Cominciamo dalla fine: Germania -0.8%, Londra -1.5%, Francia -2.2%, Spagna -2.9%; infine Italia -4.3%. Se non fossimo già passati per l’autunno 2008, diremmo che, almeno per quanto riguarda il mercato italiano, abbiamo assistito all’inverosimile e all’impensabile. L’accelerazione al ribasso che si è materializzata sugli schermi è stata a un certo punto violentissima, con le banche sospese per eccesso di ribasso e volumi scambiati da record, il mercato è arrivato a perdere oltre il 6%. Conclusioni? Questa è la parte più difficile tale è la mole di variabili in gioco.



Facciamo intanto la cronaca della giornata. L’evento clou sarebbe dovuto essere l’asta per i bond spagnoli. L’esito (bid-to-cover 2.35, tasso 3.58%, collocati 2,35 miliardi di euro) non è il massimo ma nemmeno è pessimo. I mercati però rimangono elettrici, è evidente che non si sa che direzione prendere.

Poi arriva la notizia bomba. A metà mattinata Moody’s dice che: «alla luce del recente downgrade delle banche greche, il “potenziale contagio” dei rischi di debito sovrano al sistema bancario potrebbe diffondersi ad altri paesi come Portogallo, Spagna, Italia, Irlanda e Gran Bretagna». La notizia deflagra e a nulla servono nell’ordine la risposta della Banca d’Italia, la conferma di out look stabile di S&P sull’Italia e poi, ma a mercati chiusi, la conferma del rating di Fitch.



Il mercato, nel primo pomeriggio (Wall Street apre alle 3 e mezza ora italiana), comincia a picchiare sull’Italia. Giusto per capirci il BTP ventennale (non la small cap della provincia profonda) perde in poche ore due figure e passa da 99.8 a 97.8. L’euro scende sotto 1.27. Non c’è molto da dire; persino nei bigini dei trader americani che si chiedono se per caso l’Italia sia bagnata dal mare è scritto che dopo Grecia, Portogallo e Spagna viene l’Italia.

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Atteniamoci ai fatti. La tempistica degli interventi delle agenzie di rating è stata fenomenale. Quello che insospettisce non è quello che hanno detto, ma quando l’hanno detto; una precisione millimetrica. Sinceramente non coltivare un po’ di malafede sembra impossibile. Dal Portogallo e Spagna di qualche giorno fa, messi sotto la lente di ingradimento con dichiarazioni su problemi noti e stranoti e promemoria di fatti di pubblico dominio, fino al report di oggi sull’Italia, gli interventi sembrano arrivati precisi e puntuali quando potevano fare più male. Sbizzariamoci in qualche interpretazione.

Tutto normale e tutto logico: la Grecia non ce la fa (ormai è palese), quindi è il turno di Portogallo e Spagna che sono messe male e quest’ultima ha l’economia a pezzi; poi viene naturalmente, con i suoi squilibri atavici, l’Italia. L’Italia è il punto più sensibile non tanto per il suo deficit/Pil ma perché la sua economia, il suo risparmio e il suo sistema non sono marginali all’interno dell’Europa. È fisicamente impensabile che un Paese come la Francia, tanto per fare un nome, le cui istituzioni finanziarie sono esposte per 500 miliardi di dollari verso il debito sovrano italiano, possano isolare il fenomeno Italia. Il contagio non è un rischio, è un fatto. La speculazione si è accodata ai dati di fatto.

 

 

Però distinguere cause e effetti è sempre molto difficile. La Grecia è stata il banco di prova di speculatori, fondi e hedge fund vari. È emerso che la risposta europea è fragile, tardiva, insufficiente. Quindi si fa il giro degli short Paese per Paese. Ieri il recupero finale della borsa sapeva tanto di presa di profitto di chi aveva shortato. Dove si vuole e a cosa si voglia arrivare, oltre ai miliardi già guadagnati, è oggetto di ipotesi.

Intanto si è messo a nudo l’impotenza dell’Europa in cui ormai gli unici che hanno qualcosa da dire sono i tedeschi, che nell’indecisione penseranno a salvare se stessi (come dargli torto?). La Germania e le sue industrie esportano in Brasile, India, Cina: è la linea rossa di quanto vanno ripetendo i manager dei colossi industriali tedeschi. Come dire: è vero siamo in Europa ma meno degli altri.

 

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Poi si potrebbe azzardare che l’obiettivo finale è l’euro che di certo non è nemmeno ora sottovalutato: una moneta dove per la metà dei paesi si paventa il rischio default, senza alcuna coesione tra le nazioni. Davvero non si capisce perché debba valere più del dollaro. È una constatazione che, in questo momento di difficoltà, oltre ogni dubbio piace agli americani e piace a chi sta shortando l’euro. Le speculazioni contro la moneta (ne sappiamo qualcosa noi italiani) possono dare origine a fortune da sogno e hanno persino il potere di mettere in un angolo per qualche anno i concorrenti (stiamo parlando di Stati).

Immaginare quale sia la fine del processo in atto è molto difficile. La prima preoccupazione è sulla tenuta dell’euro. Salvare tutti in una situazione, che si avvita, senza ripresa economica e con i bilanci statali (anche di chi è ritenuto virtuoso) messi male sembra un compito impossibile. Se le cose si mettessero male chi è più forte opterebbe per la propria sopravvivenza, lasciando le idilliache idee d’Europa a chi ha ancora tempo da sprecare.

Non si può pretendere che i tedeschi paghino le tasse per chi vuole continuare ad andare in pensione a 53 anni. Tralasciamo il fatto, quasi grottesco alla luce di quanto successo ieri, che l’Italia (terzo per ammontare) abbia contribuito con 5,5 miliardi di euro (l’incasso dello scudo fiscale che doveva servire al nostro stato sociale) al salvataggio della Grecia. È impensabile procedere su questa strada all’infinito.

Quello che sembra determinante, dopo quello che si è visto mercoledì in Grecia, è la forza di avere un Paese coeso e soprattutto di avere il minor tasso possibile di demagoghi e il maggior tasso possibile di gente che capisce quando è il momento di fare sacrifici e di tagliare la spesa pubblica che non serve a niente. Questo vale soprattutto se la situazione dovesse davvero (come non speriamo) mettersi male. La cartina dell’Europa (già molto opportunamente citata da Bottarelli nelle pagine del sussidiario.net) appena pubblicata dall’Economist è uno scherzo (o una minaccia?) solo fino a un certo punto.