Riaffiora puntualmente, da un anno e mezzo a questa parte, tra i criteri di potenziamento del redditometro per rafforzarne l’efficacia nella lotta all’evasione dei redditi delle persone fisiche, anche quello di utilizzare come espressione di imponibile non dichiarato l’iscrizione di figli a scuole private.

L’ho detto e scritto più volte, e dunque mi ripeto. Da tempo ho accertato che questo puntuale riaffioramento rispecchia la peculiare e deviata ideologia di alcuni tecnici ministeriali e consulenti dell’Agenzia delle entrate, di saldo credo statalista e devoti ai totem e tabù dello Stato etico. Non è il ministro Tremonti a pensarla così.



E se fosse lui a convertirvisi del tutto inopinatamente, sia pure per il legittimo scopo di assicurare all’erario il massimo recupero di gettito possibile, bisognerebbe comunque combatterlo, spada alla mano e voto contrario esplicito in parlamento.

Scambiare la spesa aggiuntiva sostenuta da una famiglia per la miglior formazione del capitale umano in scuole paritarie o riconosciute come se tale spesa equivalesse all’acquisto di un SUV, di uno yacht, o della quota annuale d’iscrizione a un circolo di fitness, equivale a pura somaraggine in termini economici e ad asinina ottusità in termini ideologici.



In termini economici, infatti, significa confondere l’investimento in capitale umano – ciò di cui più c’è bisogno per accrescere l’output potenziale del nostro paese – con spese di consumo voluttuarie. Bisogna spostare l’imposta dalle persone alle cose, scriveva Tremonti nei suoi libri di 15 e 10 anni fa e nel suo Libro Bianco, dunque tassare di più i consumi e incentivare invece gli investimenti.

Lo Stato dovrebbe in altre parole accrescere le deduzioni fiscali alle famiglie che investono di più nella formazione dei propri figli, perché sarà l’intera società ad averne un beneficio, non certo considerare tale scelta come un indicatore di potenziali illeciti fiscali e di violazioni del patto sociale.



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In termini ideologici, è il riflesso condizionato di chi confonde la formazione con la scuola e l’università di Stato, e l’investimento in formazione con l’assunzione in ruolo statale del maggior numero di dipendenti e aspiranti. Sindacalismo confederale travestito da laicismo inveterato, con l’aggravante di confondere le scuole cattoliche con i diplomifici in ciclostile che scambiano pingui rette con esenzione da impegno e studio minimamente compatibili con gli standard prescritti.

 

I tassatori etici ci riprovano spesso, a mettere nel mirino la scuola privata con la scusa che per lo più è confessionale. Sarebbe singolare che ci cascasse il centrodestra. In quel caso, una più che ottima materia – se mi si consente l’ultrasuperlativo – per dissenso esplicito prima, e financo per agguati parlamentari se messi alle strette.