Quanto è importante che la Uilm – la federazione dei lavoratori metalmeccanici aderente alla Uil – abbia approvato il piano “Fabbrica Italia” presentato da Sergio Marchionne per il futuro della Fiat? La domanda è lecita ed è tutt’altro che retorica, visto che per la prima volta il piano introduce, o vuole introdurre, in Italia i tre turni di produzione su sei giorni alla settimana, come in Polonia.
Un modo per “importare” uno spicchio di globalizzazione nel cuore del nostro Paese, inducendo migliaia e migliaia di operai, in nome della competitività produttiva, a rinunciare a una parte delle comodità conquistate in decenni di lotta sindacale e di welfare e ad assoggettarsi agli standard assai meno comodi dei Paesi di più recente industrializzazione.
Ed è una domanda lecita perché, viceversa, la posizione della Fiom Cgil, ovvero del sindacato più forte nella categoria dei metalmeccanici, è rimasta sin dal primo momento del tutto chiusa alle richieste del Lingotto.
La risposta è articolata. Banalizzando, nei corridoi della Fiom si ricorda ironicamente che i “compagni della Uilm” sarebbero da sempre il “sindacato giallo” della situazione, pronto a dire sì alla prima richiesta del padronato. C’è del vero in questa memoria, anche se nessuno può accusare la Uilm che ciò sia accaduto a seguito di evidenti conflitti d’interesse nella rappresentanza sindacale o di quei fenomeni osmotici tra dirigenza sindacale e management aziendale, ai quali proprio la Cgil ha abituato il Paese, con una costante migrazione dei leader sindacali più “ragionevoli” nelle file dirigenziali delle aziende.
La novità è cha la Uilm ha rotto il fronte dell’incertezza praticamente subito dopo la presentazione del piano Marchionne. Rocco Palombella, storico segretario generale di categoria, si è speso a favore delle idee del manager di Chieti in termini e con un’enfasi non convenzionali: “C’è veramente da essere orgogliosi della produzione automobilistica italiana dopo aver visitato lo stabilimento Fiat di Piedimonte San Germano”, ha detto ad esempio martedì, al termine di un incontro con i quadri dell’impianto. E già il fatto che un leder sindacale scelga di usare il concetto di “orgoglio industriale” è inedito.
D’altronde quello stabilimento è uno dei caposaldi del piano Marchionne, perché vi si dovrebbero dispiegare al meglio le tecniche e i processi produttivi necessari per elevare la produzione dalle attuali 130 mila a 400 mila unità all’anno.
Quanto alle due vere “spine” della trattativa, cioè Pomigliano d’Arco e Cassino, su queste invece anche la Uilm è divisa. Sull’impianto campano, in particolare, Palombella ha appoggiato le intenzioni presentate da Marchionne sottolineando che 700 milioni di euro di investimenti sull’area sono un segno talmente concreto di buona volontà che vanno rispettati e in qualche modo contraccambiati.
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Altri toni su Termini Imerese, che a dire della Uilm è l’incolpevole “orfana” del piano. Per Vincenzo Comella, segretario Uilm in Sicilia, Fiat e governo avrebbero concordato di tagliare proprio Termini per ragioni politiche (anche se in effetti non è chiaro quali).
Ma che nell’insieme l’apertura della Uilm rappresenti un segnale di svolta significativo per tutto il sindacato lo confermano anche le dichiarazioni dai toni molto più prudenti del passato rese da Gugliemo Epifani sull’intera trattativa al congresso riminese della Cgil: “Il piano Fiat richiede una trattativa sindacale di merito e dovrebbe essere sostenuto da una politica industriale, in grado di tenere qui in Italia una parte della ricerca e dell’innovazione”.
Anche qui, tutt’altro che una banalità: significa “aprire” alla trattativa “di merito”, dove ovviamente i dati a disposizione dell’azienda sono tali da convincere molto più facilmente la controparte di quel che potrebbe accadere se il confronto si fermasse sul metodo; e significa rimettere al governo parte delle responsabilità dei problemi che il piano aziendale si propone di risolvere, in questo modo ponendo una premessa logica per accettare il piano stesso come “il meno peggio” nelle condizioni date. Un modo, insomma, per iniziare a dire sì, senza dirlo ancora.
Come mai? Beh, innanzitutto perché la Fiat si è sbilanciata molto a promettere e non accadeva dall’inizio dell’era Marchionne: e il raddoppio della produzione automobilistica in Italia è una prospettiva talmente bella da far digerire molti sacrifici. E poi perché, ricordiamocelo, il “piano B” minacciato da Marchionne come risposta a un “no” sindacale significa semplicemente voltare le spalle all’Italia e concentrare tutto lo sviluppo su un estero dove dopo l’acquisizione della Chrysler la Fiat ha effettivamente campo libero. Quindi è meno ricattabile che mai.