La tempesta sull’Europa non sembra ancora passata. Il piano salva-euro, varato quasi dieci giorni fa, ha avuto il merito di frenare l’ondata speculativa e di prendere tempo per studiare soluzioni strutturali per salvare un sistema economico ormai sommerso dal debito. In questi giorni si è parlato di rivedere il Patto di stabilità e crescita, concentrando l’attenzione sul rapporto debito/Pil (fissato al 60%), aumentando al contempo i poteri dell’Istituto europeo di statistica (Eurostat), così da evitare che i paesi possano presentare dati “truccati”, come ha fatto in passato la Grecia. Un’Europa che sembra quindi destinata a cambiare volto. Ne abbiamo parlato con Alberto Quadrio Curzio, economista e Preside della facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano.



Professore, cosa pensa delle proposte che stanno emergendo in questi giorni e che potrebbero cambiare volto all’Europa?

 

Il progetto della Commissione europea per rafforzare il coordinamento delle politiche economiche e il Patto di stabilità è importante nel metodo, con qualche riserva nel merito. Nel metodo e nel merito, il controllo preventivo sui programmi di bilancio dei Paesi membri, la richiesta vincolante di correttivi, la sanzionabilità di chi viola gli obiettivi con depositi vincolati fruttiferi e con blocchi sull’utilizzo dei fondi comunitari, sono tutte misure condivisibili che aumentano il “potere federale” della Commissione e del Consiglio.



Quali sono le sue riserve sul merito?

La maggior attenzione sul rapporto debito/Pil è condivisibile, purché non diventi l’obiettivo dominante con un cronogramma troppo ristretto che guarda solo al numeratore. Ciò che importa è che tale rapporto sia sostenibile e non in aumento con un’economia che cresce. Conta anche il livello del debito privato. Non vorrei che imporre, in queste condizioni di crisi, un rientro troppo accelerato dei debiti su Pil verso il “fatidico” 60% possa comportare delle conseguenze troppo negative sulla crescita che potrebbero essere compensate da iniziative europee.



In questa direzione, lei è sempre stato un promotore degli eurobond: conferma che dovrebbero essere tra le prime misure da mettere in campo per bilanciare rigore sui conti pubblici nazionali e spinta alla crescita?

 

Non c’è dubbio. In Europa non c’è un singolo Paese che possa rilanciare la crescita e nel contempo sistemare i conti pubblici. Né basta il coordinamento. Per questo da tempo propongo, in linea con Delors, Tremonti e Prodi, l’emissione degli eurobond per finanziare grandi investimenti. Il debito di eurolandia sarebbe il pendant dell’euro, dovrebbe essere governato dall’Eurogruppo e affiancato da altri tre strumenti di politica economica e fiscale.

Quali?

Un minimo di fiscalità europea per pagare gli interessi sul Fes, Fondo europeo di sviluppo (dai miei conti, una emissione di 1000 miliardi di euro di titoli Fes costerebbe annualmente dallo 0,02% allo 0,03% del Pil di eurolandia); il Fondo monetario europeo (Fme) per gli interventi di emergenza e di ristrutturazione, che è molto simile a quello varato il 9 maggio; l’agenzia di rating europea (Are) per liberarsi dai condizionamenti delle agenzie private americane che hanno perso la credibilità e che tuttavia continuano a fare danni. La mia impressione è che per ora si sia creato solo l’embrione del Fme, puntando troppo su altre procedure farraginose. È poco e ciò implica un rischio.

 

Alla Bce intanto è stata data la facoltà di acquistare titoli di stato dei paesi in difficoltà. Cosa ne pensa? La Bce cambierà faccia? La sua autonomia è a rischio?

 

È una decisione saggia in linea con quanto la Fed fa da tempo negli Usa. In tal modo si possono ricondurre i tassi di interesse sui titoli di stato europei a livelli più fisiologici, contrastando le aggressioni speculative. Questo potere della Bce aumenta le sue responsabilità, che certo verranno ben amministrate stante la qualità di Trichet. D’altronde, se la speculazione determinasse l’insolvenza del debito pubblico di uno Stato membro, gli effetti dannosi e disgregativi finirebbero anche sull’euro, cioè sulla valuta che la Bce deve preservare. La sua autonomia c’è e il fatto che la usi per evitare il collasso dell’euro non la pregiudica.

 

Dopo 11 anni, chi non credeva nell’euro ha maggiori argomenti per dire che è stata una scelta sbagliata. Come risponde?

 

Le teorie degli euro-scettici e degli euro-avversi non mi hanno mai convinto e non mi convincono. Alle stesse oppongo alcuni dati che a mio avviso fanno dell’euro una valuta forte rispetto al dollaro. In eurolandia il surplus commerciale è positivo, mentre negli Usa è negativo. Il debito sul Pil nel 2010 sarà al 79% in eurolandia, contro il 94% negli Usa, mentre già ora il deficit su Pil da noi è al 7,1% e oltreoceano è all’11,1%.

L’euro ed eurolandia hanno anche punti di debolezza che si sono visti, gravi, nella crisi greca. Tra questi la mancanza di strumenti da usare in casi di emergenza e un processo decisionale lento e farraginoso. In altri termini, la mancanza di un vero governo e di strumenti di politica fiscale, finanziaria ed economica. Non è una piccola debolezza.

 

Secondo lei l’euro corre ancora rischi? Spagna e Portogallo sono al sicuro?

 

L’indebolimento dell’euro rispetto al dollaro, purché avvenga in modo ordinato, non mi preoccupa, sia perché il cambio è ancora oggi ben sopra i minimi storici che lo avevano portato sotto la parità dal febbraio del 2000 al novembre del 2002, sia perché un euro più debole rilancia le esportazioni senza importare inflazione che in questo momento è ovunque bassa. Quanto a Portogallo e Spagna, è bene che abbiano messo a punto dei piani di correzione delle loro finanze pubbliche, anche se i loro debiti su Pil non sono troppo elevati.

 

Come vede la situazione dell’Italia?

 

L’Italia ha sopportato la crisi molto meglio di quasi tutte le economie di eurolandia, sia perché non ha fatto misure espansive privilegiando gli ammortizzatori sociali, sia per il basso indebitamento delle famiglie, sia per la robustezza del sistema bancario e le garanzie pubbliche date allo stesso e al risparmio privato. Tremonti ha operato molto bene e ha acquisito una notevole autorevolezza europea, anche perché il piano adottato il 9 maggio con il fondo di sostegno da 750 miliardi di euro parte da una sua idea. L’Italia deve comunque ridurre il suo debito pubblico sul Pil e ciò comporterà dei sacrifici.

 

Ben venga quindi la manovra annunciata da Tremonti per il prossimo biennio…

 

È una manovra necessaria e sarà di impronta europea. I tempi sono cambiati ed eurolandia stringerà molto su corretto impulso della Germania. Spero che in Italia non si imbastisca un dibattito sul fatto che questa manovra, che credo sarà più contenuta di quella di altri Paesi, non era stata preannunciata e che perciò il governo dell’economia è stato sbagliato. Sarebbe una posizione miope.

 

Questa crisi dimostra che per anni qualche stato ha vissuto sopra le proprie possibilità, oppure la colpa maggiore è della speculazione? In ogni caso, come si può limitare la speculazione?

 

 

Nella prima fase, quella del 2008 e del 2009, la causa maggiore della crisi è da ricercare senza dubbio nell’eccesso di indebitamento privato, finanziario e bancario negli Usa e nella distribuzione mondiale di prodotti finanziari fasulli tipo subprime basati soprattutto sulla bolla immobiliare. Nella seconda fase, quella che stiamo vivendo oggi con l’attacco all’Europa, ritengo che domini la speculazione. Il modo per limitarla è l’introduzione di quella che denominerei “Euro-Tobin Tax" (Ett) progressiva sulle plusvalenze speculative a breve termine. L’Unione monetaria europea dovrebbe introdurla subito. Ne ricaverebbe anche risorse finanziarie per politiche attive.

 

Qualcuno vede nel piano europeo di rigore un modo per far pagare ai cittadini il salvataggio delle banche che hanno forti esposizioni con la Grecia e gli altri paesi a rischio, che possono diventare “clienti” non solvibili. Cosa ne pensa?

 

Mi pare una valutazione semplicistica, specie se non differenziata da Paese a Paese e da banca a banca. Ci sono infatti Paesi, anche in Europa, dove senza l’intervento dello stato, e quindi della fiscalità generale, molte banche sarebbero fallite (Belgio, Olanda, Inghilterra, ecc.), altri dove lo stato ha dovuto fare qualche salvataggio, tuttavia limitato rispetto al sistema bancario nel suo complesso (Germania e Francia), altri in cui gli interventi sono stati minimi e fatti con prestiti (Italia).

 

Con tutto questo debito e i deficit in aumento, cosa occorre fare per tornare a crescere e a creare gli avanzi necessari a rimediare?

 

Rimando a quanto detto in precedenza, che riepilogo con acronimi: varare in simultanea il Fes, il Fme, la Ett e la Are. Il tutto sotto il governo dell’Eurogruppo (non della Commissione che non funziona) al quale andrebbe nominato un presidente non ministro. Ho già avanzato una candidatura: quella di Trichet, quando cesserà il suo mandato. Si tratterebbe di inventare una nuova carica che sarebbe, in questo caso, necessaria.

 

Perché sarebbe meglio l’Eurogruppo rispetto alla Commissione?

 

Perché la Commissione è ormai diventato un organo burocratico pletorico anche con commissari di modesto livello, mentre l’Eurogruppo è snello con personalità di notevole livello.

 

(Lorenzo Torrisi)

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