C’è un passaggio, nelle Considerazioni finali lette da Mario Draghi il 31 maggio scorso, che rappresenta la vera novità nella filosofia economica della Banca centrale. Vale la pena riportare integralmente il passaggio, che si trova a pagina 16, primo capoverso.

Eccolo: “Le grandi banche si giudicano anche da come organizzano l’attività sul territorio: mantenere, valorizzare il rapporto con l’economia locale significa utilizzare nella valutazione del cliente conoscenze accumulate nel corso di anni, ben più accurate di quelle desumibili da modelli quantitativi; significa saper discernere l’impresa meritevole anche quando i dati non sono a suo favore; significa saper fare il banchiere. La risposta delle grandi banche alle esigenze locali, coerente con la sana e prudente gestione, deve conciliarsi con strategie e visioni globali”.



Potrebbe essere inteso, questo passaggio, come una strizzatina d’occhio al totem leghista del “territorio” in vista della scadenza del mandato del Governatore (2012). Può essere, ma questa interpretazione non esaurisce la portata della novità.

Con queste poche righe Draghi manda al macero qualche tonnellata di studi economici che hanno prodotto automatismi comportamentali che si sono, nel corso del tempo, sostituiti al lavoro di banchiere. I modelli matematici che sono usciti dalle menti di economisti e statistici sono diventati talmente importanti da stabilire loro, sulla base dei dati dei bilanci delle imprese clienti, chi è meritevole o meno di credito. Si chiamano, appunto “modelli” e il più noto è quello di Basilea2 (quelli più devastanti sono quelli usati per il trading borsistico).



Delegare ai modelli la valutazione del merito di credito ha, nei rapporti tra imprese e banche, due effetti: da una parte si escludono le imprese sottocapitalizzate e, dall’altra, si de-responsabilizza il banchiere. Ma il patrimonio delle piccole e piccolissime imprese (delle quali è fatta la struttura dell’economia italiana) non è costituito da immobili o altri beni, ma dal valore dell’esperienza dell’imprenditore: qualità che non possono rientrare in un modello.

Dall’altra parte, lasciando fare alle formule matematiche, il banchiere (che spesso è un semplice direttore di filiale locale) non ha più alcuna discrezionalità decisionale perché a decidere se dare credito o meno è la mitologica “sede centrale” che decide il destino di un imprenditore facendo elaborare i dati dei suoi bilanci da programmi informatici, senza che nessuno, della sede centrale, lo abbia mai nemmeno visto in faccia.



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Anzi, di più: i modelli impongono che il banchiere non conosca l’imprenditore-cliente per evitare di influenzare, con valutazioni personali, il corretto funzionamento della formula matematica. Questo modello bancario, comunemente riferibile alla società di organizzazione e consulenza aziendale McKinsey, impone che nelle banche la direzione commerciale sia distinta (e distante) dalla direzione crediti. La prima ha il compito di aumentare la clientela della banca, la seconda ha il compito di stabilire a chi tra questi concedere credito.

 

Le due direzioni sono indipendenti e siccome la decisione tocca alla seconda, la funzione della prima diventa semplicemente quella di implementare azioni di marketing o, al peggio, di essere il passacarte della seconda. È evidente che tutto ciò è pura follia, eppure è questo il modus operandi normale di ogni banca commerciale, soprattutto se di grandi dimensioni.

 

Draghi taglia con il passato: dice basta ai modelli economici e riporta in primo piano la funzione e la responsabilità della persona-banchiere. È lui, in base alla sua esperienza, alla sua conoscenza del territorio e dell’imprenditore, colui che è in grado di prendere decisioni “ben più accurate di quelle desumibili da modelli quantitativi” decidendo quale sia “l’impresa meritevole anche quando i dati non sono a suo favore”, cioè anche quando il modello dà un responso negativo. In questo modo il credito torna ad essere quello che è sempre stato: un rapporto tra persone.

 

Sarà utile verificare la coerenza del Governatore con questa impostazione quando, a novembre, il G20 di Seoul dovrà rivedere gli accordi di Basilea2 (Basilea3), ma certamente questa visione, che è economica prima ancora che culturale, conferma la necessità di sostenere, ancora più convintamente, la candidatura di Draghi alla presidenza della Bce. Perché un governatore di una banca centrale che afferma che un banchiere “funziona” meglio di un modello matematico non s’era ancora visto.