Viviamo in un mondo di matti. Mandiamo alla sbarra Goldman Sachs per aver fatto prima e meglio di tutti quello che era lo sport preferito delle banche mondiali, ovvero collocare schifezze travestite da veicoli finanziari sicurissimi e non chiediamo di vedere alla sbarra il governo tedesco per tentata strage rispetto alla tenuto dell’Unione monetaria europea.



Ovviamente questo rientra nella categoria dell’esagerazione esemplificativa, ma appare davvero difficile mandare giù l’atteggiamento di Berlino rispetto al prestito-ponte richiesto da Atene: i tempi sono stretti, come abbiamo già detto, e se entro il 19 maggio non si rifinanzia la prima tranche di debito, la Grecia sarà in default e l’euro sulle montagne russe.



La Germania chiede giustamente garanzie di serietà ad Atene, ma non può proseguire con la politica dei rimandi per puro interesse elettorale interno: capiamo i timori della signora Merkel per un’eventuale sconfitta alle amministrative che sancirebbe la fine del suo governo, ma esattamente come i tedeschi non vogliono pagare l’atteggiamento da cicala dei greci, tutti noi non vogliamo pagare il prezzo della campagna elettorale di “frau nein” e dei suoi compari.

Qui non si tratta di tenuta della Grecia, ma di tenuta dell’Europa e dell’euro: il mezzo stop tedesco al piano di salvataggio ha infatti fatto schizzare i cds anche di Portogallo (318 punti base), Spagna (177 punti base) e Irlanda (185), mentre i rendimenti dei bond portoghesi a dieci anni hanno toccato il 4,94%, ovvero lo stesso prezzo che la Grecia dovrà pagare di interessi sul prestito ottenuto da Ue e Fmi.



Ci stiamo, nemmeno più tanto lentamente, avvicinando al punto di non ritorno. Dopo quelle a due anni, ieri anche i rendimenti delle obbligazioni decennali della Grecia hanno superato la barriera del 9% per la prima volta dal 2001, anno di ingresso della Grecia nella zona euro. Una pressione che segnala, in maniera inequivocabile, i dubbi del mercato sull’efficacia del piano di aiuti Ue-Fmi da 45 miliardi di cui il governo di Atene ha chiesto l’attivazione venerdì scorso.

E i mercati, dopo un po’ che si gioca, smettono di speculare e affondano il colpo. A metà mattinata i rendimenti delle obbligazioni decennali sono infatti saliti al 9,116% dall’8,680% di venerdì sera, superando il precedente picco di 8,950%, raggiunto proprio venerdì mattina, prima della richiesta di attivazione del piano di aiuti. Lo spread con l’analogo titolo decennale tedesco si è quindi ampliato fino a 607 punti base da 561 punti base, massimo divario dal 1997. Nel breve termine, i rendimenti dei titoli biennali greci sono schizzati addirittura al record del 12%.

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Sul fronte valutario, l’euro è tornato a indebolirsi e ha tenuto a fatica la soglia di 1,33 euro dopo un minimo a metà mattinata di 1,3299 dollari. Che fare, quindi? Chiedetelo a quel genio del portavoce del ministero delle Finanze olandese, il quale ha dichiarato che sottoporrà il piano di salvataggio della Grecia al voto del Parlamento solo quando Atene tenderà noti i dettagli del piano di riduzione del deficit di bilancio.

 

Non vogliamo salvare Atene per egoismo o anche solo per rispetto dell’articolo 125 dei Trattati Ue? Benissimo e sacrosanto, ma diciamolo subito e chiaramente di modo che sia il Fondo Monetario Internazionale a farsi carico, subito, della pratica: francamente, a poche ore dalla celebrazioni del 25 aprile, non vorrei dover essere salvato ancora dai tedeschi per mano americana. Ma, temo, sarà necessario e speriamo che a Washington alzino la voce, visto che a Bruxelles ormai si parla tedesco e si battono i tacchi.

 

Parliamoci chiaro, questa crisi non solo servirà a ritracciare la geografia europea ma anche – e soprattutto – a riscrivere le regole di Maastricht, primo passo verso un’Europa a due velocità di marca teutonica: vi sarete accorti, cari lettori, come da settimane ormai i francesi abbiamo smesso di parlare dopo settimane di protagonismo da parte di Christine Lagarde. Ieri, nella sua column sul Daily Telegraph, Ambrose Evans-Pritchard con il consueto coraggio definiva appunto quella di Maastricht «una casa di matti» e appare difficile dargli torto alla luce di quanto sta accadendo: un plauso, quindi, al ministro Frattini, l’unico che sembra essersi reso conto della pericolosità letale dell’atteggiamento tedesco.

 

L’Italia, lo abbiamo già scritto, per ora è fuori dal mirino degli speculatori e lo resterà per necessità legate alla nostra eccessiva concorrenzialità in caso di peg con l’euro ma un default greco, con conseguente e immediato contagio portoghese, porterà con sé danni incalcolabili in un momento di crescita così bassa e di sostanziale debolezza dell’economia mondiale: l’Irlanda e la Spagna stanno peggio di noi, i numeri parlano chiaro, ma se sarà guerra di sopravvivenza Berlino non farà prigionieri. Nemmeno noi.

 

Occorre prepararsi, poiché interpellato da ilsussidiario.net, David Schnautz, capo strategia di Commerzbank a Francoforte, ha detto chiaramente che «i mercati vogliono vedere i soldi sul tavolo, non in una borsa accanto al tavolo». Più chiaro di così è difficile poter essere. E non a caso il premier greco lo scorso weekend era a Washington per un incontro ad alto livello con funzionari del Fmi: il tempo sta scadendo e i giochini tedeschi, con le loro banche che continuano ad accumulare posizioni sui contratti cds di sovereign debt, rischiano di dare vittime eccellenti.

 

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Sarebbe il caso di alzare la voce, essendo in gioco il destino comune di tutti: a noi può non interessare del futuro della Grecia, ma altrettanto deve essere per il futuro politico della signora Merkel in caso di sconfitta. La seconda dittatura tedesca sull’Europa va abbattuta adesso, prima che questa volta riesca nel suo intento con altri modi e altre armi. Ma la medesima volontà di egemonia.

 

Guardate i numeri, guardate i mercati: spread simili non si erano mai registrati: l’Europa sta andando in frantumi e non basterà la colla dell’ideologia a mantenerla insieme. E nemmeno la dittatura miope di Maastricht e delle sue regole.

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