In attesa delle Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia, la settimana appena trascorsa ci ha offerto due importanti appuntamenti economici: l’elaborazione (peraltro ancora in gestazione) della manovra finanziaria da parte del Governo e l’Assemblea annuale di Confindustria.

Si è trattato di due momenti importanti nello sforzo di scongiurare una nuova spirale di crisi e dare invece vigore a una ripresa sinora piuttosto asfittica. La simultaneità (forse non del tutto casuale) dei due eventi ci consente di fare il punto sulle prospettive del nostro Paese nel breve e medio periodo, tenendo conto che la situazione è ancora grave come è dimostrato dal fatto che rispetto al primo trimestre 2008 abbiamo perso quasi 7 punti di Pil e oltre 700.000 posti di lavoro, mentre il ricorso alla Cassa Integrazione è aumentato di sei volte e la produzione industriale è caduta del 25%.



La manovra finanziaria, anche detta manovra correttiva o, più precisamente, decreto-legge recante “misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e la competitività economica”, è stata approvata martedì scorso dal Consiglio dei Ministri in modo quasi febbrile, sotto la spinta della crisi dei debiti pubblici europei e tra le divisioni della stessa maggioranza. Anche dopo il varo, il decreto è stato oggetto di ulteriori limature e aggiustamenti prima di essere sottoposto alla firma del Presidente della Repubblica.

Non sappiamo ancora quale sarà il risultato finale, ma pensiamo che alla fine la manovra non dovrebbe discostarsi troppo dalla versione originariamente approvata. È comunque a questa versione che faremo riferimento nella nostra riflessione, non senza rammaricarci di come ancora una volta vi sia stata troppa improvvisazione nell’operato dell’esecutivo

Il documento è in linea con le principali misure prese dal resto d’Europa e dovrebbe comportare una riduzione del deficit dal 5% di quest’anno al 2,7% nel 2012. In termini complessivi si tratta di una manovra che vale circa 25 miliardi di euro in due anni, equivalenti a una correzione dei conti pubblici dello 0,8% del Pil nel 2011 e di un altro 0,8% nel 2012, ed è divisa in tre grandi capitoli: stabilizzazione finanziaria, contrasto dell’evasione fiscale e contributiva, e sviluppo e infrastrutture.

Per quanto riguarda i primi due capitoli, sono molti i punti qualificanti della manovra: emersione degli immobili fantasma, controlli sulla spesa degli assegni di invalidità, riduzione dei costi della politica, lotta all’evasione fiscale, soppressione degli enti inutili.

Per quanto attiene ai salari dei dipendenti pubblici, ne è previsto il congelamento nel triennio 2011-2013 (in pratica gli stipendi resteranno fermi ai valori del 2010) e, sempre nello stesso periodo, è previsto un taglio del 5% per la quota eccedente i 90 mila euro annui fino a 150 mila, e del 10% oltre i 150.000 euro.

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Per quanto attiene poi alle misure a favore dello sviluppo, vale la pena di segnalare il rifinanziamento del Fondo infrastrutture e soprattutto il potenziamento di fatto della contrattazione di secondo livello attraverso l’introduzione, a partire dal 2011 e sia pure sotto condizioni abbastanza restrittive, del concetto di premialità fiscale e contributiva per la parte di salario collegata alla produttività e agli utili aziendali.

 

Si tratta di una manovra che, specialmente nella sua parte di rigore e tagli, nel complesso risulta ampiamente condivisibile. In particolare il contenimento dei salari dei dipendenti pubblici è ormai un elemento chiave per tutte le strategie di consolidamento del debito, così come essenziale appare la stretta vigilanza sulle finanze dell’amministrazione pubblica (e in questo senso è semmai un brutto segnale la mancata eliminazione delle province più piccole che sino a lunedì scorso era data per scontata).

 

Più discutibile appare invece la parte della manovra dedicata allo sviluppo, che ci sembra debole quanto a interventi strutturali capaci di incidere sui meccanismi di formazione della spesa. Bene dunque ha fatto il Presidente Marcegaglia a segnalare questa mancanza di prospettiva nel suo intervento all’Assemblea di Confindustria. Ma l’Associazione degli industriali ha anche meritoriamente avanzato una serie di proposte, contenute in un apposito documento denominato “Italia 2015”, intese a consentire una effettiva modernizzazione del Paese da raggiungersi nei prossimi cinque anni.

 

Le dieci proposte per tornare a crescere spaziano su tutte le questioni cruciali per il futuro del Paese: dall’energia al credito e finanza, dal fisco alla giustizia, dalle infrastrutture all’istruzione, dal lavoro alle liberalizzazioni, dalla pubblica amministrazione alla ricerca e innovazione. Due di queste ci sembrano particolarmente rilevanti perché riguardano grandi problemi del nostro Paese come il deficit infrastrutturale e il deficit energetico.

 

La prima proposta si riferisce alla necessità di colmare il nostro deficit di infrastrutture attraverso l’aumento stabile al 2,5% del Pil della spesa per investimenti in opere pubbliche, obiettivo da raggiungersi anche attraverso forme innovative di finanziamento capaci di coinvolgere capitali privati.

 

La seconda indicazione intende affrontare il nostro tremendo gap nel costo dell’energia, con il prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso che è in Italia di circa il 40% superiore alla media europea. Per ridurre questo differenziale, Confindustria propone di insediare subito l’Agenzia per il nucleare e definire entro il 2010 le regole per la sicurezza e l’individuazione dei siti, oltre a un aumento degli investimenti in efficienza energetica. Ci sembrano due proposte concrete e attuabili sulle quali il Governo certamente concorda. È allora urgente che quella politica del fare spesso indicata come la cifra di questo esecutivo si metta all’opera e fornisca dei risultati.

 

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Se il Governo, con la manovra finanziaria, sembra aver dato ai mercati un segnale importante di serietà nella gestione dei conti pubblici, l’Assemblea di Confindustria ha avuto il merito di porre al centro dell’attenzione dei media e della politica il problema della crescita del Paese e la necessità di liberare la creatività e lo slancio della nostra imprenditorialità, capace da sempre di creare ricchezza per tutti.

 

La politica, complessivamente, non ci sembra aver colto la lungimiranza delle richieste degli industriali e ci appare invece attardata a strumentalizzare, o peggio a litigare, piuttosto che a unire le forze per superare un momento ancora assai difficile. In questo contesto, risulta allora particolarmente apprezzabile la proposta della Marcegaglia di un Assise dell’Italia delle imprese e del lavoro, capace di generare un confronto tra le parti che assieme ai salari faccia crescere la produttività.

 

La debolezza dell’euro sta oggi dando una boccata d’ossigeno, ma solo temporanea, al nostro export. Bisogna però che tutti capiscano che la crisi dei debiti pubblici europei non è ancora risolta e che potrà essere superata solo attraverso la cooperazione tra le parti sociali a livello nazionale e tra i partner europei a livello sovra-nazionale.