La Lega Nord, dopo il risultato positivo delle elezioni regionali, parte alla conquista delle banche. Il leader del Carroccio, Umberto Bossi, ha dichiarato la scorsa settimana: “Vogliamo le banche del Nord”. Non è la prima volta però che il partito si interessa alla finanza. Già nel 1998 diede vita a un proprio istituto di credito, il Credieuronord, di cui era vicepresidente Gian Maria Galimberti. Allora le cose non andarono bene: ispezionata da Bankitalia nel 2003, la banca della Lega rivela seri problemi gestionali e la procura inizia delle indagini. Oggi dunque la strategia di Bossi è diversa, come ci spiega in questa intervista lo stesso Galimberti.
Cosa pensa delle dichiarazioni di Bossi: “Vogliamo le banche del Nord”?
Una società è costituita da istituzioni, cittadini e imprese. Le banche fanno parte di quelle istituzioni che gravitano sul territorio. Vista la crescita della Lega, mi sembra normale la richiesta che ha fatto Bossi di poter entrare nei consigli di amministrazione delle banche. Bossi in buona sostanza vuole avvicinare il sistema finanziario al territorio, indipendentemente da quelle che sono le regole burocratiche. Non si tratta di prendere la maggioranza delle banche, ma dell’ingresso di membri della Lega nei consigli di amministrazione, come già avvenuto con Intesa Sanpaolo. Il principio è già stato usato da altri partiti come la Democrazia Cristiana.
Lei ricorda che non si tratta in fondo di una novità. Perché c’è allora così tanta enfasi?
Credo che dipenda dal fatto che abbiamo attraversato una crisi finanziaria che ha portato a un credit crunch. Inoltre Basilea 2 e il ventilato arrivo di Basilea 3 rendono difficile l’accesso al credito anche per le medie imprese, non solo alle piccole. Avendo uomini nelle istituzioni finanziarie, è il ragionamento di Bossi, possiamo riuscire a fornire credito in modo più semplice agli imprenditori del Nord. Entriamo nelle banche per essere più vicini alle imprese del territorio che controlliamo.
È questo l’obiettivo di Bossi?
L’obiettivo è avvicinare la finanza al territorio, inteso come piccola e media impresa. Ci sono aziende del Nord importanti che non hanno problemi di accesso al credito, ma i piccoli artigiani invece sì. È a questi che guarda la Lega.
Perché non riproporre allora un’esperienza come quella di Credieuronord, cioè una propria banca?
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Il mondo è cambiato rispetto al passato. La capacità di dare credito di una banca dipende anche dalla sua dimensione, dal numero degli sportelli, dalla presenza fisica sul territorio. Avere gli uomini nei cda di grandi banche italiane che sono presenti in tutti il paese è molto più semplice che avere una propria banca.
Cosa non ha funzionato in Credieuronord?
Bossi era partito con quella idea per cercare di aiutare le imprese, ma il capitale (tutto interno alla Lega) era solo di 15 miliardi di lire. Il problema principale è stato che i crediti proposti dai direttori generali non hanno performato in modo perfetto. C’è un caso noto ai media che riguarda Franco Baresi, che in tutto, attraverso piccoli assegni, ha avuto crediti per 1.400.000 euro senza che nessuno li avesse autorizzati.
Qualcuno ritiene che il fallimento di analoghi tentativi passati della Lega fosse dovuta alla scarsa preparazione e competenza dei suoi uomini nel campo finanziario. Cosa ne pensa?
Posso parlare di Credieuronord. Il presidente era il Professor Arcucci che insegna a Bergamo ed era vicino alla Cariplo. Non era certo uno sprovveduto e lui ha firmato le delibere della banca. Il presidente del collegio sindacale, Ballaman, veniva da una famiglia con partecipazioni nel Banco di Desio. I vertici erano quindi quasi tutti composti da gente che aveva speso la vita in finanza. Non c’era nessun problema di inesperienza.
C’è chi dice che questa di Bossi sia una mera manovra di potere.
È facile fare un discorso del genere. Secondo me una persona che ha in mente il territorio, il benessere che potrebbe raggiungere, nel momento in cui ha in mano una Regione chiede di poterla controllare anche in termini di sviluppo, perché le imprese crescano e ci sia più lavoro. Per fare questo occorre che la finanza collabori con i piccoli e medi imprenditori.
In ogni caso il potere viene dal consenso popolare, ma poi bisogna vedere che uso se ne fa. La Lega lancia messaggi molto chiari in questo senso: basta guardare alle dichiarazioni di Zaia e Cota sulla Ru486 pochi giorni dopo la loro vittoria. Le ultime dichiarazioni di Bossi hanno lo stesso obiettivo: far sapere ai suoi elettori che vuole facilitare lo sviluppo delle imprese che ora hanno problemi di accesso al credito.
L’idea di avvicinare la finanza al territorio è una conseguenza della politica economica che la Lega persegue?
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Certo. Le Pmi sono la spina dorsale del nostro sistema produttivo. E sono imprese che spesso hanno al massimo cinque dipendenti. Dimensioni diverse da quelle scritte da Delors nel suo Libro Bianco, che erano più elevate. Queste imprese hanno magari l’intelligenza per creare progetti favolosi, ma non hanno poi il credito necessario per trasformarli in realtà o per finanziare le proprie esportazioni.
Un modo per rispondere a quei piccoli imprenditori o al popolo delle partita Iva che lo scorso anno ha cominciato a mobilitarsi specie al Nord..
In effetti la Lega era intervenuta con lo stesso Bossi a queste manifestazioni. Il problema che queste persone segnalano è proprio quello del credito. Basti pensare che in America si concede anche solo sulle idee, sui progetti (pensiamo alle grandi aziende di informatica nate da uno scantinato). Da noi i finanziamenti non si danno nemmeno sullo stato patrimoniale, ma solo sul reddito passato (neanche quello che si ritiene di poter avere in futuro).
Giulio Tremonti è un uomo vicino alla Lega Nord. Secondo lei che ruolo potrebbe avere in tutta questa vicenda?
Nello specifico caso delle nomine nelle banche nessuno. Tremonti potrebbe invece cercare di far attenuare le regole di Basilea 2 e Basilea 3 che sono veramente dei cappi al collo per le imprese. È un compito però difficile perché c’è di mezzo l’Europa. Però altri paesi, oltre all’Italia, vivono una situazione difficile, quindi può darsi che in sede europea si possano trovare delle convergenze.
Quale alternativa percorribile ci può essere ai parametri di Basilea?
Si potrebbe pensare a joint venture o a fondi chiusi per aiutare l’avvio di imprese, con la possibilità poi di vendere la partecipazione nell’azienda. Questo sarebbe un modo per rispondere a una richiesta dei piccoli imprenditori: avere finanziariamente vicino qualcuno.
(Lorenzo Torrisi)