Forse, ora hanno capito. Quando la scorsa settimana la Bce ha distribuito a tutti i leader dell’eurozona i grafici del credit stress, l’ottimismo di facciata è terminato: «I mercati hanno cessato di funzionare. C’è ancora un forte rischio di contagio che può avvenire molto velocemente, in giorni se non in ore», ha dichiarato Jean-Claude Trichet a Der Spiegel.



Il problema è che la ricetta dell’Ue per tamponare questa seconda ondata di crisi, ovvero i famosi 750 miliardi di euro, è nato sbagliato: prima di attuarlo, infatti, occorreva stabilire un meccanismo politico per smobilitare quella somma. Quel fondo, insomma, è un guscio vuoto. Peggio ancora, alcuni principi fondamentali sono stati sacrificati per riuscire a vendere mediaticamente e psicologicamente l’annuncio del salvataggio.



A fronte di questa realtà, incontrovertibile, ci sono le cifre. Fredde. Il Fondo Monetario Internazionale nel suo Fiscal Monitor della scorsa settimana avvisa che non era più possibile ignorare il rischio di un’ampia perdita di fiducia nel solvibilità fiscale: da qui al 2015, infatti, il debito pubblico sarà al 250% del Pil in Giappone, al 125% in Italia, al 110% negli Usa, al 95% in Francia e al 91% nel Regno Unito.

Se a questo uniamo il fatto che le misure di austerità e taglio dei salari imposto dai vari Stati rischia di scatenare una spirale deflattiva del debito, il quadro si fa fosco. Lo stesso Fmi ha dovuto ammettere che il debito pubblico della Grecia salirà al 150% del Pil nonostante le misure draconiane imposte dal governo e il deficit di budget della Spagna salirà al 7,7% del Pil nel 2015.



Come uscire da questa situazione? Le uniche politiche percorribili sono quelle di una compensazione dei tagli fiscali con stimoli monetari per tutto il tempo necessario, ciò che la Germania non vuole e la Bce nega di voler fare. Insomma, a Francoforte dicono no alla politica di quantitative easing stile Fed e Bank of England e giurano che la Bce sterilizzerà il suo acquisto di bond pagando “euro per euro”. Il Club Med, se questa sarà la regola, si prepari a una profonda depressione.

Detto fatto, ieri l’euro ha toccato i nuovi minimi degli ultimi quattro anni: alla Borsa di Tokyo ha toccato 1,2237 dollari, la quotazione dell’aprile 2006. Un brutto segnale in apertura di un lunedì critico per la tenuta della moneta unica europea: dopo le bufere monetarie dovute alle preoccupazioni dei debiti pubblici dell’area Emu, ora la moneta unica rischia di pagare gli impegni di risanamento dei governi proprio per rimediare ai disavanzi.

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Giova ripetere, a questo punto, quanto scritto la scorsa settimana. Ovvero che la prima forte area di supporto dell’euro è all’incirca a 1,25 dollari, il livello più alto della banda di consolidamento: questo garantì un buon supporto nel 2008 e nel 2009 e fu il punto di lancio per l’uptrend del 2006. Il picco più basso di questa area di consolidamento si pone invece attorno a 1,19 dollari, cambio che garantì una buona area di supporto nel 2004 e 2005 e operò come resistenza nel 1999 e nel 2003.

 

Insomma, se l’euro riuscisse a mantenersi su questo livello ottimale di combinazione tra supporto e resistenza potrebbe rimbalzare e porsi nella banda di consolidamento in cui si pose nel 2004 e 2005 che oscillava tra 1,19 e 1,25 dollari: il livello attuale. La prospettiva peggiore, quella su cui stanno scommettendo i fondi che shortano, è invece sotto quota 1,19, livello che potrebbe rapidamente far scivolare l’euro al livello di supporto più basso, ovvero 1,03 dollari: un livello di supporto molto significativo nel 2003. Insomma, si resterà sulle montagne russe ancora per un po’.

 

Il secondo motivo di preoccupazione è invece legato al sistema bancario europeo: il problema, infatti, è duplice. Il prestito a breve sta salendo e questo potrebbe portare le istituzioni a tagliare i nuovi prestiti e richiamare quelli vecchi, imbrigliando la crescita economica. Dall’altro lato, istituzioni bancarie di economie formalmente più solide come Francia e Germania hanno in carico tonnellate di bonds di Spagna, Portogallo e Grecia: come e dove scaricarle?

 

Gli investitori temono che molti governi pagheranno il conto di un ampio deficit, visto che il debito di molte nazioni dell’eurozona dovranno essere ristrutturati, facendo crollare il valore dei loro bonds. Un duro colpo per le istituzioni europee che rischia di rimbalzare con l’effetto “palla di neve” nel sistema bancario globale, la cosiddetta “snowball crisis”. Tenete a mente questo termine, purtroppo potrebbe diventare familiare come subprime e credit defaults swap.

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