La Fiat di Marchionne ha cominciato a prendere corpo ed è una nuova Fiat. L’uscita di scena di Montezemolo, annunciata il giorno precedente, ha lasciato campo libero a un new deal che prevede la divisione completa dell’auto dal resto delle attività.
Il piano quinquennale è qualcosa di mezzo tra il piano Marshall e il Gosplan, punta sulla quantità per far emergere qualità e valore. Lo spin off si fa, ma in un certo senso a rovescio. Nasce Fiat Industrial nella quale vengono concentrate Iveco, Cnh, i motori e i cambi di Powertrain per i veicoli pesanti.
Fiat in senso stretto, invece, mantiene il marchio, si collega sempre più strettamente con Chrysler e annuncia un potenziale produttivo impressionante, anche se da verificare: 34 nuovi modelli di qui al 2014 da lanciare in Europa, più 17 restyling. Due terzi saranno realizzati da Fiat e il resto dall’azienda americana.
Grazie a questa operazione sarà possibile arrivare – ha detto l’amministratore delegato – all’obiettivo sei milioni, il minimo per sopravvivere. A fronte di ciò, ha chiesto ai sindacati di ridefinire gli accordi all’insegna della flessibilità, ha ribadito l’impegno produttivo in Italia (investimenti per 30 miliardi, 1,6 milioni di vetture in sette stabilimenti sul totale di 3,8 milioni che faranno capo a Fiat). La divisione avverrà in sei mesi. Il fatturato allo stato attuale è 32 miliardi per l’auto e 19 per Fiat Industrial, in quattro anni il primo dovrebbe raddoppiare il secondo salire a quota 29. Obiettivi entrambi ambiziosi.
Marchionne, rimasto signore e padrone, ha gestito la giornata da cerimoniere unico, dopo aver tributato una standing ovation a John Elkann. Prima di cominciare i fuochi d’artificio, l’ad ha ripetuto l’avvertimento sugli incentivi: senza, il mercato italiano quest’anno perderà il 30%. L’aveva detto, suscitando un putiferio dentro la Confindustria e dentro il governo. Questa volta sono tutti d’accordo, dato che Luca di Montezemolo è stato retrocesso a consigliere d’amministrazione e ricondotto alla “sua” Ferrari?
“Non abbiamo chiesto nulla allo stato”, ha ribadito l’ad. Se la Fiat, gli industriali, i sindacati, i politici, pensano di continuare con il vecchio andazzo perché “così fan tutti”, e per salvare i posti di lavoro (il neopresidente del Piemonte, il leghista Costa, si è subito unito al coro) allora non hanno capito quel che sta succedendo in giro per il mondo.
Renault prende i sostegni statali è vero (a parte che il Tesoro resta ancora azionista di riferimento). Ma insieme a Nissan (della quale ha il controllo) e a Daimler con la quale si scambia un pacchettino di azioni (il 5%) e le piattaforme produttive, copre ormai i mercati dell’intero pianeta.
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Peugeot ha avuto quattrini dal governo, ma ha aumentato la sua quota in Europa dove è seconda con il 14,7%, incrementando vendite e utili grazie a una gamma completa di modelli che hanno avuto successo: la piccola Citroen C3, il crossover Peugeot 3008 e la compact 5008. GM è stata salvata da Obama, ma ha cominciato a restituirli e resta pur sempre tra le prime tre case automobilistiche che vendono in Cina (insieme a Volkswagen e Toyota).
Il mega piano strategico presentato ieri nell’Investor day, allo stato attuale non chiarisce le zone d’ombra. Dagli Usa è arrivata la buona notizia che Chrysler quest’anno raggiungerà il pareggio (al quale si avvicina anche Fiat). Ma il risanamento contabile non nasconde che le vendite nel primo trimestre sono andate ancora male. Riaprendo così gli interrogativi sui punti deboli di una operazione che certo non pecca per understatement.
Il primo riguarda proprio le scelte produttive. La fisionomia delle due aziende è chiara. E appare evidente che Marchionne punta più sull’auto che sulle macchine pesanti. Ma i nuovi modelli, alcuni dei quali effettivamente innovativi, altri un repechage (come la Uno che viene dal Brasile), potremo giudicarli quando usciranno dall’ufficio progetti.
Il secondo punto debole è l’Europa. Fallita l’operazione Opel per il vaudeville recitato dai tedeschi, ma anche per una certa supponenza italo-americana (si potevano promettere solo tagli e niente quattrini?), la Fiat non ha partner strategici sul vecchio continente nel quale continua a essere minuscola se si toglie l’Italia.
Il terzo si chiama Asia. Se il mantra di Marchionne è raggiungere sei milioni di auto l’anno o sparire, allora continuiamo a non capire dove le venderà, non solo e non tanto come le produrrà. Altrimenti, torniamo a quella cultura degli ingegneri contro la quale si è scagliato quando ha preso in mano la Fiat: tecnici valenti i quali costruivano vetture che nessuno voleva.
L’ad avrebbe potuto anche ragionare in modo diverso, senza rilanciare un refrain che apparteneva già all’Avvocato. Avrebbe potuto dire che il posizionamento Fiat era diverso, accontentarsi di fare il produttore medio e di nicchia. Ma poiché la prospettiva resta quella dell’auto popolare e l’ambizione è di stare nella pattuglia dei grandi, allora conditio sine qua non è conquistare il terreno perduto nei mercati che nei prossimi anni chiederanno più vetture di massa.
Senza dimenticare che le macchine le fanno gli uomini. E l’intera operazione scorporo è basata su una disaggregazione e riaggregazione di persone, non solo di macchinari e di fabbriche. Manager, tecnici, operai. Sono e saranno sempre loro a inventare, costruire e vendere le automobili. Chi comanderà in Fiat Industrial? Marchionne smetterà di dormire in aereo? E dove atterrerà? Lo vedremo. Ma senza conoscere questi noiosi (e diabolici) dettagli, è difficile giudicare.
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Dettagli altrettanto rilevanti riguardano l’azionista e la dotazione di capitale. Il ritorno di un erede Agnelli ha un significato simbolico apprezzabile. Invece di ritirarsi, la famiglia si mette in prima fila, assume le proprie responsabilità. Ma apre il portafoglio? La Fiat annuncia nuovi investimenti e ciò è bene. Come verranno finanziati? Il debito lordo del comparto industriale ammonta a 14,8 miliardi con 9,8 miliardi di generazione di cassa, quindi l’indebitamento netto è 4,7. Nel comparto finanziario i debiti sono 13,5 a fronte di una cassa di 1,5.
Qui entra il finanziamento degli acquisti e tutte le promozioni per spingere le vendite. Aumenteranno i debiti contratti con il mercato e con le banche? Ci saranno aumenti di capitale? Gli eredi Agnelli hanno abbandonato il paradigma del costo zero da loro stessi annunciato? Tutto ciò non è stato spiegato nel giorno che gli investitori aspettavano con tanta ansia.