Sulla vicenda dello sdoppiamento della Fiat è stato scritto moltissimo e altrettanto commentato e analizzato. Come sempre più spesso succede, ilsussidiario.net è stato fra i media più puntuali, approfonditi e precisi nell’affrontare l’argomento offrendo il suo consueto ventaglio di pareri di opinionisti competenti e documentati. È stato esaustivo e non c’è molto da aggiungere. Però, visto che seguo le vicende della Fiat dal 1970, un paio di osservazioni vorrei buttarle lì anch’io.
La prima riguarda l’operazione in sé, il cosiddetto demerger: da una parte la vecchia Fiat spa che conterrà il 100% della Fiat auto e le partecipazioni in Maserati, Ferrari più i diritti nella Chrysler e continuerà a produrre automobili; dall’altra la nuova Fiat Industrial, creata per raccogliere tutto il resto e in particolare l’Iveco (veicoli industriali e commerciali) e la Cnh (trattori e macchine agricole).
Gli esperti, gli analisti ci hanno spiegato le ragioni di questa complessa operazione societaria: fare uscire i conti della Fiat auto dal consolidato della finanziaria Exor che fa capo alla famiglia Agnelli e controlla il gruppo del Lingotto. E perché si rende necessario questo passaggio? Perché da dieci anni ormai l’auto non produce, ma distrugge ricchezza, e verosimilmente questo andazzo continuerà ancora per un bel po’ in futuro.
Dunque se le quattro ruote rappresentano un fardello, bisogna alleggerirlo per chi deve portarlo. Il demerger farà in modo che le perdite dell’auto non risalgano, come avviene ora, fino all’Exor al 100%, ma soltanto per la quota di competenza (ora il 30%, in futuro probabilmente meno).
Questa brillante trovata lascerà mano libera al management. L’amministratore delegato, Sergio Marchionne, potrà procedere nella sua strategia di alleanze e integrazioni per raggiungere il mitico obiettivo dei 6 milioni di veicoli prodotti ogni anno, soglia sotto la quale – assicurano gli esperti – non c’è avvenire nel settore. Gli Agnelli, in un certo senso, staranno a guardare e accetteranno che la loro presa sull’auto scenda.
È una soluzione che piace molto alla finanza, infatti la Borsa ha reagito positivamente al comunicato sulla nascita della doppia società. Certo risolve dei problemi di prospettiva della famiglia; forse è anche utile perché lascia mano libera a un manager che ha dato buona prova di sé e ha bisogno di non essere rallentato da azionisti incerti.
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Però non è la soluzione: la Fiat ha da anni un deficit di prodotti che neppure l’attuale gestione ha saputo risolvere. In futuro deve mettere sul mercato nuovi modelli che siano apprezzati dal pubblico. Che poi, per produrli, sia organizzata come una conglomerata oppure no, non è così significativo. Le conglomerate – Siemens, General Electric, tanto per citarne due – esistono ancora e continueranno finché i loro prodotti saranno competitivi. E questa è la sfida della Fiat. Può darsi che Marchionne la vinca: ha presentato un piano quinquennale coraggioso, con investimenti consistenti a sostegno di una strategia che, sulla carta, appare lucida. Si vedrà.
Intanto non si può non vedere – e questa è la mia seconda osservazione – che la presentazione di questo piano strategico, molto atteso anche a livello internazionale perché traccia i destini della Fiat ma anche della Chrysler, è avvenuta in un contesto non ideale per una società che ha bisogno della piena fiducia del pubblico e dei mercati.
Come si sa il piano è stato presentato il 21 aprile e proprio il giorno prima il presidente della Fiat, Luca Cordero di Montezemolo, ha annunciato le proprie dimissioni dall’incarico, sostituito dal John Elkan. Si sa che fra Montezemolo e Marchionne i rapporti non erano più idilliaci e da tempo si parlava di una separazione. Però neppure un mese prima, il 26 marzo, c’era stata l’assemblea annuale degli azionisti Fiat: quella sarebbe stata la sede consona per annunciare un cambio ai vertici.
Invece nulla: i due si sono presentati al pubblico in apparente, perfetta sintonia. Poi a neanche un mese di distanza e alla vigilia di un appuntamento decisivo come la presentazione del piano quinquennale, il 20 aprile è stata convocata in tutta fretta una conferenza stampa per annunciare l’imprevista uscita del presidente.
Strano modo di agire. Tanto strano che difficilmente si riuscirà a sgombrare il campo dal sospetto che sia successo qualcosa che non si è voluto e non si vuole far sapere.