C’è una discrepanza tra tendenze borsistiche e previsioni sugli andamenti dell’economia reale. Le prime, che il 9 marzo 2009 raggiunsero i minimi, dopo un anno esatto mostrano una crescita media del 70% (in Italia meno) e una direzione verso i picchi di rialzo pre-crisi che implicano un prossimo grande rimbalzo. Le seconde fanno intendere una ripresa lenta sul piano globale esposta a rischi di interruzione. Chi vede meglio?
Al momento sono smentite le analisi di chi dichiarò catastrofica e tomba del capitalismo la crisi 2008-09. Le curve grafiche di recessione e ripresa hanno andamenti non dissimili da quelle precedenti. Normali, entro il ciclo di “recessioni brevi e crescite lunghe” che si osserva nella nuova economia a partire dalla fine degli anni ‘70. In particolare, nonostante gli appelli a riformare il capitalismo, questo si sta riprendendo esattamente come era prima della crisi.
Significa che il capitalismo finanziarizzato non è un’aberrazione, ma un prodotto evoluzionistico del mercato che resiste alla selezione, evidentemente, perché ha dei punti di forza e fornisce più benefici che danni alla maggioranza degli attori economici. Alcuni osservano che si potrebbe trattare solo di inerzia di un modello sbagliato. E per questo insistono nel pretendere amputazioni della libertà economica, definanziarizzazioni e più dirigismo politico per evitare la catastrofe finale. Ma perdono di vista il dato reale di fondo: il sistema capitalistico ha tenuto e tiene.
Ma terrà veramente come anticipano le Borse? I timori di ricaduta in recessione in America dopo la fine delle stimolazioni economiche e monetarie (in autunno) sono tecnicamente razionali. La ripresa dell’Eurozona, ancora alle prese con l’impatto recessivo e ostacolata da modelli statalisti vischiosi, sarà lenta e poca. Lo squilibrio debitorio degli Stati è un pericolo innegabile. Come lo è la fragilità di un sistema bancario che non ha ancora riparato i propri bilanci devastati dalla crisi finanziaria specifica.
Ma le Borse valutano che questi fattori di possibile nuova crisi siano meno potenti di quelli che portano verso la riparazione e la crescita del sistema. Sbagliano o ci vedono giusto? Vedono che il capitalismo in grave crisi tecnica ha mantenuto la propria ideologia in maggioranza nel pianeta, cioè che milioni di operatori e miliardi di attori economici trovano beneficio nel ciclo del capitalismo finanziarizzato globale.
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Tale fenomeno genera la continuità del modello. E, di conseguenza, muove verso l’orizzonte ottimistico una massa di capitali che tende a far superare i problemi di sostenibilità e fattibilità dell’economia tecnica. La profezia si autorealizza perché mobilizza soldi concreti per ottenerne di più. Dovremmo discutere più a fondo sul motore ideologico che spinge l’economia, ma qui va segnalato – la notizia – che quello capitalistico sta girando a pieni giri e che per questo è più probabile che la crescita tornerà robusta, pur in altalena con brevi ricadute.
Tale segnalazione porta a un’altra: lo scenario potrebbe essere rovinato dalla politica populista che, privilegiando risposte alla minoranza pessimista e in ansia del mercato, tende a inceppare con eccessi assistenziali e regolativi il motore ideologico e tecnico della creazione di ricchezza. Quindi pare un buon momento per raccomandare alla politica di produrre fiducia nel capitalismo invece che demonizzarlo. Ne guadagneremmo tutti.