Alla fine, la verità viene – quasi sempre – a galla. E non sono buone notizie quelle che ci ha portato il ponte pasquale. A partire dalla Cina. A dire una parola chiara sul rischio devastante di bolla che è alle porte, questa volta è stato Guo Shuqing, presidente della China Construction Bank, gigante dei mutui immobiliari e del real estate che ha parlato «di situazione decisamente preoccupante se la crescita, come sembra, sarà del 9,5%». Previsione, quest’ultima, della Banca Mondiale, mentre analisti indipendenti parlano addirittura dell’11-12% per l’anno in corso.



Cifre insostenibili. E lo sanno bene a Washington, dove Tim Geithner, il segretario al Tesoro, ha deciso di posticipare la pubblicazione di un documento durissimo verso la politica monetaria di Pechino e la sua volontà di non far apprezzare la valuta di riferimento. Il 12 e 13 aprile il presidente cinese, Hu Jintao, sarà negli Stati Uniti per un meeting sulla sicurezza nucleare: prima di allora, non conviene a nessuno far innervosire ulteriormente il già nervoso gigante rosso.



Anche perché il 1° di aprile, quello che nel mondo anglosassone, viene chiamato Fools’ Day, è arrivata una brutta sorpresa accessoria per l’America: è terminato il programma di riacquisizione da parte dello Stato degli assets tossici e ora che la Fed ha sborsato 1,7 trilioni di dollari, il paese deve ricominciare a camminare senza le stampelle e con le sue gambe ancora tremebonde. Il problema è che quei 1,7 trilioni di denaro creato dal nulla spariranno – e con essi il loro effetto placebo sull’economia – non appena i bonds saranno venduti sul libero mercato.

E resteranno solo i segnali negativi, come il rischio deflattivo: i rendimenti dei bond del Tesoro a dieci anni sono cresciuti di 30 punti base a uno storico 3,94%, le case invendute in salita, il 24% dei mutui precipitati in equity negativa. Per non parlare della massa monetaria M3: la sua epica contrazione è stata del 6% da settembre a oggi. Insomma, guai in vista dopo l’indigestione di soldi “falsi” stampati e benedetti da Ben Bernanke. Ora Washington non può contare su nessuna stampella, né quella del quantitive easing, né quella di Pechino, storico detentore del debito Usa caduto in disgrazia. O quasi.



Arrivano segnali di fragilità dal mondo e di brutte intenzioni protezionistiche. La Russia è stata messa sul banco degli imputati per la sua politica ultra-punitiva verso le aziende russe che vogliono quotarsi sui mercati esteri, costringendole a pre-collocazioni attraverso status offshore per aggirare i vincoli imposti dal Cremlino. Il quale., invece, stende tappeti rossi alle aziende straniere per farle quotare alla Borsa di Mosca, il cui indice la scorsa settimana ha infatti registrato la migliore performance tra le piattaforme regolamentate con quasi il 5% di crescita.

PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO

Non è migliore, né casuale nel suo timing, la situazione in Sudafrica, dove l’assassinio del leader pro-apartheid, Eugene Terreblanche, ha visto il paese precipitare in una nuova spirale d’odio innescata dal leader dell’influente Anc Youth League, quel Julius Malema, che da settimane arringa le folle al grido di «Uccidi il boero» e che l’altro giorno, casualmente a ridosso dello storico accordo-cartello dei giganti estrattivi del minerale ferroso, ha chiesto a gran voce la rinazionalizzazione delle miniere ora in mano a gruppi stranieri, di fatto legittimi proprietari.

 

Siamo all’esproprio, una scelta che – ad esempio – potrebbe devastare il mercato dei metalli preziosi, visto che l’85% delle riserve di platino sono proprio in Sudafrica, così come l’80% di quelle di manganese e il 73% di quelle di cromo. Ma si sa, in questi casi l’accusa di razzismo e colonialismo è sempre alle porte: accettiamo allora questo razzismo al contrario e il suo ricatto economico, visto che se il discorso populista che vuole il popolo sudafricano unico detentore delle risorse del paese si scontra con la realtà di un mercato che negli anni ha legittimamente acquisito assets nel paese portando ricchezza (senza gli odiati bianchi sfruttatori e capitalisti, a Pretoria si sarebbero scordati il business miliardario dei mondiali di calcio).

 

Guarda caso saranno loro a pagare le scelte di Malema. Nomi come Rio Tinto, Anglo American, BHP Billiton, Xstrata ma anche Anglo Platinum e Kumba Iron Ore: pensate che queste quattro aziende pesano per il 10% sull’indice FTSE 100 di Londra e analisti della City hanno detto chiaramente che una nuova spirale di violenza e l’ipotesi di nazionalizzazione delle miniere porterà con sé una devastante impennata nel prezzo delle commodities. E indovinate un po’ chi pagherà questi rincari per estrattori, trasportatori e produttori di beni?

 

Bravi, noi consumatori finali che ci stracciamo le vesti contro il mercato e la globalizzazione cattiva. La verità, come dicevamo all’inizio, viene quasi sempre a galla. Lo ha ammesso ieri sul Financial Times Wolfgang Munchau, dicendo chiaro e tondo che la Grecia andrà in default sul debito, anche se non quest’anno e nessuno potrà farci nulla, poiché si tratta di dinamiche del debito pubblico legate a formule matematiche e cicli storici: non si scappa e l’impennata dei cds sul default sovrano a 10 anni parla questa lingua.

 

Ma la verità è anche quella raccontataci, dati alla mano, dalla Hedge Fund Research, un compilatore di indici con sede a Chicago, “la città della speculazione” secondo gli anti-mercatisti: ebbene, i fondi che avrebbero affossato la Grecia con le loro scommesse naked short sui cds sul debito sovrano hanno già perso l’1,25% di quanto investito quest’anno, proprio a causa dell’instabilità creata dalla politica: chi scommette su tassi d’interesse, bond sovrani e valutario – i cosiddetti macro hedge funds – hanno perso per il semplice fatto che si trovano a dover giocare su un tavolo dove l’avversario è mazziere e baro al tempo stesso.

 

E hanno perso giganti come Brevan Howard, Tudor BVI Global e Moore Capital, non dei parvenu. Ma queste cose non vanno dette né scritte, meglio riempire la testa della gente di “versioni ufficiali”. Fino a quando sarà possibile, però, non si può dire: il tempo sta davvero scadendo per i profeti dell’inganno, i guai sono alle porte. Ovunque si guardi.

 

PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO

P.S. La nuova battaglia energetica di cui parliamo da giorni, a breve avrà un nuovo fronte: tenete d’occhio la Polonia. In quel paese, entro un mese, Conoco-Phillips, Talisman Energy e Exxon-Mobile si lanceranno in una gara miliardaria per garantirsi i diritti di trivellazione a Gdansk, sulla costa baltica.

 

Si tratta di un “tesoro” di 1,38 trilioni di metri cubi di gas non convenzionale, ovvero “intrappolato” tra le rocce e ora potenzialmente estraibile grazie a una nuova tecnologia americana: se il progetto andrà in porto, il monopolio russo sulla fornitura di gas all’Europa sarà finito e quindi anche il ruolo di interdizione e “ricatto” di Mosca verso l’Ue. Difficile che il Cremlino non prenda le sue contromosse. Attenzione alla Polonia, quindi.