioni più ricche, in particolare quella tedesca, sono ostili all’uso di denari pubblici nazionali per salvare altri. In sintesi: bisogna salvare la Grecia, ma manca il mezzo istituzionale per farlo.

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La soluzione a breve, infatti, sarà informale. Le banche europee più a rischio compreranno i nuovi titoli del debito greco, con una qualche garanzia indiretta dei governi. Ma il problema di un euro che non è sostenibile da economie deboli e poco produttive, con effetto impoverente e di controreazioni sociali, resterà aperto. Il mercato percepirà un rischio crescente di dissoluzione dell’eurozona fino a che non vedrà una soluzione sistemica definitiva. Ma questa richiede la formazione di una vera Unione europea con governo integrato dell’economia. Non tira aria. Ciò spiega il clima di quasi isteria che osservate nei summit europei.

 

Cosa fare? Suggerisco una soluzione pragmatica: congelare il caso greco, calmare le acque senza tentare cose ora impossibili. Poi capire che l’unica soluzione efficace a breve-medio termine è di svalutare l’euro per dare ossigeno (crescita export e del turismo) alle sue nazioni più deboli, accettando un pelo in più di inflazione. È un rischio, ma è il minore nello scenario.

 

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