«Scappate da Wall Street». È questo il perentorio avvertimento che il guru della Borsa americana, Richard Russell ha offerto agli investitori esposti sulla piazza newyorchese: «Se il Dow Jones Industrial Avarage scenderà sotto la quota di chiusura toccata il 7 maggio scorso, ovvero 10.380,43, andremo incontro a un major crash borsistico. Vendete tutto ciò che detenete e se riuscite a vendere, puntate alla liquidità».
Il perché? Presto detto: «Se la situazione è migliore del previsto, perché allora il Dow Jones è sotto di oltre 600 punti?». Analisi, non parole. Chi invece di parole ne usa troppe, senza senso e quasi sempre a sproposito, sono i tedeschi, artefici ieri dell’ennesimo miracolo: borse in rosso ed euro ai minimi.
Le sovietiche misure imposte da Berlino sulla vendita allo scoperto di titoli e bond governativi hanno infatti alimentato il nervosismo degli investitori, dimostrando che la bagarre sui mercati non è ancora terminata. L’euro «è in pericolo» e se la valuta unica «dovesse fallire, allora fallisce anche l’Europa», ha dichiarato con tatto esemplare e a Borsa aperte il cancelliere tedesco, Angela Merkel, aprendo al Bundestag il dibattito sul pacchetto anticrisi europeo.
La crisi dell’euro «è la prova più difficile per l’Europa», ha detto Merkel, convinta che ai Paesi «notoriamente» in violazione delle regole sul deficit pubblico debba essere «tolto in via temporanea il diritto di voto» in sede europea. «Ognuno di noi qui – ha aggiunto il cancelliere – può capire che la crisi attuale dell’euro è la più grossa sfida affrontata dall’Europa in decenni, dalla firma del Trattato di Roma. È una sfida vitale. E dobbiamo affrontarla».
Come? Denunciando la Germania e i suoi vertici politici per violazione della concorrenza, turbativa dei mercati, procurato allarme e insider trading: e, il sottoscritto, si assume in toto la responsabilità di quanto afferma, sollevando la testata per cui scrive da ogni onere. Perché, ora, la misura è davvero colma: poco dopo queste parole, la moneta unica ha ripiegato di oltre mezzo centesimo di dollaro dai massimi di giornata.
L’euro ha continua dunque a perdere colpi nei confronti del dollaro, piombando su nuovi minimi: la divisa è scambiata a 1,21 dollari per poi risalire faticosamente sopra la soglia di 1,22. Sarà il caso di cominciare ad alzare la voce se non vogliamo che l’istinto di sopravvivenza tedesco utilizzi il Club Med come vittima sacrificale in nome dell’export come antidoto alla crisi e alla flessione della domanda interna: vogliono la legge della giungla, quella che indicano come dna dei tanto detestati speculatori, ok. Però deve valere per tutti: anche, proprio per quei fondi che operando non in Germania possono farsi baffo dei bandi sul naked short.
PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO
E sapete perché? Perché quel bando è un maquillage tecnico, non serve a frenare l’assalto degli speculatori ma a mascherare la crisi che sta per colpire gli istituti tedeschi, non a caso il divieto di vendita allo scoperto vede come prima beneficiaria Deutsche Bank insieme agli altri primi nove titoli finanziari del Dax. Se pensano che chiunque non sia tedesco abbia l’anello al naso e non capisca a quale egoistico gioco al massacro stia giocando Berlino, pensano proprio male.
E la City, pesantemente in allarme per la normativa sugli hedge funds appena varata dall’Ue, potrebbe cercare una rivincita in tempi decisamente brevi: e, paradosso dei paradossi, un trader della sussidiaria londinese di Deutsche Bank potrebbe operare ciò che il governo della casa madre vieta. Mettiamola così: sarebbe come se Berlino vietasse alle squadre avversarie della Germania di segnare ai prossimi mondiali di calcio.
Inoltre, il segnale inviato è di quelli che fanno gola agli investitori più bullish: se politica e regolatori prendono misure anti-panico, allora il panico è legittimo. Ma non solo. L’azzardo di Berlino rispetto al deprezzamento dell’euro, è davvero un salto nel vuoto: il fiasco dell’export britannico a fronte di una sterlina debolissima è lì a ricordarcelo. E, di più, avrà un brusco effetto collaterale a livello globale. Il valore effettivo dell’euro – calcolato quindi verso le principali valute dei partner commerciali – è infatti calato del 10% da novembre, portando un po’ di respiro. Il problema è che questo pesta i piedi alla Cina, la cui moneta è agganciata al dollaro e ne segue le sorti.
«Lo yuan – ha detto il portavoce del ministero del Commercio cinese, Yao Jian – è salito del 14,5% circa rispetto all’euro negli ultimi quattro mesi e questo aumenterà le pressioni sui costi per gli esportatori e avrà un impatto negativo sulle esportazioni cinesi verso i paesi europei». La valuta di Pechino ha infatti toccato ieri mattina i massimi da sette anni e mezzo sulla moneta unica e la conseguenza immediata sarà un rinvio dell’auspicato e ormai atteso apprezzamento dello yuan: «La probabilità di un cambiamento di regime di cambio a Pechino è calata a causa delle vicende europee», ha spiegato Wengsheng Peng di Barclays Capital interpellato dal Sole24Ore.
Un capolavoro, quindi. Almeno così la pensa Jim O’Neill, capo economista di Goldman Sachs, secondo cui «il pacchetto Ue di salvataggio ha dimostrato prontezza e unità di risposta e questa crisi sta ponendo fine alle biennale sopravvalutazione dell’euro». Auguri, se Berlino e Goldman Sachs vanno a braccetto c’è poco da stare allegri per euro e Club Med: nei portafogli dei fondi, la divisa comune è sempre alla voce short insieme a yen e sterlina. Ma la cancelliera tedesca, Angela Merkel, questo non lo sa. Forse…