Allegri, si colloca! A che prezzo, però, è tutto da vedere. E vediamolo, quindi. Rispetto al Bund tedesco a 10 anni, ritenuto il più affidabile dell’eurozona, il cosiddetto benchmark, i titoli greci quotano con un divario di 635 punti base, seguono gli irlandesi (288 punti di spread, rendimento complessivo lordo del 5,53%) i portoghesi (spread 275, rendimento 5,39%), gli spagnoli (spread 213, rendimento 4,77%), i BTp italiani (spread 143, rendimento 4,07%) e gli Oat francesi (spread 45, rendimento 3,09%). Insomma, se volete chiamatela pure Europa unita o Unione Europea, ci vuole fantasia ma alla fine ce la si fa.



Ma scendiamo un po’ nel dettaglio. Martedì la Spagna ha collocato in asta titoli a 12 e 18 mesi per un ammontare complessivo di 5,167 miliardi di euro con un rendimento in netto rialzo rispetto a quello dell’asta del mese scorso (da 1,59% a 2,23%, mentre ad aprile era addirittura a 0,9). In aumento anche le richieste: il bid-to-cover ratio – ovvero il rapporto d’importo tra domanda e offerta – è salito a 1,5 rispetto al valore di 1,26 segnato a maggio. Insomma, c’è ancora appetito sui periferici: per forza, con i tassi che sono costretti a pagare per riuscire a collocare! I mercati non credono al presunto scudo creato da Fmi e Ue con il piano monstre da 750 miliardi e vogliono rendimenti alti per placare i loro appetiti.



Allo stesso tempo, infatti, anche il costo assicurativo contro il rischio default, gli ormai stranoti cds sul sovereign debt, si é allargato, con una particolare pressione per quello greco il cui cds a cinque anni si é portato a 785 punti base (+25 punti base rispetto alla vigilia): stesso trend per i mercati di Portogallo (+30 punti base a 330), Spagna (+18 punti base a 250, quasi il massimo storico) e Irlanda (+19 punti base a 255). Evviva, si colloca mentre si balla sul ponte del Titanic ma senza musica: l’orchestra, che non è composta da fessi, si è accaparrata una scialuppa in fretta e furia e si è data a gambe. Il perché è presto detto: la Spagna sta fallendo a velocità siderale, l’ultima asta di bond suona come un de profundis beffardo e cinico travestito con gli abiti carnevaleschi del successo e anche la Germania comincia ad aver paura della nuova bomba bancaria che ha in corpo. Paura condivisa anche nella penisola iberica, visto che l’Associazione bancaria spagnola ha sentito il bisogno di emettere un comunicato in cui si definisce «per nulla spaventata dalla trasparenza».



Insomma, Madrid è pronta ad aprire i conti delle banche e rendere pubblici i risultati degli stress test voluti dall’Ue: solo così, mostrando chiaramente la gravità della situazione, potrà infatti accadere al fondo di salvataggio europeo. Peccato che questa ipotesi veda tremendamente contraria Berlino, che insiste sull’inviolabilità della segretezza (salvo poi comprare file con i dati di presunti cittadini evasori all’estero, stile Gestapo o Stasi ma d’altronde cosa aspettarsi da chi vieta il naked short sui primi dieci titoli del Dax e poi permette a Deutsche Bank di shortare il debito sovrano di Spagna e Portogallo per 2 miliardi di euro): per il numero uno proprio di Deutsche Bank, Josef Ackermann, infatti «sarebbe molto pericoloso se ogni banca dovesse pubblicare i propri risultati», poiché potrebbe scatenare una reazione a catena.

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Siamo messi male: lo confermano le parole di Francisco Gonzalez, numero uno del gigante bancario spagnolo BBVA, che ha sconvolto una platea di investitori ammettendo come «la maggior parte delle compagnie finanziarie e delle imprese iberiche è chiusa fuori, a doppia mandata, dai mercati di capitale internazionali». Non stupisce: il debito esterno del paese ha raggiunto 1,5 trilioni di euro, equivalente al 147 per cento del Pil, molta parte del quale in short-term maturities. Siamo di fronte a una partita a poker mortale, anzi a una vera e propria roulette russa degna de "Il cacciatore".

 

Gli analisti, infatti, sono convinti che la richiesta di rendere noti i risultati degli stress test avanzata dalla Spagna sia un nemmeno troppo velato attacco alla Germania, una sorta di reazione alle continue indiscrezioni dei media tedeschi – debitamente alimentati e informati da Berlino – riguardo il fatto che Madrid starebbe per chiedere l’accesso al programma di salvataggio europeo in maniera silenzioso per evitare un downgrading devastante. Se la Spagna chiederà pubblicamente accesso, l’euro sarà finito: meglio dircelo chiaro visto che gli investitori cominceranno a picchiare come fabbri e la "snowball reaction", la reazione della palla di neve che diviene valanga, sarà automatica.

 

Madrid ha soltanto due banche ben capitalizzate, BBVA e Santander, ma la strana normativa sull’accounting vigente in Spagna potrebbe mascherare la reale situazione del settore property. Il problema più serio, poi, è rappresentato dalle casse di risparmio, sull’orlo del collasso e al di fuori degli stress test europei: il loro reale stato di salute è un segreto della Bce, la quale rende noto solo che i loro prestiti equivalgono al 20 per cento dei loro balance sheets. Sarà tutta la verità? Ne dubito molto. Ciò che si sa, visto che il Financial Times ieri ci apriva la propria edizione, è il prestito record chiesto dagli istituti iberici alla Bce: 85 miliardi di euro nel mese di maggio, due volte quanto richiesto subito prima il crollo di Lehman Brothers e l’ammontare mensile più ampio dall’introduzione dell’euro nel 1999.

 

Il problema ulteriore è l’incapacità per le banche e le aziende spagnole di finanziarsi sul mercato: Madrid è tagliata fuori, può solo offrire tassi astronomici per collocare i propri bond e sperare nell’aiuto dell’Europa. Come già detto, è tecnicamente fallita. Per il resto, il silenzio regna sovrano sui reali problemi del sistema bancario europeo, tedesco in testa: ma si sa, loro regnano sovrani e quindi dettano le regole ai sudditi. Un memo riservato della Bafin, ente regolatore del mercato teutonico, parla di svalutazioni pari a 800 miliardi di euro per gli istituti tedeschi: i quali, quatti quatti e agendo sulla leva peggio di una investment bank anglosassone, hanno accumulato una doppia "razione" di perdite prima dalla crisi dei subprime Usa e poi dalla crisi del debito del Club Med.

 

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Insomma, attaccano per difendersi, fanno la faccia da duri perché in realtà – come si dice a Milano – non sanno neanche quanti ne hanno in tasca. Come dar loro torto, d’altronde. Sia per la bomba ad orologeria su cui siedono i loro istituti di credito sia perché sicuramente, a Berlino come a Francoforte, avranno letto l’ultimo report di Axa Investment Managers, l’istituto francese che ha affidato al capo del centro analisi globale, Theodora Zemek, un compito tutt’altro che simpatico: capire quante possibilità ha l’euro di resistere a questa crisi del debito. Risultato? «I mercati sono molto, molto nervosi perché hanno prima intravisto e ora visto chiaramente una falla fatale nel sistema euro e non esiste, al momento, una via d’uscita chiara. Questa crisi è più grave e avrà implicazioni molto più pesanti di quella di due anni fa: peccato che i politici non lo abbiano ancora capito».

 

Quanto reggerà la panacea del piano di salvataggio da 750 miliardi di Ue e Fmi? «Al massimo, ma veramente esagerando, diciotto mesi. Non di più, dopodiché il danno strutturale colpirà la casa comune con un più che probabile default della Grecia e una reazione a catena in tutto il sud Europa. Sarà la fine dell’euro così come lo conosciamo. Le implicazioni di lungo termine saranno, nella migliore delle ipotesi, una serie di splits all’interno dell’eurozona e, nella peggiore, la distruzione dell’euro come valuta comune. Comunque vada, non ci attendono tempi felici».

 

Per gli analisti di Axa, soprattutto dopo l’ultimo downgrade greco che vede i titoli ellenici classificati come spazzatura, «non c’è alcuna speranza che il piano Ue-Fmi possa avere successo fino a quando tratterà la trappola del debito del Club Med come una crisi di liquidità a breve termine». Insomma, avanti di questo passo e il crack di Lehman Brothers sembrerà un evento di poca importanza. La parola d’ordine di cui aver paura, infatti, sarà "contagio": rapido e inarrestabile. Il perché è presto detto: il prezzo di questi potenziali default, infatti sarà tutto in carico delle banche. Quei bond, infatti, non scompariranno, anche e soprattutto se diverranno "junk" esattamente come quelli greci: resteranno nei mercati monetari francesi o nelle compagnie di assicurazioni o negli stessi balance sheets francesi o tedesche.

 

La Banca per i Regolamenti Internazionali ha detto chiaramente che Germania e Francia, intese come istituti bancari e assicurativi, sono esposte verso Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna molto più in termini di mutui e debito delle compagnie che di debito sovrano. Questa distinzione, nei fatti, è divenuta inutile per la Grecia: la Bce ha già prestato alle banche greche 95 miliardi di euro, la gran parte dei quali in cambio di un collaterale sotto forma di bonds governativi ellenici. Evviva! Ecco il motivo per cui il settore, in Grecia, sopravvive nonostante una perdita netta della loro base di deposito del 7 per cento a causa delle fuga di capitali all’estero da parte di cittadini ellenici facoltosi: il supporto offerto a quegli istituti dalla Bce equivale al 20 per cento del loro finanziamento non-equity. <«Stiamo assistendo a un nobile esperimento appostati sul baratro del fallimento», sentenziano ad Axa. Catastrofisti che non sono altro.

 

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 P.S. Ieri l’Unione Europea ha negato, bollandole come «bizzarre», le voci di una linea di credito d’emergenza da 250 miliardi di euro verso la Spagna da coordinarsi con il Fondo Monetario Internazionale. Amadeu Altafaj, portavoce dell’esecutivo Ue, ci ha messo la faccia e un perentorio: «Posso fermamente negarlo». Ciò non toglie che domani Zapatero vedrà Dominque Strauss-Kahn, numero uno dell’Fmi ed è chiaro che questa coincidenza non ha lasciato indifferenti i mercati: si chiamano boatos, rumors, illazioni. Fate voi. Una cosa è certa: di quella linea di credito in liquidità si è parlato e il progetto è avviato, nonostante i patetici tentativi dell’Ue di negare per tutelare l’euro da un nuovo attacco speculativo.

 

Ma a breve un crollo dell’indice Ibex o il default di una o più casse di risparmio regionali, eventi previsti da molti analisti entro una decina di giorni, invocherà l’emergenzialità della situazione – esattamente come accaduto con la Grecia – e darà luce verde all’operazione, strenuamente avversa a Berlino. L’euro è agli sgoccioli, l’Europa lo segue a ruota. Prepariamoci a una stagione di sconvolgimenti: anche il Belgio, placido paese dell’Europa continentale, sta affrontando la danza macabra dei cds dopo la vittoria elettorale dei secessionisti fiamminghi e il rischio di scissione in due della nazione. Volevano fare l’Europa, hanno fatto l’euro. E ora ne paghiamo il prezzo. Il punto di resistenza per chi shorta è già a 1,16 sul dollaro: toccato quello, si crollerà a piombo alla parità, esattamente 1.03. Dopodiché, non ci restarà che affidarci nelle mani di Dio.

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