Ieri le borse europee hanno vissuto un’altra giornata nera: travolti da report contrastanti delle agenzie di rating sul grado di tenuta delle banche europee, i mercati hanno nuovamente bruciato miliardi di euro. Piazza Affari ha chiuso al -4,27%, dopo aver toccato nel pomeriggio picchi superiori al -6%. Inoltre i credit default swaps dell’Italia sono balzati da 186,7 punti a 217,64. Anche il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è dovuto intervenire in serata per difendere l’Italia e dire che le agenzie di rating hanno perso credibilità. Un giudizio che ci viene confermato anche da Luigi Campiglio, prorettore dell’Università Cattolica di Milano e docente di Politica economica.
Professore, ieri si è creato il panico sul grado di esposizione delle banche italiane rispetto alla crisi della Grecia. Cosa ne pensa?
I dati Global Economic View relativi all’ultimo trimestre del 2009 dicono che le banche europee più esposte verso la Grecia sono quelle francesi e tedesche (da sole rappresentano oltre il 60% delle esposizioni totali), seguite da quelle del Regno Unito (circa il 10%), mentre quelle italiane rappresentano solo il 3,6%. È chiaro quindi che non c’è nessun rischio per l’Italia. Semmai sono nell’ordine Francia e Germania a dover temere di più per le loro banche.
Al di là delle banche, l’Italia è a rischio?
Il disavanzo (la misura cui apparentemente i mercati stanno dando più peso) italiano per il 2010 è previsto poco sopra il 5% del Pil, una cifra minore rispetta a quella di un paese brillante (che io favorisco da molti punti di vista) come la Francia che è all’8%. Certamente è vero che l’Italia crescerà poco, ma questo è un problema di tutta l’Europa. Non ci sono però elementi oggettivi per nutrire sull’Italia preoccupazioni maggiori rispetto ad altri paesi.
Nella Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica presentata ieri dal ministero dell’Economia si legge che nel 2011-12 sarà necessaria una manovra correttiva pari all’1,6% del Pil. Va visto come un elemento positivo?
Sì, perché favorisce il contenimento del debito pubblico. Del resto, l’Italia ha obiettivamente un rapporto debito/Pil elevato. Certo, non bisogna dimenticare che questo è anche causato dal fatto che la crisi ha fatto calare il Pil, aumentando quindi il rapporto.
Le borse e i mercati stanno precipitando in questi giorni. Perché?
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Il problema è tutto speculativo. C’è un famoso aneddoto di Keynes, che va sotto il nome di “gara di bellezza”: in una gara di bellezza, diceva Keynes, un giudice non darà il suo voto in base all’aspetto oggettivo di una concorrente, ma cercherà di indovinare chi voteranno gli altri giudici. Quello che conta non è quindi ciò che uno pensa realmente, ma ciò che pensa che gli altri pensino. Se questo è vero, ed è vero, la responsabilità sociale nell’alimentare delle valutazioni poco obiettive dov’è finita? A questo proposito le faccio un altro esempio.
Quale?
Nell’asta di titoli di stato italiani del 27 aprile c’è stato un rapporto tra domanda e offerta pari a 1,02, cioè sono stati venduti 9,5 miliardi di euro in titoli a sei mesi, mentre le richieste sono state pari a 9,8 miliardi. L’Economist del 30 aprile ha scritto che questa è stata un’asta fallimentare. In realtà, riuscire a vendere tutti i titoli per un ammontare comunque rilevante in un periodo di crisi come questo è evidentemente un successo.
Sui mercati non pesa il fatto che ancora non risulta chiaro di quanti fondi avrà bisogno la Grecia?
Che la Grecia abbia truccato i conti, recentemente come anche prima dell’entrata nell’euro, è un dato assodato. Come è certo che Goldman Sachs abbia dato il suo contributo in questa manovra. Dato che il debito pubblico di Atene in valore assoluto è un sassolino rispetto a quello di Italia e Germania, la questione poteva essere sistemata sei mesi fa. Adesso siamo nel mezzo di una crisi che mette sotto tiro, non la Grecia, ma l’euro.
Perché l’euro è sotto tiro?
Innanzitutto perché c’è da guadagnarci. Sono tanti coloro che (sia dentro che fuori dall’Europa) non hanno mai creduto nell’euro e ora hanno tante ragioni per scommetterci contro, dato che in passato ci sono stati tanti errori politici dell’Europa. Da questi si è trovata la forza per mettere in moto una valanga al ribasso come è avvenuto nelle grandi crisi finanziarie degli ultimi 10-15 anni. Il problema è che questa reazione è sproporzionata rispetto al fatto oggettivo (gli errori commessi). È come se a un ladro che viene sorpreso a rubare 10 euro venissero tagliate entrambe le mani.
Dove potrà portarci questa crisi?
Tutte le grandi crisi finanziarie hanno avuto come conseguenza un aumento del volume del debito pubblico enorme (70-80%). Il problema è che oggi sta accadendo in tutto il mondo. Questa è la seconda crisi più grave (al momento) della storia dopo la Grande Depressione. Se vogliamo trasformare una crisi mondiale in una grande recessione ci stiamo mettendo sul sentiero giusto. Il rischio reale è che nelle prossime settimane si inneschi una dinamica di paura sui mercati di tutto il mondo e già ne vediamo le prime avvisaglie.
Rischiamo di tornare ai tempi della Grande Depressione?
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Stiamo assistendo a una sorta di “guerra” tra gli stati alle prese con il problema del proprio debito pubblico: per salvarsi, uno punta il dito su un altro. Questo è però lo stesso meccanismo che ha condotto alla Grande Depressione. Allora fu generata dalle svalutazioni competitive, oggi il rischio è rappresentato dai disavanzi di bilancio pubblico. Una politica di risanamento pubblico non coordinata e non solidale rischia di ingenerare questo meccanismo distruttivo. Nel caso specifico, siamo arrivati al punto in cui si è rotto l’incantesimo dell’euro. Credo che nel giro di un anno l’Europa come l’abbiamo conosciuta fino adesso non esisterà più: speriamo solo che sia più credibile.
Nella nuova Europa occorrerà riscrivere il Patto di stabilità e crescita, dare più poteri all’Eurostat, come si sta proponendo in questi giorni?
Assolutamente sì. Potrebbero venire fuori soluzioni che richiedono grande politica, inclusa un’ipotesi di un’Europa a due velocità. Occorrerà trovare formule nuove per far sì che paesi molto lontani dal punto di vista dello sviluppo economico (come per esempio Romania e Germania) possano convergere. La moneta unica è stata finora la fase più alta del federalismo europeo. Si è pensato che l’Europa economica potesse fare da ariete anche per quella politica, ma questa crisi dimostra che non è questa la strada giusta. Il sistema Europa così com’è si è dimostrato inadeguato a fronteggiare lo tsunami della crisi mondiale. La domanda ora è: come l’Europa può essere robusta per non andare in pezzi?
Lei ha già provato ad abbozzare una risposta?
Sì. In primis occorre che l’Europa non sia più qualcosa che cade illuministicamente dall’alto, deve essere realmente un’Europa dei popoli che in parte c’è già. Occorre poi rafforzare una politica di bilancio in modo da non avere numeri che non si sa bene da dove arrivino. Mi spiego: i paesi in regola con i parametri di Maastricht sono ormai due o tre (e tra questi non c’è la Germania) e per chi non è in regola sono previste delle multe. Sembra un incrocio stradale più che l’Europa! La Germania in tutto questo quadro ha un ruolo decisivo. Il problema è che i tedeschi ritengono di aver già patito abbastanza in termini economici per la loro unificazione e ora non sembrano intenzionati a pagare per gli errori degli altri.
Cos’altro occorre per salvare l’euro?
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Occorrono regole che oggi non ci sono a livello internazionale: gli Global standard sono ancora lì che aspettano e ce ne sarebbe bisogno o quanto meno l’Europa potrebbe anticiparne l’entrata in vigore, perché è impensabile andare avanti in questa situazione in cui la psicologia della paura dei mercati domina su tutto. L’euro si può salvare se immaginiamo un cammino che renda l’area europea più convergente sia sul piano sociale che su quello economico. Questo è un piano che merita di essere almeno provato. Il rischio ora è che venga invece interrotto.
E se invece l’euro non ce la facesse?
Se vogliamo essere realisti fino in fondo, in quel caso l’Italietta della svalutazione starebbe meglio di altri. Con violente svalutazioni abbiamo tirato avanti per mezzo secolo. Speriamo però di non arrivare a questa situazione. Sono convinto che l’Europa possa ancora salvarsi.
(Lorenzo Torrisi)