Potenza della tecnologia. Per scovare gli “immobili fantasma”, quelli che riescono a sfuggire, chissà come, al catasto, Giulio Tremonti ricorrerà ai rilievi fotografici dall’alto. Un consiglio: forse, invece di scomodare l’aeronautica, sarà sufficiente rivolgersi a Google Maps. Il redditometro, da solo, potrebbe invece essere sufficiente per venire a capo dell’arcano per cui i due terzi dei natanti oltre i 25 metri risultano posseduti da cittadini nullatenenti.



Nell’attesa che cresca il gettito, diamo uno sguardo ai tagli. Basta uno sguardo, seppur sommario, alla manovra per trovare ampia documentazione sull’inefficienza storica della macchina statale italiana. Nelle oltre cento pagine messe a punto da Giulio Tremonti, ad esempio, figura il taglio dei contributi a 72 enti che non hanno nemmeno risposto alla richiesta del ministero, avanzata nei mesi scorsi, di documentare la propria attività.



Incuriosisce, del resto, capire quali risparmi comporterà l’abolizione di alcuni enti previdenziali, vedi l’Ispema, l’Ipsel o l’Ipost. Per non parlare di strutture quali l’Isae o l’Ice piuttosto che l’ente nazionale della Montagna. Alzi la mano, poi, chi era consapevole che risultano ancora attivi il comitato Sir, istituito (sic) per i contributi all’alta tecnologia e che ancora si fa carico delle partecipazioni di quel che fu l’impero di Nino Rovelli. O la Rel, la finanziaria pubblica che doveva sostenere il risanamento dell’industria elettronica del Bel Paese.

Insomma, anche in un momento tragico, c’è ampio spazio per il solito folclore che accompagna le manovre all’italiana che, da sempre, lasciano un dubbio: ma non ci potevano pensare prima? Perché si è dovuto attendere il 2010 per intervenire sugli “immobili fantasma”? E cosa ci assicura che, stavolta, il grande chiasso della macchina da guerra che si mette in moto tra mille riunioni e polemiche non si risolverà, al solito, in una bolla di sapone? Come del resto è successo per la finanziaria 2010, nata con l’obiettivo, del tutto fallito, di frenare la spesa pubblica. Il punto dolente di qualsiasi manovra all’italiana.



Un appuntamento a cui Giulio Tremonti è sfuggito un anno fa grazie allo scudo fiscale nella speranza, andata delusa, che la crisi sarebbe svanita da sola, con la ripresa degli Usa e la domanda della Cina. Al contrario, i nodi vengono al pettine, irrisolti, un anno dopo. Con il consueto contorno della guerra ai falsi invalidi e alle auto blu più l’antipasto novità: il taglio dei costi alla politica. E la famosa fantasia del ministro si riduce al pedaggio sul raccordo anulare o la tassa su chi soggiorna da turista a Roma.

Così l’Italia si ritrova alla vigilia di una nuova stagione “lacrime e sangue”. Lo impone l’emergenza internazionale. Lo richiede, soprattutto, la sfiducia dei mercati finanziari sulla resistenza della navicella italiana, già data per spacciata in più di un’occasione. Ma stavolta c’è una novità: tutto sommato gli analisti, comprese le agenzie di rating, sono convinti che dal cilindro del Bel Paese emergerà comunque una soluzione ai problemi del finanziamento del debito, grazie ai risparmi delle famiglie.

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Ma rispetto agli anni della lira debole c’è una sgradevole novità: l’Italia disordinata delle grandi svalutazioni periodiche disponeva comunque di una macchina produttiva esuberante e brillante, in cui spuntavano, magari grazie al lavoro nero e diavolerie fiscali di vario tipo, aziende competitive e in crescita.

 

Tutto questo, ahimè, appartiene al passato: l’Italia cresce poco e, di riflesso, perdono quota le entrate fiscali. E nel frattempo si deteriorano, nonostante un comportamento più prudente rispetto alla media dei sistemi finanziari dell’area Ocse, i conti delle banche commerciali, assediati dall’aumento delle sofferenze. È un malessere profondo che non si aggredisce con misure estemporanee o una tantum più o meno efficaci. Ma con riforme strutturali che riducano drasticamente il costo dello Stato in tutte le sue manifestazioni.

 

Vista sotto questo profilo, la manovra risulta dolorosa e impegnativa ma viziata da una visione di breve respiro. Gianni Letta l’ha pur detto: ci saranno gravi sacrifici, speriamo che durino poco. Al contrario, l’importante è che i tagli siano permanenti e che nessuno si illuda che, prima o poi, si possa tornare al vecchio andazzo in materia di pensioni o di evasione.