Di fusioni, integrazioni, fidanzamenti, matrimoni nel settore dell’auto si parla grosso modo da una trentina di anni e forse più. I primi accenni risalgono addirittura alla metà degli anni ’70 quando lo choc petrolifero e la crisi che ne seguì fecero capire che qualcosa doveva essere rivisto nel settore delle quattroruote. E’ più o meno di quel periodo la previsione dell’avvocato Agnelli, in quell’occasione in veste di Cassandra, che assicurava: “Nel giro di 20-30 anni non sopravviveranno più di sei grandi produttori in tutto il mondo”.



Non è andata proprio così, però la tendenza è innegabilmente quella indicata dall’allora presidente della Fiat. L’industria dell’auto manifestava già a quei tempi i primi sintomi di una malattia che l’avrebbe accompagnata nei decenni successivi, aggravandosi: l’eccesso di capacità produttiva. Unica cura sensata era (ed è) quella delle integrazioni, degli accorpamenti. E dunque ecco spiegate tutte le marce nuziali che si sono intonate sempre più frequentemente.



L’ultima volta l’organo ha suonato pochi giorni fa, per festeggiare l’intesa fra la tedesca Daimler e la francese Renault, che a sua volta controlla la giapponese Nissan. Per la verità non si tratta di un vero e proprio matrimonio, quanto piuttosto di una convivenza, una scelta di andare a vivere in comune per ridurre le spese (abitudine ormai diffusa e non solo fra le imprese).

Lo scambio azionario fra i due gruppi sarà infatti poco più che simbolico (pacchetti del 3 per cento); si punterà invece tutto sulle economie che potranno derivare dalla collaborazione industriale su varie piattaforme produttive: nelle conferenze stampa si è parlato di risparmi di un paio di miliardi per ciascuno dei partner nell’arco di cinque anni. Niente male.



 

Al di là di questo aspetto (la cui fondatezza, come diceva la canzone, la scopriremo solo vivendo) l’accordo franco-tedesco contiene una valenza destinata ad avere effetti anche a Torino. Perché ne dovrebbe scaturire un produttore in grado di coprire tutta la gamma del settore, dalle utilitarie low cost (le Renault prodotte dalla controllata romena, Dacia) alle Mercedes di lusso della casa di Stoccarda. Diceva uno slogan pubblicitario degli anni ’60: “Nella gamma Fiat c’è l’auto per tutti”.

 

Non era vero allora e lo è meno che mai adesso per quanto riguarda la casa torinese. Nei prossimi anni, se la convivenza franco-tedesca supererà le inevitabili tensioni che si creano in qualunque coppia, potrà invece essere vero per il duo Renault-Daimler. E per la Fiat potranno essere guai seri.

 

E pensare che questa grande intesa utilitarie-auto di lusso, una ventina di anni fa stava per essere firmata proprio dalla Fiat e dalla Daimler. Il Lingotto (allora Corso Marconi, dove era il quartier generale) in una delle sue ricorrenti crisi aveva avviato un iter per scorporare la divisione auto e fonderla con quella del gruppo tedesco. Le trattative erano avanzatissime, a un passo dalla conclusione formale, e prevedevano che nella nuova società i tedeschi (dato il loro peso specifico preponderante) avrebbero avuto la maggioranza.

 

 

Secondo gli esperti di settore di allora, stava per essere celebrato il matrimonio perfetto proprio perché metteva assieme un produttore di successo nelle piccole-medie cilindrate, con uno di ancora maggior successo nell’alta gamma. I due insieme, giuravano gli addetti ai lavori, avrebbero primeggiato in Europa. Ma all’ultimo momento proprio Giovanni Agnelli si è tirato indietro: quel matrimonio – diceva – in realtà era una vendita ai tedeschi. E mai, vivo lui, gli Agnelli avrebbero rinunciato alla loro missione di costruttore di automobili. E così niente fiori di arancio.

 

Ora la Fiat è impegnata nella difficilissima partita dell’unione con la Chrysler e, dopo gli entusiasmi iniziali, già si parla delle prime difficoltà. E sul mercato interno, quello europeo, dovrà prepararsi ad affrontare la forza d’urto che l’asse franco-tedesco ha promesso di scatenare soprattutto nel segmento delle piccole-medie cilindrate. Lo stesso segmento nel quale la Fiat realizza la gran parte del suo fatturato. Deve preoccuparsi di questo nuovo fronte l’amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne? Certamente sì. Deve averne paura? Sì e no.

 

Le alleanze industriali sono creature complesse da gestire. Quella fra la Daimler e la Chrysler è fallita miseramente un paio di anni fa dopo essere costata 7miliardi di dollari ai tedeschi; quella della Fiat con la General Motors è andata avanti stentatamente per poi saltare. E questo solo per fare due esempi. Non è detto che l’intesa fra la stella della Mercedes e il rombo della Renault sia destinata a sparigliare le carte fra i produttori di auto. Però certamente renderà il gioco ancora più duro per Marchionne.