La verità fa male. Quella sul prezzo della benzina ancora di più. Perché se ci mettiamo a raccontarla tutta, magari scopriamo che ad averci ingannato per anni non sono state tanto le compagnie petrolifere – che comunque non è che agiscano proprio come delle organizzazioni di beneficenza -, ma piuttosto le associazioni dei consumatori. Forse non tutte, ma la maggioranza certamente sì.
Un’industria della bufala che meriterebbe più l’attenzione del Comitato italiano affermazioni sul paranormale che non il rispetto dei vari Mister prezzi, per non dire dell’attenzione di ministri della Repubblica. E fortuna che il loro ruolo ha un impatto limitato – esclusi gli euro di sovvenzioni pubbliche elargite sulla base delle presunte adesioni – sulle tasche dei consumatori. Perché una cosa è certa: se le compagnie petrolifere operassero con la proverbiale “correttezza” e onestà intellettuale delle associazioni dei consumatori, la benzina costerebbe molto più di oggi, ma molto e molto di più. Proviamo a spiegare il perché.
Tanto per cominciare, quando ci interroghiamo sulla correttezza o meno del prezzo della benzina al distributore, dobbiamo tenere presente che questo non è affatto legato al listino del petrolio, ma a quello dell’indice internazionale Platts, che opera una media dei prezzi dei prodotti petroliferi raffinati per aree geografiche, e che spesso ha un andamento divergente rispetto a quello del greggio. Dunque non ha proprio senso produrre raffronti dozzinali tra l’andamento del prezzo del petrolio e quello della benzina, come invece fanno regolarmente le associazioni dei consumatori.
Altra cosa da imparare è che la materia prima, il greggio, è quotata in dollari, mentre la benzina al distributore è pagata in euro. Dunque, quando qualcuno vi propone un raffronto tra il prezzo internazionale del petrolio in dollari in un determinato periodo e il listino al distributore in euro – come hanno sempre fatto in questi anni le associazioni dei consumatori – e invece non vi dice nulla del cambio euro-dollaro, state tranquilli che vi sta nascondendo un’informazione decisiva (ad esempio, in questi giorni la quotazione dell’euro è ai minimi da quattro anni).
Ma c’è un’altra cosetta importante da sapere, un elemento che chi ha studiato un po’ di matematica alle scuole medie riesce a cogliere al volo. Il peso delle tasse su un litro di benzina in Italia è pari a circa il 60%, mentre quello della materia prima petrolio, dunque togliendo anche il costo della raffinazione e del trasporto, si aggira sul 25-30%.
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La circostanza comporta una conseguenza pratica sulla dinamica del prezzo: che cioè gli aumenti del petrolio non sono confrontabili direttamente e specularmente con quelli della benzina, come invece hanno sempre cercato di farvi credere le associazioni dei consumatori. Ecco degli esempi non scientifici, ma di immediata comprensione: se il prezzo del petrolio in euro aumenta del 50%, quello della benzina dovrà salire di circa il 25%; se invece il prezzo del greggio scende del 10%, la benzina potrà calare di circa il 4%. A spanne, s’intende. E va da sé che, più le variazioni del prezzo della materia prima sono elevate, più l’effetto sul prezzo finale della benzina saranno ammortizzate. Ergo, se il petrolio oggi costa la metà rispetto a due anni fa, la benzina non potrà costare ovviamente la metà, ma solo il 20-25% in meno.
E che dire invece della leggendaria “doppia velocità” tra l’andamento del prezzo della benzina e quello del petrolio? Cioè della storia secondo la quale quando il petrolio sale la benzina si adegua subito, quando invece il petrolio scende la benzina lo segue più lentamente? È, appunto, una leggenda. O melgio: ha un fondo di verità legata alle percezioni popolari, ma purtroppo non si trovano conferme.
Confrontando il grafico dell’indice Platts quotato in euro e quello dei listini della benzina alla pompa, infatti, essi risultano sostanzialmente in linea. A volte sembra che il consumatore ci perda un po’, altre volte sembra che ci guadagni. Difficile formulare una sentenza netta. Nessuno, finora, è mai riuscito a dimostrare alcuna doppia velocità, nemmeno l’autorità Antitrust che ha aperto un’indagine durata mesi e nemmeno il mitico Mister Prezzi. Ovviamente nessuna associazione dei consumatori, in tanti anni, è mai riuscita a portare una prova che sia una con un grafico o una tabella. Ora, questo non costituisce certo prova dell’innocenza delle compagnie petrolifere, ma resta il fatto che non vi è un solo elemento per emettere una sentenza di colpevolezza.
Il problema, forse, potrebbe essere risolto analizzando l’andamento dei listini in Europa. Ma, anche qui, nessuna novità di rilievo: i prezzi in Italia hanno dei livelli diversi, ma le variazioni, in aumento come in discesa, seguono quelle degli altri Paesi.
Che fare allora? Come trovare conferme alle tesi delle associazioni dei consumatori? Si potrebbe accusare la categoria dei “padroni” e degli “affamatori del popolo” di volerci rifilare la benzina più cara d’Europa. Il problema è che non è nemmeno così, cioè non è come vi hanno sempre raccontato. Se si guarda il prezzo finale, infatti, siamo al settimo-ottavo posto in Europa.
Ma, anche qui, di che prezzo stiamo parlando? Già, questione non di poco conto. Perché la verità è che i prezzi internazionali non possono essere confrontati tra loro, come invece è sempre stato fatto, per di più in malafede. Una cosa è, infatti, il prezzo medio rilevato sulla base dei prezzi consigliati dalle compagnie in Italia, un’altra cosa il prezzo che paghiamo al distributore vicino a casa col benzinaio che ci fa il rifornimento, quello che troviamo al self-service un po’ più lontano o nel distributore fuori zona la sera o la domenica, oppure il listino in autostrada. Non ci credete? Provate allora a controllare sul sito www.prix-carburants.gouv.fr; scoprirete, ad esempio, che nella mitica Francia, dove i prezzi dovrebbero essere da paese del Bengodi, la benzina può costare anche 15 centesimi più che da noi.
Ovvio, si dirà, quello che conta è il prezzo industriale, cioè quello al netto delle fatidiche tasse. E, infatti, è proprio qui che emerge l’anomalia italiana. Sì, nonostante si adegui alle fluttuazioni della materia prima come avviene nel resto d’Europa, la benzina italiana resta in media più cara di 2-3 centesimi al litro a livello proprio di prezzo industriale. Come mai? Molto semplice: perché siamo un Paese con tanti distributori, con un erogato medio per distributore basso e con un territorio spesso difficile da rifornire. E siccome ogni rigidità ha un costo che si paga, la nostra benzina finisce per essere un po’ più cara.
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Il nocciolo del problema è tutto qui. E i numeri lo spiegano bene: l’Italia ha 23mila distributori, cioè un punto vendita ogni 13,5 chilometri, la Francia 13.600 impianti, uno ogni 40 chilometri, la Germania 15mila punti vendita, cioè uno ogni 23 chilometri. Tradotto per chi non ama le cifre: in Italia si fa meno strada per fare benzina, ma si paga (in media ovviamente, ma non sempre) un po’ di più che altrove. I maggiori costi dovuti alle rigidità nazionali sono anche stati calcolati in modo più preciso da Nomisma Energia. Nel dettaglio: se in Italia la benzina fosse venduta negli ipermercati, il prezzo medio potrebbe scendere di mezzo centesimo o qualcosa di più. Se ci fossero più impianti self-service potrebbe costare 1 altro cent in meno al litro. Mentre se avessimo la metà degli impianti attuali il prezzo medio calerebbe di altri 0,7 cent al litro. Se poi la liberalizzazione fosse totale, se cioè i benzinai potessero vendere anche piadine, caffè, detersivi e via dicendo, ecco che potremmo recuperare un altro centesimo. Annullando la differenza con l’Europa.
Orrore! Stando a queste cifre, le compagnie sarebbero assolte dalle accuse di inganno e di speculazione che i consumatori e i giornali in vena di cavalcare ondate populistiche avrebbero mosso fino a ora, peraltro senza fornire mai prove valide o sufficienti. Ma noi aggiungiamo un’altra cifra: 14-15 centesimi al litro. È il margine lordo sulla benzina a copertura dei costi di distribuzione, che incorpora l’utile dei petrolieri, gli incassi dei gestori, le promozioni, il costo del trasporto, le opere di manutenzione agli impianti. Bene, negli ultimi 20 anni è rimasto invariato. Segno che, picchi o no del petrolio, di truffe colossali alle nostre spalle non ce ne sono state.
Un altro esempio aiuta a capire meglio il concetto. Il profitto delle compagnie petrolifere ammonta a circa 1 centesimo al litro. Dunque, per fare un esempio, se per caso un giorno una compagnia decidesse di aumentarsi scandalosamente del 10% l’utile personale, guadagnerebbe 1,1 cent per ogni litro venduto. Se non venisse scoperta, farebbe soldi a palate, lucrerebbe alle nostre spalle in modo vergognoso, si tratterebbe di un furto in piena regola che andrebbe punito e sanzionato. Però a noi tutto questo alla fine costerebbe circa 5 centesimi per un pieno di benzina.
Una tassa odiosa e lo scandalo, ovvio, ci sarebbe tutto. Ma da qui a parlare di famiglie italiane impoverite a causa delle truffe sul prezzo della benzina ce ne passa. Soprattutto se non si conduce una campagna altrettanto vigorosa per ricordare che ad avere pesato sui bilanci delle famiglie in questi anni sono stati soprattutto i costi dei servizi bancari, finanziari e assicurativi (l’Rc auto ad esempio) e le tariffe dei servizi pubblici. Ma questo è un altro discorso.
Insomma, cerca cerca, di grandi inganni sulla benzina finora ne abbiamo trovati solo leggendo le dichiarazioni delle sedicenti associazioni a difesa dei consumatori. Per questo, come le persone più serie sanno, per risolvere il problema del prezzo della benzina e allinearlo il più possibile alla media europea si tratta di intervenire sulla rete. Come? Il governo ci sta provando. La riforma delineata prevede di aumentare la diffusione degli impianti self-service, di far crescere il numero dei distributori senza marchio, dove la benzina può costare anche 19 cent in meno al litro, di permettere alle catene della Grande distribuzione di aprire propri punti vendita, di diminuire il numero di impianti complessivi, di aiutare i piccoli benzinai a vendere anche altro, di introdurre un meccanismo per definire il prezzo settimanalmente.
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La riforma presenta molti aspetti interessanti e condivisibili, ma pone non pochi dubbi. Intanto il prezzo settimanale, come rilevato anche dall’autorità Antitrust, è un meccanismo che facilita più di prima eventuali accordi di cartello tra le compagnie. In seconda istanza, è ancora tutto da spiegare come sia possibile far aumentare il tasso di concorrenza e la libertà di scelta riducendo il numero di impianti sul territorio. Altro aspetto, la Grande distribuzione: è chiaro che la benzina al supermercato costerà meno, ma a quale prezzo?
In Francia, come detto, c’è in media un distributore ogni 40 chilometri. Sapete cosa significa? Che fare benzina, molto spesso, diventa un incubo. E che, una volta trovato il distributore, essendo l’unico nel raggio di vari chilometri, il prezzo lo fa come gli gira. Se poi è al supermercato, meglio ancora: rifornimento solo self-service e coda garantita.
La conclusione? Bastano poche righe. Si faccia una giusta riforma per rendere un po’ meno oneroso acquistare benzina in Italia e per avere una maggiore scelta, si introducano forti elementi di trasparenza per sapere sempre dove la benzina costa effettivamente meno (il sito del governo francese sì che è un modello), si smetta di gridare allo scandalo inutilmente a ogni variazione del prezzo della benzina, e si incominci a ragionare sul modello di città nella quale vogliamo vivere in futuro.
Il mio modello personale prevede ancora una piazza, una chiesa, un’edicola, un bar, un panettiere, qualche negozio di alimentari, una libreria, forse un po’ di abbigliamento. E il benzinaio non troppo lontano. Per questo sono disposto a pagare la mia gabella. I centri commerciali? Li lascio agli amanti del genere, a chi ama fare la spesa solo in auto e a chi non può fare a meno di mettersi in coda per risparmiare qualche cent sulla benzina, magari dilapidando quel misero guadagno con una telefonata dal cellulare mentre aspetta il proprio turno di rifornimento. A motore acceso.
PS: Non c’è riforma e non ci sono tasse che tengano. Il prezzo della benzina potrà anche scendere moltissimo in Italia, ma finché il petrolio aumenterà, anche la benzina ne dovrà tenere conto. A questo – come allo sbraitare delle associazioni dei consumatori – purtroppo non ci sarà mai scampo.