A due settimane dal flash crash (crollo fulmineo) di Wall Street, l’indagine aperta dalla SEC per far luce su cosa sia effettivamente successo il pomeriggio del 6 maggio non ha ancora dato delle risposte certe. Certo è che, nell’ambito del dibattito sulla riforma del sistema finanziario americano, il flash crash ha offerto l’ennesima opportunità per evidenziare i limiti di un mercato lasciato a se stesso, dimostrando la necessità di intervenire con delle nuove regole.



Quest’articolo non si propone di indagare le cause del flash crash, né di dare un giudizio sulla riforma finanziaria già approvata dal Senato, ma piuttosto di fornire qualche strumento per capire dinamiche oscure ai non addetti ai lavori e farsi in ultimo una propria opinione.

È necessario chiarire prima di tutto che quando si parla di mercato azionario americano si sta in realtà facendo riferimento a una serie di market venues (sedi di scambio). Negli ultimi anni si è assistito infatti a una frammentazione del mercato attraverso lo sviluppo di alternative platforms (piattaforme alternative), fra cui gli internalized matched flows (flussi combinati internamente da parte dei broker) e i dark pools (sistemi in cui si può manifestare in modo anonimo le proprie offerte) che a loro volta possono essere indipendenti, posseduti da un broker dealer o da un Exchange (borsa)vero e proprio. Queste nuove sedi di scambio hanno rubato importanti quote di mercato a NYSE and NASDAQ, peraltro migliorando una situazione di duopolio poco competitivo.



L’attuale mercato è inoltre il risultato dell’evoluzione tecnologica dei sistemi di trading, e in particolare del diffondersi del computer-driven trading (o automated trading, o algorithmic trading), vale a dire l’uso di programmi computerizzati per processare ordini in tempi brevissimi (millesimi di secondo) con lo sviluppo di algoritmi matematico-statistici per decidere aspetti fondamentali dell’esecuzione degli ordini come frequenza, prezzo, quantità, ecc.

Questi sistemi di trading sono stati subito additati da alcuni specialisti di settore come i responsabili del flash crash in quanto colpevoli di accrescere la volatilità sui mercati. L’accusa si basa sulla falsa convinzione che la velocità con cui si gestiscono gli scambi influisca sulla volatilità del mercato. Al contrario, la volatilità del prezzo di un titolo è la misura dell’ampiezza (in altre parole deviazione standard dalla media) del movimento del prezzo, non della velocità con cui si muove. Il risultato dello scambio oggetto della compravendita non cambia.



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Questi sistemi potrebbero anzi essere visti come stabilizzatori del mercato, perché in un sistema elettronico gli ordini s’incontrano più velocemente, permettendo a domanda e offerta di combinarsi in modo quasi simultaneo, mentre in un sistema manuale prima che il processo si completi il prezzo di un titolo potrebbe, per esempio, scendere mosso da un grosso ordine di vendita.

 

Questi sistemi sono inoltre accusati di creare un vantaggio per quegli investitori in grado di accedere più velocemente alle informazioni e quindi ottenere un prezzo migliore, a discapito degli investitori tradizionali. Questo argomento è valido solo a una sotto-categoria dell’automated-trading chiamata high frequency trading o HFT (trading ad alta frequenza), strategie in cui la decisione stessa dell’ordine è iniziata dal computer alla ricerca di inefficienze di prezzo createsi in millesimi di secondo.

 

D’altra parte c’è chi fa notare che questi stessi sistemi di trading hanno fatto del mercato azionario Usa il mercato più efficiente al mondo, con molteplici vantaggi per gli investitori tradizionali: aumento della liquidità del sistema, riduzione delle commissioni e assottigliamento degli spread fra bid/ask (offerta/domanda).

 

Sta di fatto che l’automated trading oggi rappresenta il 70% dei volumi del mercato americano. Pensare di limitarne l’uso sarebbe come pensare di limitare l’uso di internet al giorno d’oggi: difficilmente praticabile, al di là di precise pratiche da bandire nello specifico – per esempio sono stati banditi i flash orders (un sistema sostanzialmente illegale per avere informazioni sul mercato prima degli altri) e si parla di bandire i colocated naked sponsor access (affitto di un server collocato fisicamente vicino ai server del mercato in modo da far passare le informazioni di scambio in modo molto più veloce, senza che avvenga nessun controllo prima dell’ordine).

 

I sistemi di trading elettronico sono a loro volta il risultato dell’evoluzione delle modalità operative degli attori di mercato, impegnati nel tentativo di essere sempre più efficaci nell’esecuzione degli ordini e risparmiare sui costi di transazione (se si fanno moltissimi scambi i costi di transazione diventano importanti).

 

In molti casi questi sistemi servono non tanto per lavorare ordini molto grossi più velocemente quanto per farlo senza esporsi sul mercato – per esempio evitando fenomeni di front-running (un broker fa un ordine solo perché sa che un suo cliente sta per eseguirne un altro). Si divide un grosso ordine in tanti altri piccoli ordini, che vengono poi elaborati in modo automatico e anonimo attraverso diverse sedi di scambio, Ecco perché è difficile per la SEC risalire all’ordine che avrebbe in origine scatenato la bufera del 6 maggio.

 

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È probabile che alla fine dell’indagine la SEC concluderà che il flash crash non è frutto di un singolo ordine, quanto piuttosto di una serie di eventi combinatisi in modo casuale. In ogni caso, per Mary Schapiro, Chairman della SEC, il livello di volatilità raggiunto durante il flash crash è “inaccettabile” e bisogna imporre misure per limitare la volatilità. Da cui la decisione di qualche giorno fa di iniziare a utilizzare, a partire da metà giugno e per un periodo prova di sei mesi, dei circuit breakers (letteralmente “spezza circuito” o “salvavita”) sulle singole azioni.

 

Si tratta di sistemi che si attivano automaticamente per interrompere le operazioni di trading se la volatilità di un titolo supera un certo livello. In questo caso specifico, se il prezzo dell’azione si muove al di fuori di una banda del 10% in un periodo di 5 minuti, il trading viene sospeso per 5 minuti.

 

I circuit breakers sono un esempio utilissimo in tema di riforma del sistema finanziario per mostrare la differenza che esiste fra l’istituire nuove regole e l’applicare queste regole in modo da raggiungere effettivamente il risultato desiderato. Dato un evento indesiderato o poco popolare (il flash crash), si è individuata una soluzione (ridurre la volatilità) e si è ideata una nuova regola (i circuit breakers). La regola dei circuit breakers appare semplice e risolutiva. Eppure apre una serie di successive questioni.

 

Primo, bisogna capire se questa regola sarà applicata in modo omogeneo a ogni sede di scambio, inclusi piattaforme non registered e dark pools. Allo stato attuale esiste una totale mancanza di coordinamento fra tutte le sedi e, soprattutto a livello di regolamentazione, esiste una grossa disparità fra registered exchanges e alternative trading systems, dato che questi ultimi operano con meno trasparenza e meno requisiti regolamentari su tanti altri aspetti. Bisognerebbe capire come affrontare la disparità fra diverse sedi sotto tutti questi molteplici aspetti.

 

Non è chiaro inoltre se sarà applicata anche ad altri strumenti, futures, opzioni e exchange traded funds (ETF), che seguono il prezzo a cui l’azione viene scambiata. Inoltre, non tutte le azioni sono caratterizzate dallo stesso livello di volatilità, che dipende dal valore di mercato di una società, del settore in cui opera, della liquidità del titolo, ecc.

 

Si potrebbe istituire una larghezza della banda limite in funzione della volatilità media di un titolo negli ultimi trenta giorni, ma anche in questo caso bisognerebbe aggiustarla per eliminare l’effetto di variazioni dovute a particolari eventi societari. Infine, è persino possibile che una volta che i trader includeranno nelle loro aspettative la possibilità di non poter effettuare scambi in un momento volatile, i circuit breakers finiscano per aumentare la volatilità ex-ante o semplicemente ritardarla nel tempo, o che il prezzo della singola azione, stabilito dalla banda limite, finisca per avere un effetto gravitazionale, cioè di accelerare il raggiungimento del limite.

 

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L’esempio dei circuit breakers mostra che nemmeno una regola apparentemente semplice è facilmente attuabile senza creare distorsioni di mercato ed effetti incerti, tanto che una misura pensata con l’obiettivo di limitare la volatilità potrebbe trasformarsi in una causa di maggiore volatilità. Un simile ragionamento vale in generale per tutte le misure su cui non c’è chiarezza: se le regole del gioco non sono chiare in partenza, la volatilità del sistema aumenta. È l’incertezza stessa la principale fonte di volatilità sui mercati.

 

La proposta di riforma del Senatore Chris Dodd è da questo punto di vista un inno all’incertezza: 1500 pagine riempite di termini generali, definizioni non specificate, aggettivi non ben definiti e rimandati alla discrezionalità di chi li interpreta, organi di controllo il cui personale bisognerà poi eleggere, modalità concrete di intervento rimandate a un imprecisato futuro.

 

La proposta di legge attuale rappresenta un assegno in bianco per il governo: quando si presenterà un evento indesiderato o poco popolare, il governo disporrà del potere necessario a far cambiare le regole al fine di proteggere l’interesse generale. Non solo non vi è tuttavia alcuna garanzia che il risultato finale coinciderà con l’interesse generale, ma nemmeno su chi deciderà, e come, quale particolare interesse è effettivamente l’interesse generale.

 

Un esempio per tutti: nell’attuale proposta di legge il concetto di too big to fail (troppo grandi per fallire) è previsto per quelle istituzioni finanziarie che sono “importanti a livello (di rischio) sistemico”. Per “importanti” si intende quelle il cui fallimento o difficoltà “concreta” potrebbe avere “conseguenze negative significative” per il sistema finanziario.

 

In altre parole la legge che mira a eliminare situazioni di too big to fail stain realtà istituendo questa categoria. Infine, saranno i nove membri del Financial Stability Oversight Council (concilio di controllo sulla stabilità finanziaria) a decidere quali banche appartengono a questa categoria. Esattamente come nel passato, non vi è garanzia che le banche che saranno salvate saranno quelle che dovevano essere salvate (Lehman no, AIG sì) ma almeno questa volta potremo dare la colpa ai quei nove.

 

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Questa caratteristica di discrezionalità della riforma, tipica di un compromesso politico, aumenta l’incertezza e genererà maggiore volatilità sui mercati. Regole semplici, in grado di cambiare i comportamenti di tutti i partecipanti perché agiscono sul sistema d’incentivi, non dovrebbero aver bisogno per essere applicate di tanta discrezionalità accentrata nelle mani di così pochi eletti.

 

Esiste una preoccupazione reale che in un Paese come gli Usa, dove la finanza regala alla politica millioni di dollari di contributi e la politica regala alla finanza la possibilità di influire sul processo legislativo, un assegno in bianco di questo genere crea l’incentivo per un rapporto corrotto fra pubblico e privato.