Alla fine, la montagna partorì il topolino. Dopo quattro giorni di bocciatura da parte dei mercati, con lo spread dei titoli di Stato greci a dieci anni salito alle stelle contro il bund tedesco (per non parlare dei titoli a due anni, che hanno toccato 730 punti base di spread) e l’ennesimo downgrading di Fitch del debito ellenico, l’Ue ha dato via al famoso piano di salvataggio: 30 miliardi di euro in tre anni – che facilmente saliranno almeno a 40 – al 5 per cento di interesse, molto più basso di quanto normalmente richiede il mercato.



I tedeschi, come sempre, hanno perso un’altra buona occasione per stare zitti: i falchi di Berlino, infatti, chiedevano un tasso ancorato ai valori di mercato, dimostrando una volta di più totale incapacità di gestire una situazione di emergenza come questa. Chiedere alla Grecia di pagare oltre il 5 per cento, significa condannarla a morte: tanto valeva, allora, non scucire nemmeno un euro e lasciare che si arrangiasse, come ha dovuto fare la povera Irlanda. Il problema è che per Laurent Bilke di Nomura «la Grecia può terminare in una spirale di default prima che il piano venga attivato». Anche perché, al netto del wishful thinking, quel piano non serve a nulla.



Per Simon Johnson, ex capo economista del Fmi, la Grecia ha infatti bisogno di almeno 110 miliardi di euro per evitare il crollo, visto che non può contare sulle due cure classiche di queste situazioni, ovvero default e svalutazione. Atene deve contrarre di un ulteriore 13 del Pil dal budget entro il 2012 se vuole stabilizzare il debito: il rischio è quello di un pericoloso effetto a cascata. Normalmente, quando le cose si mettono male si invoca l’Argentina come pietra di paragone. Beh, in questo caso chi lo fa sbaglia di grosso. Sempre stando all’analisi di Johnson «la Grecia è molto più indebitata di quanto non fosse l’Argentina, è meno competitiva sui mercati mondiali e oltretutto necessita di aggiustamenti fiscali e salariali decisamente più drastici».



 

In effetti il debito pubblico argentino era il 62 per cento del Pil, quello Greco toccherà il 120 per cento quest’anno. Il deficit di budget era al 6.4 per cento, quello greco quest’anno toccherà il 16 per cento. Per salvarsi e vedere un minimo di ripresa dalla metà del 2011 la Grecia avrebbe bisogno di una soluzione argentina, ovvero un taglio del 65 per cento dei pagamenti verso i creditori e l’uscita dall’euro: non potrà applicare né una ricetta né l’altra, quindi andrà incontro a un rischio di spirale devastante. Per lei e per tutti i cosiddetti Pigs.

 

Anche perché i cds sul rischio di default sul debito sovrano ballano al rialzo, per la terza settimana di fila: la Grecia il 12 marzo, ovvero prima del “salvataggio” da parte dell’Ue e del Fmi era a 284.9 punti base, il 2 aprile – dopo che è stata “salvata” – era a 325 punti base.

 

Sempre al 12 marzo i cds sovereign debt di Portogallo, Spagna e Italia erano rispettivamente a 116, 101.1 e 97.6 punti base, il 2 aprile erano rispettivamente a 143, 122 e 119. E oggi, ovvero alla chiusura del 9 aprile? La Grecia è quota 367 punti base, il Portogallo a 160, la Spagna 129 e l’Italia 127. Variazioni non spaventose, nessun picco ma una crescente attenzione dei mercati per i rischi sul debito sovrano e quindi l’opportunità di coprirsi attraverso I credit default swaps.

 

Parliamoci chiaro, il salvataggio europeo della Grecia altro non è che il salvataggio dei creditori europei della Grecia rispetto al debito estero ellenico di 391 miliardi di euro, il 163 per cento del Pil. Il salvataggio voluto dall’Ue non fa che spostare il rischio sui contribuenti per evitare una crisi sistemica, esattamente come si è fatto con Lehman. Il problema, ad esempio, è capire però se le Landesbanken tedesche con i loro capital ration spessi quanto un foglio di giornale, saranno in grado di reggere una seconda ondata di crisi dopo l’indigestione di subprime. A occhio e croce, per ripagare il debito estero la Grecia dovrà “donare” il 9 per cento del Pil ogni anno dal 2012 in poi: non si sa per quanto, certamente più di quanto nessuna nazione possa tollerare.

 

 

I greci sono da biasimare perché, oltre ad aver mal governato, hanno truccato i conti e ceduto bugie ai mercati e ai partner europei ma una buona parte di colpa per questa situazione va imputata anche alle Bce e alla sua politica in stile Greenspan negli anni precedenti alla crisi: lasciare cresce il tasso di massa monetaria M3 al 12,3 per cento nel 2007 contro una target del 4,5 è stato suicida e ha gettato benzina sul fuoco già accesso delle debolezze strutturali non solo del Club Med ma anche di Irlanda e Est europeo. Insomma, il default Greco ci sarà comunque: così come il contagio tra i Pigs, ovvero anche per i nostri conti ma non solo.

 

La Germania, infatti, si mostra aggressiva perché ha paura: il suo piano di bad bank per ripulire i bilanci dei giganti bancari è una palette per svuotare l’oceano rispetto agli oltre 300 miliardi di bad debts che giacciono nei book degli istituti e le Landesbanken sono alle soglie del collasso, stanno in piedi con le stampelle dello Stato ma basta un venticello di crisi e tutto andrà per aria. Non lamentiamoci se ora i mercati agiranno di conseguenza, scelte come quelle compiute dal’Ue per il salvataggio greco non solo sono inutili e ridicole ma, soprattutto, controproducenti. Per tutti.  

 

P.S. Immagino che dopo l’articolo del 6 aprile scorso rispetto al ruolo strategico della Polonia nella nuova disputa energetica tra Europa, Usa e Russia, i lettori vogliano sapere come leggo il tragico incidente che sabato scorso ha di fatto decapitato il governo polacco. Composto rispetto e dolore per i defunti, niente altro. Non credo ai complotti.

 

 

Credo però ai mercati: alla chiusura del 9 aprile il cds sul sovereign debt polacco era a 104 punti base, vedremo come andrà ora. In compenso la composta e assolutamente fraterna reazione della Russia al dolore polacco, con tanto di messa in onda del film “Katyn” sulla tv di Stato sabato sera, fa ben sperare per un miglioramento delle relazioni tra i due paesi. Quei 1,38 trilioni di metri cubi di gas non convenzionale di cui abbiamo parlato, potrebbero restare tra le rocce della costa di Gdansk ancora per un po’. Lo status quo è questo.

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