La priorità del rigore, visto il problema del debito, è evidente. Ma c’è anche la priorità della crescita. Il Fmi stima che il Pil italiano crescerà solo dello 0,8% nel 2010, il governo l’1%. Anche se sarà maggiore, comunque resterà insufficiente per riparare (redditi, occupazione, ecc.) il sistema economico colpito da una regressione del Pil dell’1% nel 2008 e del 5% nel 2009. Si possono combinare le due priorità?
Si deve. Il rigore senza crescita, alla fine, annulla gli effetti del primo. L’equilibrio di bilancio lo si ottiene sia controllando la spesa sia aumentando il gettito in modo sano, cioè non alzando le tasse, ma il Pil. Questa seconda gamba per l’equilibrio della finanza pubblica non c’è.
La sua mancanza comporta il rischio che per mantenere credibile la ripagabilità del debito pubblico, allo scopo di poterlo rifinanziare a prezzi sostenibili, in condizioni di bassa crescita, si debba tagliare la spesa pubblica fino al punto da ridurre le garanzie essenziali: sanità, istruzione, pensioni e sicurezza. Oppure alzare le tasse, eventualità che ci porterebbe verso una spirale di impoverimento irreversibile entro un decennio.
Pertanto non è un’opzione, ma una necessità, il combinare rigore, crescita e, per quanto possibile, riduzione del debito. Poi c’è un altro problema. Non possiamo aspettare due o tre anni, nei quali, restando così le cose, cresceremo attorno o poco sopra un insufficiente 1%, per ottenere una riforma fiscale che nel futuro lontano migliori i potenziali di crescita interna. L’arcobaleno illuminerebbe un’economia devastata.
Dovremo crescere di più subito. Come si fa? La via più veloce, anche se “sporca” e pericolosa per gli equilibri globali e per l’inflazione importata, sarebbe quella di svalutare l’euro contro il dollaro (e conseguentemente contro lo yuan) e dare impulso alle esportazioni. Quelle italiane, per tipo di settore, risentono parecchio del cambio. Quelle della Germania meno, ma sarebbero aiutate comunque. La Germania crescerebbe di più, l’Italia che è uno suo fornitore di componenti e merci di lusso ne godrebbe e inoltre aumentarebbe le vendite della sua ottima meccanica e prodotti pregiati nel mondo.
Far crescere di più il modello attuale (poca crescita interna bilanciata dall’export) appare un’opzione pragmatica fino a che non sarà fattibile quello nuovo. Ma la Germania non appare intenzionata ad approvare la svalutazione. La Bce, il cui statuto la obbliga solo alla difesa contro l’inflazione e non a sostenere la crescita, neppure.
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Cosa altro ci resta? La priorità del rigore impedisce la detassazione competitiva veloce. Restano tre azioni: (a) riforme a costo finanziario zero per ridurre i costi delle imprese e così incentivarle a investire e far girare di più il volano della crescita; (b) togliere barriere regolamentari e burocratiche al mercato, soprattutto nel settore edilizio, per renderlo meglio e più praticabile dagli attori economici; (c) favorire la creazione di fondi di investimento industriale che compensino la restrizione del credito.
La prima implica più concorrenza nelle forniture di energia, semplificazione burocratica e più flessibilità nei contratti di lavoro. La seconda solo semplificazione. La terza è in avvio, ma andrebbe accelerata e potenziata. Sarebbero riforme a costo zero e di applicazione veloce che in un anno aumenterebbero la crescita potenziale, portandola verso il 2%. Non è molto, ma ci permetterebbe di sopravvivere fino all’arrivo delle grandi riforme del modello.