Notizie interessanti dai fondi. Il mercato, si sa, ormai è completamente fuori controllo, in balia delle oscillazioni e delle parole che giornalmente giungono da politici e autorità economiche e monetarie: la certezza, purtroppo, è che il Dow Jones è destinato a scendere a 950, forse 900 punti.
E non sono certezze di cui andare fieri, non a caso da settimane ilsussidiario.net ripete il mantra che giunge da Oltreoceano: uscite dall’azionario statunitense finché siete in tempo, realizzate e scappate. A rendere interessante il momento, però, è un’altra questione: ovvero, il nuovo ruolo assunto dall’oro in questa seconda, prolungata ondata crisi dovuta al debito sovrano.
Interpellato nel suo ufficio newyorchese, infatti, Ben Davies, ceo di Hinde Capital, non ha dubbi: «L’oro ha toccato i massimi non più perché visto e vissuto come un bene rifugio ma perché, di fatto, è interpretato come una moneta supplementare. La proliferazione valutaria degli ultimi tempi aveva portato a una sottovalutazione dell’oro, che adesso sta vivendo una nuova stagione. Potrei essere così stupido da dire che potrebbe raggiungere i 36mila dollari l’oncia. E vi assicuro che non suonerebbe, nei fatti, tanto ridicolo come sembra sulla carta».
Avete capito bene: e c’è un motivo. Se tutto l’oro presente a Fort Knox venisse rivalutato al prezzo di 36mila dollari l’oncia, l’America avrebbe annullato il suo debito. Per Davies, «l’oro verrà usato sempre di più come una valuta, essendo molte monete sotto attacco della speculazione e vittime di fluttuazione e shorts e questo porterà ad un aumento della domanda». Di più, «i mercati emergenti stanno comprando oro massicciamente per creare riserve. D’altronde, la storia ci insegna che nei momenti di crisi le grandi dinastie battevano la concorrenza potendo utilizzare grandi quantitativi d’oro per comprare assets a prezzo di svendita».
Signori, questo è il mondo che sta emergendo dalla crisi globale: ovviamente quella dei 36mila dollari l’oncia può suonare come una provocazione, ma un apprezzamento record che consenta alle autorità monetarie Usa di poter scaricare un po’ di debito, ovvero abbassare il deficit e soprattutto la dipendenza da una Cina che utilizza la crisi dell’euro per non svalutare lo yuan, potrebbe tentare non poco Washington.
Anche perché, analizzando i grafici, i timori per il dollaro sono tutt’altro che fugati. La recente risalita del biglietto verde, infatti, è da imputare alla debolezza dell’euro e non a fattori strutturali o di supporto dei fondamentali. Questo apprezzamento, da 0,81 a 0,87, potrebbe quindi tramutarsi in un pericoloso trend parabolico, per diversi fattori.
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Il primo, l’accelerazione della crescita, partita lenta e poi aumentata a dismisura con il crescere della volatilità. Il secondo, l’andamento in crescita della curvatura parabolica del trend: la sezione verticale di questa curvatura ci mostra in maniera chiara quale sarà il termine del collasso. E non manca molto. Non si tratta del parabolic Stop and Reverve indicator, ma ci offre con quasi certezza una data di inizio del piccolo di downgrade.
Terzo fattore, la linea del trend parabolico centra alla perfezione le candele che costruiscono il modello di oscillazione della valuta: calcolando la sezione verticale del trend, abbiamo la possibilità di circoscrivere l’arco temporale del collasso. Quarto, il biglietto verde nelle ultime settimane ha un trend similissimo a quello del petrolio nel 2008, quando in tredici settimane si passò da 145 dollari al barile a 90 dollari: insomma, i grafici ci dicono che fino alla fine di giugno ci sarà apprezzamento con una target tra 0,89 e 0,91 poi partirà il ritracciamento che si trasformerà rapidamente in collasso a 0,81-0,79.
L’America non starà ferma ad aspettare: e quando i fondi cominciano a ragionare su oro alle stelle per tamponare il debito e su valuta aurea come moneta supplementare significa che i cambiamenti che sono all’orizzonte promettono di essere davvero epocali. E, purtroppo, non indolori. Soprattutto per la vecchia Europa, sempre più divisa e sempre più sull’orlo del collasso in nome del debito pubblico.
L’euforia per i rimbalzi borsistici di ieri ricorda l’euforia dell’ubriaco. Il quale, il mattino dopo, ricorda poco della serata e ritrova davanti a sé tutti i problemi che aveva cercato di dimenticare. Le sfide di fronte a noi, le più grandi, stanno arrivando. E non ci vedo preparatissimi.