Chissà che futuro può attendersi un Paese che mette sullo stesso piano l’iscrizione a una sauna, una crociera e l’iscrizione dei figli ad una scuola “prestigiosa”. E in che senso “prestigiosa”? Forse per il campo di golf o la scuola di vela ivi annessa oppure per il livello della didattica?

Sono domande che sorgono spontanee dopo la pubblicazione delle “new entry” nelle categorie di beni e servizi dei nuovi indicatori che gli 007 del fisco seguiranno per scovare gli evasori. Passi per i viaggi esotici, le minicar, le ristrutturazioni immobiliari o i mutui fatti apposta per abbassare il reddito tassabile e così via.



Ma nel compilare il nuovo redditometro, gli esperti dell’Agenzia delle Entrate si sono fatti prendere la mano: il capitolo scuola “esclusiva o di prestigio” rischia di procurare più confusione che aiutare il rischio. Per più motivi. Primo, perché il pregio del nuovo redditometro sta nell’accurato incrocio, in base a complessi calcoli matematici, del tenore di vita degli italiani. Anzi, novità importante, delle famiglie italiane.



Ma la matematica, come sa qualsiasi studente seppur negato al pensiero euclideo, non s’accompagna volentieri all’aggettivo, bensì chiede riferimenti “oggettivi”. Di qui le perplessità di fronte alla sua applicazione sulla scuola. Non basta, infatti, rifarsi all’entità della retta: si possono spendere cifre rilevanti per scuole “chic” che sono, nei fatti, facili scorciatoie per garantire a rampolli pigri un diploma non meritato. Oppure scuole che consentono di fare 2-3 anni in uno grazie ad un robusto assegno.

E ci sono, al contrario, istituti che crescono e si sviluppano grazie alla libera scelta di famiglie che, magari con grosso sacrificio economico, vogliono offrire ai figli l’insegnamento cristiano. Può essere considerato questo un indicatore di reddito? Si vuole dire che la scuola pubblica è il rifugio di chi non può permettersi di sopportare la spesa di un’altra forma di istruzione?



Non è probabilmente questa l’intenzione del compilatore del redditometro che, probabilmente, si è infilato in un vicolo cieco per aver voluto clonare criteri già applicati dal fisco nei Paesi anglosassoni, dove però la struttura dell’istruzione risponde, giusto o sbagliato che sia, ad altri criteri. E dove è assai più facile distinguere tra scuole per ricchi e istituti per poveri o, comunque, per gente normale.

Detto questo, fa comunque sensazione veder accomunate le barche di lusso con l’istruzione che, evidentemente, va considerata a pieno titolo un lusso in un Paese che punisce con stipendi da fame chi fa ricerca scientifica, si occupa di istruzione e così via, ma riserva ben altra sorte ai campioni dell’effimero.

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Meglio far l’animatore in un villaggio, insomma, che l’ingegnere meccanico, almeno dal punto di vista del reddito. Ed è giusto che il fisco ne prenda atto. Ormai, del resto, per intraprendere certe carriere nel Bel Paese, occorre essere ricchi di famiglia. Ma fermiamoci qui, in attesa che si scateni la fantasia degli evasori, abilissimi nel dribblare e trappole dell’erario. O l’abilità degli ispettori di Giulio Tremonti, che in questi anni hanno raccolto significativi successi.

 

Bisogna fare il tifo per loro: l’evasione fiscale, oltre che odiosa, è diventata sotto i cieli della crisi che ha inquadrato nel mirino la zona euro, un onere insostenibile per il Paese degli onesti. E la minaccia più seria alla convivenza democratica. Ma, per evitare pericolosi effetti boomerang, occorre applicare le prescrizioni con precisione chirurgica, senza la presunzione di appiccicare etichette di comodo, volutamente vaghe, tipo scuola “esclusiva” o “prestigiosa” che alcuni ispettori giudicheranno alla stregua di “privata” o, peggio, “confessionale”.