Ormai non è più una questione di montagne russe dei mercati, di volatilità – il Vix a 35 non è piacevole ma nemmeno il dramma del secolo -, di book illiquidi ma una questione strutturale: è finita la logica degli shock esogeni, siamo in piena crisi di nervi politico-monetaria prima che finanziaria pura.
L’euro, ormai, ha rotto la soglia di supporto di 1,19 e la speculazione ha posto la prossima soglia a 1,16: se e quando vi si arriverà, il passo successivo sarà una caduta a piombo verso la parità, ovvero quel 1,03 sul dollaro divenuto bersaglio di chi sta shortando la divisa comune. Il su e giù dell’euro, d’altronde, non stupisce: è bastata la crisi simulata e tutta politica dell’Ungheria a farlo crollare e il dato industriale della Germania a farlo risalire.
Insomma, siamo in balia degli eventi quotidiani: ieri è toccato alla Spagna fare le headlines, con lo sciopero contro i tagli salariali nel settore pubblico e l’occupazione delle Borsa madrilena da parte dei vigili del fuoco. Conviene abituarsi a queste scene, saranno diffuse e frequenti nel prossimo futuro: anche da noi.
E non parlo della manifestazione del 19 indetta dal Pd contro la manovra o lo sciopero generale del 25, bensì di un qualcosa di più serio: alla base dell’instabilità monetaria c’è infatti la certezza dei mercati rispetto all’impossibilità da parte della Bce di acquistare i bond governativi dai paesi in crisi, misura principale del piano monstre da 750 miliardi di euro messo in campo dalla Banca centrale per tamponare il contagio greco nell’eurozona.
I numeri parlano chiaro: Germania a parte, i rendimenti dei titoli di Stato stanno crescendo a ritmi che mettono in dubbio, per molti analisti, la tenuta stessa dell’euro. I bond yields italiani e spagnoli, l’altro giorno, hanno toccato picchi mai raggiunti, ben più alti di quelli registrati prima dell’annuncio del famoso piano di salvataggio della Bce: insomma, Francoforte non ha rassicurato proprio nessuno.
La scorsa settimana la Banca Centrale ha infatti comprato soltanto 5,5 miliardi di euro di bonds, ragione per la quale i rendimenti stanno salendo: nelle prime tre settimane del programma di emergenza, la Bce aveva infatti comprato rispettivamente 16,5 miliardi di euro di bonds, 10 miliardi e 8,5 miliardi. In totale, a oggi, siamo a quota 40,5 miliardi di euro di controvalore.
PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO
Per Harvinder Sian, european rate strategist di Royal Bank of Scotland raggiunto a Londra da ilsussidiario.net, «la Bce non sta comprando un numero sufficiente di bonds, il suo organismo di controllo e governo sembra nettamente diviso sul da farsi, mentre i problemi legati al debito di Grecia, Spagna e Portogallo sono tutt’altro che risolti. Inoltre, è inutile negare che i policymakers in Germania siano quantomeno riluttanti nel mostrare apertamente il proprio supporto a piano di aiuto per i cosiddetti paesi periferici. Questo non può che portare a maggiore instabilità nell’area euro e domande sempre crescenti su come l’euro stesso possa resistere a una situazione simile».
Per Ralf Preusser, capo analisti riguardo gli eurotassi per BofA Merrill Lynch, «siamo davvero a un livello critico per la zona euro e la tenuta monetaria dell’unione. Ci sono veramente pochi compratori di bonds, eccetto per i mercati più liquidi. Le misure di ampliamento del programma di supporto verso i paesi periferici scarseggiano o sono poco trasparenti, quindi appare normale che gli investitori siano poco propensi al rischio e quindi all’acquisto di bonds».
Questo atteggiamento della Bce, ovvero la mancanza di volontà nell’ampliamento nel programma di aiuto ai paesi dell’area mediterranea, sta creando non pochi problemi a Italia e Spagna: finora, infatti, la Bce sta acquistando solo titoli di Stato greci, portoghesi e irlandesi, scelta che non ha caso ha fatto salire i rendimenti dei bonds spagnoli e italiani che hanno raggiunto, relativamente, i picchi di novembre 2008 e luglio 2009. E poi non dite che la Germania non ci vuole bene!
Lo spread tra i titoli spagnoli e italiani verso il bund tedesco, poi, ha toccato una forbice mai vista dalla metà degli anni Novanta. Insomma, o la Bce compra di più oppure non solo non rassicurerà i mercati – obiettivo immediato – ma soprattutto creerà un danno collaterale a Italia e Spagna per collocare i propri titoli: il problema, però, è se Francoforte avrà la volontà e, soprattutto, la disponibilità effettiva per farlo.
A questa situazione, già di per sé grave, si unisce un altro fronte di preoccupazione: la deflazione in agguato. Per Martin Wolf, guru del Financial Times, «il mondo è costellato da tante Grecia ma finirà in tanti Giappone». Ovvero, il combinato contrazione fiscale, continui problemi a livello bancario e politiche monetarie insufficienti ci porteranno allo shock negativo che colpì il Giappone nel 1997. Chi temeva l’inflazione o l’iperinflazione come conseguenza delle misure di stimolo, stia tranquillo: il problema è opposto. Il tasso di inflazione annuale tedesca è dello 0,3%, quello degli Usa dello 0,9% e, inoltre, esiste un grosso problema legato alla massa monetaria M2, cresciuta negli ultimi dodici mesi solo dell’1,6% sia negli Usa che nell’eurozona.
Il meccanismo messo in atto dalle banche centrali è inceppato e disfunzionale e la conseguenza è che le banche non forniscono liquidità al settore privato, basti ricordare il dato record dei depositi notturni presso la Bce da parte delle principali istituzioni monetarie europee. Ora la scelta è di quelle serie: una stretta fiscale anticipata può fare gli stessi danni di una stretta rimandata troppo in là nel tempo, non esistono certezze e si gioca con la categoria dell’azzardo.
PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO
Ieri i mercati hanno festeggiato il dato record dell’export cinese, cresciuto in un anno del 50%, cifra che ha un po’ rassicurato gli investitori rispetto al rischio di una recessione double-dip e prospettato una sorta di recupero a livello globale, con forti acquisti su titoli energetici e industriali, i motori della ripresa. Sarà vero? I dati di Pechino, si sa, sono da prendere con le pinze: certo, l’apprezzamento del dollaro sull’euro ha fatto in modo che la Cina ponesse il veto alla rivalatuazione dello yuan per non pagare dazio sull’export globale e questo spiegherebbe un dato macro sul breve termine, ma una crescita simile assomiglia molto alla bolla immobiliare che sta per esplodere proprio in pancia al Grande Dragone.
Attenzione, quindi, a non confondere i segnali dall’allarme con quelli di euforia immotivata: basta poco e il castello di ottimismo crollerà sotto il peso del realismo. Se davvero i conti ungheresi sono così sballati come il nuovo governo denuncia, ci sarà infatti ulteriore pressione sui titoli bancari dell’eurozona.
A livello europeo, infatti, l’esposizione totale verso Budapest è di 136 miliardi di euro, di cui la fetta più consistente è in mano alle banche austriache (37 miliardi di euro). Al secondo posto c’è la Germania con 31,9 miliardi e l’Italia con 25: seguono Belgio (17,2) Francia (11,1), Paesi Bassi (3,5), Regno Unito (2,1), Giappone (1,7) e Spagna (1,2).
Dati da prendere con le pinze, fanno notare gli analisti di Bnp Paribas che hanno stilato l’outlook al riguardo, perché, ad esempio «non specificano la quota di investimenti in titoli di Stato». Auguri vecchio mondo, auguri giovane ma già decrepita Europa del debito e dell’assenza di chiarezza politica.