“La turbolenza in corso è peggiore di quella della Grande Depressione”. Questa è l’agghiacciante analisi di Soros risalente al febbraio 2009, ripresa dalla Reuters. Sempre secondo Soros, la bancarotta di Lehman Brothers ha segnato un punto di non ritorno: “Siamo testimoni del collasso del sistema finanziario, non vi sono segnali che siamo vicini a toccare il fondo”. E queste sono le dichiarazioni di Volker (attuale consigliere di Obama) nello stesso articolo: “Non ricordo un momento, neanche durante la Grande Depressione, in cui tutto è andato giù così rapidamente e così uniformemente in tutto il mondo”.
E ora, a che punto siamo dopo un anno? Un’idea precisa ce la può dare la recente “Rassegna trimestrale Bri” (“Banca dei Regolamenti Internazionali”, una sorta di banca delle Banche Centrali).
“La Rassegna trimestrale BRI del giugno 2010, pubblicata oggi, attribuisce la recente impennata della volatilità nei mercati finanziari internazionali alla perdita di fiducia degli investitori di fronte ai timori per i conti pubblici e al rischio di un indebolimento della crescita. Il pacchetto di salvataggio europeo ha arrestato temporaneamente il contagio nei mercati del debito sovrano in euro, ma le prospettive economiche restano fonte di preoccupazione.” In altre parole, ancora non si vede il fondo.
Un altro dato agghiacciante viene dai bilanci internazionali delle banche, che sono un indicatore delle attività internazionali. Tali bilanci si sono contratti per il quinto trimestre consecutivo, portando il valore attuale a 5.024 miliardi di dollari, cioè pari al 12% del valore massimo registrato nel mese di marzo 2008, pari a 40.383 milliardi di dollari.
Secondo lo stesso documento, i “sistemi bancari dell’area dell’euro risultavano particolarmente esposti verso i residenti di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, detenendo quasi due terzi degli impieghi totali nei confronti di tali economie. Fra di essi, quelli di Francia e Germania presentavano l’esposizione più elevata (rispettivamente pari a 493 e 465 miliardi di dollari) […] mentre gli istituti spagnoli detenevano la posizione creditoria più elevata nei confronti dei residenti del Portogallo (110 miliardi)”. In altre parole, se fallisce il Portogallo crolla l’intero sistema bancario europeo.
Questo è quello che ha portato un sistema monetario fondato unicamente sulla moneta debito. Che il sistema moderno sia strutturalmente percorso da crisi bancarie è anche la conclusione del lavoro di Gery Gorton “Slapped in the Face by the Invisible Hand: Banking and the Panic of 2007” presentato alla Federal Reserve Bank di Atlanta per una conferenza del maggio 2009.
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Nel paragonare l’attuale crisi finanziaria con quelle precedenti, in cui la gente correva in banca per prelevare i propri risparmi (definite come bank panic, a cominciare dal quella catastrofica del 1907) si afferma che la differenza consiste nel fatto che, data la complessità dell’attuale sistema bancario e finanziario, ora sono le stesse banche che si rincorrono l’un l’altra, nel tentativo di ritirare la liquidità. E anche queste trovano la porta sbarrata.
In questo caos finanziario, una situazione particolare sta vivendo la Svizzera. La peculiarità di questo paese è quella di essere una meta ambita di tanti capitali stranieri, di provenienza più o meno lecita, garantiti da una sicurezza e segretezza ormai storici (anche se la segretezza ultimamente sta vacillando). Ma un tale afflusso di capitali non vuol dire altro che acquisto di moneta locale, e quindi reddito da signoraggio di gran lunga eccedente le necessità dell’economia reale svizzera. E gli effetti si vedono.
L’utile della BNS (Banca Nazionale Svizzera) per il 2009 è di 10 miliardi di franchi (circa 8 miliardi di euro); questo dato è da paragonare con il miliardo di utile della Banca d’Italia. Ma occorre una ulteriore precisazione. L’utile di un miliardo è un evento straordinario. Quello del 2008, per fare un paragone, è stato pari a circa 95 milioni, una cifra simile al 2007. In Svizzera, invece, gli utili della Banca Centrale vengono distribuiti per un terzo alla Confederazione e per due terzi ai Cantoni. Siccome tale utile può avere una forte oscillazione di anno in anno, si è stabilito che per il periodo 2008-2017 la ridistreibuzione sarà di 2,5 miliardi di franchi per ogni anno (circa 2 miliardi di euro).
Ma gli abitanti della Svizzera sono appena 7,6 milioni. Questo vuol dire che il reddito da signoraggio è circa di 250 euro a testa, ogni anno. Mentre in Italia, con il reddito straordinario di 1 miliardo del 2009 diviso per 60 milioni di abitanti, siamo a 16 euro a testa. Ma se stiamo al reddito incassato dallo stato per il 2008, pari a 57 milioni di euro, non abbiamo nemmeno un misero euro. Nemmeno un euro, contro 250 euro ogni anno, già pianificati per dieci anni, dal 2008 al 2017. E non basta: le riserve attualmente accantonate per le future ridistribuzioni sono pari a 19 miliardi.
Questo è il reddito da signoraggio, dovuto in massima parte per l’afflusso di capitali stranieri. Per fare un paragone, con 60 milioni di abitanti, a 250 euro ad abitante, se fossimo svizzeri lo stato riceverebbe 15 miliardi di euro dalla Banca d’Italia, ogni anno. A chiarirci le conseguenze della perdita di sovranità monetaria c’è anche un interessante intervento di Jean-Pierre Roth, ex Governatore della SNB, avvenuto nel novembre del 2004 e tuttora pubblicato sul sito della Banca dei Regolamenti Internazionali.
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“More than national pride would be hurt by such an ‘euroization’ of the Swiss economy. For one thing, such a development would entail the loss of seigniorage income. With a monetary base of about 40 billion francs (26 billion euros), that is about 5’700 francs (3’700 euros) per person, seigniorage in our case is far from trivial. But even more seriously, the loss of monetary autonomy caused by a displacement of the Swiss franc by the euro would prevent the SNB from creating liquidity in case of need.”
Ecco la conseguenza della perdita della sovranità monetaria: non un mero sentimento di orgoglio nazionalistico, ma tremilasettecento euro a persona. Ma, proprio come diceva Roth, ancora più seriamente, la perdita dell’autonomia monetaria comporta la perdita della possibilità di creare liquidità in caso di necessità. Proprio quello che sarebbe servito alla Grecia e che avrebbe evitato l’assalto speculativo.
Anche gli speculatori, infatti, non avrebbero avuto un margine tanto ampio, di fronte ad un potere statale capace di intervenire e di svalutare la moneta, rendendo così più appetibile gli investimenti in valuta locale. Visto che invece a pagare il conto è la Bce, che emette fiumi di denaro solo a debito, gli speculatori hanno dato l’assalto alla diligenza. Tanto tutta la moneta stampata è a debito, cioè alla fine pagheremo noi, attraverso lo stato, cioè attraverso maggiori tagli o maggiori tasse.
Il recupero della sovranità monetaria è solo il primo tassello. Il secondo è quello di generare moneta non più a debito, in modo da rendere sostenibile la possibilità di pagare i debiti. Una moneta a favore delle necessità fondamentali della popolazione, cioè utilizzata dallo stato quanto meno per i servizi sociali e sanitari di base e per l’istruzione obbligatoria.
Questo dovrebbe essere l’argomento di discussione di tutti i giorni: il valore della moneta, la definizione della moneta. E di questo problema ciascuno di noi deve farsi portavoce con tutti quelli che conosciamo. Dobbiamo segnare veramente un punto di svolta per la società del futuro, italiana ed europea.