L’articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola
Ha ragione oppure torto Roberto Formigoni quando fa presente che i tagli alle Regioni, per come sono congegnati nella manovra correttiva varata dal governo, hanno effetti sicuramente contrari agli impegni contratti con gli elettori del centrodestra? La mia modesta opinione è che il governatore lombardo ha ragione. Ragione da vendere. Vediamo perché.
La mia premessa è che non solo i 24,9 miliardi di euro di saldo della manovra biennale sono da difendere, ma semmai il Parlamento dovrebbe ulteriormente rafforzarli invece di indebolirli e annacquarli, come purtroppo ho ragione di ritenere. Credo che ancora moltissimi non abbiano compreso quanto sia seria e motivata la sfiducia dei mercati verso l’eccesso di debiti pubblici dei paesi della zona euro, che tra le tre macroaree del mondo è quella a ripresa della crescita più lenta e a rischio, rispetto al più 85 atteso dell’Asia e al più 35 e passa del Pil degli Stati Uniti. Con questa premessa, voglio dire che capisco e giustifico il ministro Tremonti. Malgrado le rituali diffidenze e insofferenze di chi pensa che lo faccia solo per conquistarsi un’autonomia politica rispetto al premier, in realtà ancora una volta di fronte alle pressioni dei mercati o Tremonti forzava la mano rispetto all’ammontare della manovra, oppure l’Italia doveva rinunciare a varare le misure che Bruxelles e gli altri fori internazionali si sono precipitati a dichiarare salutari.
Dice: ma che cosa scrivi, caro Giannino? La Banca d’Italia sostiene invece che la manovra Tremonti taglia di mezzo punto la già troppo asfittica crescita italiana, che sembrava fin troppo ottimista quantificare all’1 per cento di Pil in più nel 2010… Questo è un altro paio di maniche, signori miei. Io non sono keynesiano come gli economisti dell’ufficio studi di Bankitalia, che adottano multipli alti della spesa pubblica ai fini degli effetti sulla domanda, ma detto questo noi siamo comunque costretti a seguire la via di tagli vigorosi al deficit tendenziale.
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È la Germania a spingere l’intera area euro verso questa prospettiva che, a fronte di una crescita attesa tanto risicata, è tendenzialmente deflazionistica. Sarà anche un errore – lo è, secondo me – ma in assenza di coordinamento economico europeo è ovvio che il paese leader dell’euroarea, che a differenza di tutti gli altri ha in forte attivo bilancia dei pagamenti e bilancia commerciale, tenda a fare il proprio interesse.
Detto tutto questo è però altrettanto vero che adottare la logica dei tagli lineari per importi così rilevanti alle Regioni significa penalizzare di più chi spende meglio, rispetto a chi spende peggio. L’esatto opposto di quel che, appunto, da anni e anni il centrodestra ha indicato alla sua base elettorale quando ha promesso il federalismo fiscale. Gli effetti cumulati della manovra pluriennale vedrebbero la Lombardia da sola decurtata di un paio di miliardi di euro di bilancio, quando in effetti, qualunque sia il criterio costi/qualità ancora da definire per il federalismo fiscale, come è noto tutti si attendevano giustamente che la Lombardia fosse in testa alla lista delle Regioni che devono recuperare risorse e non perderle, in nome dei risultati concreti ottenuti grazie al modo esemplare in cui hanno sin qui amministrato.
Sono per altro sicuro che sia Giulio Tremonti sia la Lega Nord sappiano benissimo che l’effetto è questo. Tagliando oltremodo i livelli di spesa della Regione più efficiente, oltre a rendere impossibile evitare di compromettere l’attuale offerta di servizi (visto che in Lombardia la “macchina” della Regione, cioè i dipendenti, costa solo il 20 per cento del bilancio), si abbassa anche strutturalmente la base di risorse rispetto alla quale la Lombardia attende dal federalismo il recupero dei denari sin qui attribuiti alla rilevante parte di Centro-Sud inefficiente. Sarà bene in Parlamento cercare di trovare un rimedio. Altrimenti, è inevitabile che Formigoni e i suoi non si limitino solo a una ferma protesta, come quella attuata in questa settimana, ma organizzino una vera e propria campagna politica. Di federalismo sostanziale e contundente.