Ha scritto Stefano Cingolani sul sussidiario di giovedì scorso che quello di Pomigliano rischia di essere solo un pasticcio. Al di là di tutti i discorsi che si sono fatti e si stanno facendo sulla ex fabbrica Alfa dove si è svolto il fatidico referendum vinto (ma non abbastanza) dalla Fiat, la realtà è proprio questa nella sua disarmante semplicità: un piccolo o grande pasticcio, a seconda dei punti di vista o dello stato d’animo di chi giudica la vicenda.



Sergio Marchionne, l’amministratore delegato della Fiat, deve assolutamente mettere sul mercato, e al più presto, nuovi modelli. Le cose infatti, anche se i giornali cercano di non dirlo esplicitamente, non stanno andando bene dal punto di vista delle vendite. Passato l’effetto degli incentivi, stanno rallentando e, quello che è peggio, la quota della casa torinese si sta contraendo. Segno che la concorrenza si è fatta ancora più agguerrita, che gli altri produttori hanno lanciato modelli che sono riusciti a attrarre il pubblico, che il marketing di giapponese, tedeschi, francesi si è fatto più aggressivo.



Due episodi recenti confermano quanto la lotta fra costruttori si stia facendo dura: il gruppo Volkswagen ha acquisito il controllo dell’Italdesign di Giorgio Giugiaro, il più importante designer automobilistico italiano e forse mondiale, segno che punta con decisione al suo obiettivo di diventare il primo costruttore a livello globale, battendo la Toyota; ancora la Volkswagen è andata a creare azioni di disturbo proprio in casa Fiat: dopo averle portato via i manager Walter Da Silva (ideatore di tanti modelli) e Luca De Meo, adesso ha preso anche Giovanni Perosino, direttore del marketing dei marchi torinese che è passato, con lo stesso incarico, alla case tedesca.



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Una guerra, quindi, senza esclusione di colpi, per battere gli avversari, per poter sopravvivere. In questo quadro, azzeccare il lancio di nuovi modelli è decisivo. Lo è sempre stato, ovviamente, ma oggi sbagliarne uno significa davvero mettere a rischio il futuro aziendale. Soprattutto se quel modello si chiama Nuova Panda e l’azienda Fiat. La casa torinese non offre alla sua potenziale clientela un ventaglio vastissimo di auto vincenti. E’ praticamente fuori dall’alta gamma e dalle grosse cilindrate, salvo la station wagon Croma che ha avuto una buona accoglienza, ma non è più giovanissima.

Nei segmenti medi si difende con la Punto (avanti negli anni anche lei) mentre la Bravo è stata un’occasione mancata. Il suo punto di forza, ormai, è rappresentato solo dalle cilindrate più piccole: la 500 (un chiaro successo, il più netto della stagione Marchionne) e appunto la Panda. E con il rinnovo di quest’ultima Torino si gioca una carta decisiva. Le immagini della nuova Panda sono state anticipate dal mensile Auto e riprese dal giornale on line www.sciop.it (c’è il link proprio su il sussidiario).

Hanno convinto gli esperti, anche quelli tradizionalmente meno teneri con i torinesi. Ripeterà molto probabilmente il successo conosciuto dalla due versioni precedenti. Ma alla Fiat questo non basta, non può bastare. Quell’auto deve essere prodotta alle condizioni economicamente più vantaggiose, deve far guadagnare il più possibile perché la Fiat ha bisogno assoluto di riprendere a generare cassa.


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All’arrivo di Marchionne, cinque anni fa, era sull’orlo del fallimento. Ora la situazione è totalmente cambiata, la Fiat naviga in acque decisamente meno agitate. Però non del tutto tranquille: la crisi economica e il drammatico calo delle vendite (che ha colpito l’intero settore) ha avuto inevitabili conseguenze anche sulla situazione finanziaria del gruppo, facendo ritornare l’indebitamento a livelli non propriamente gradevoli. A farla breve: la Fiat deve guadagnare di più e in fretta.

Marchionne ha detto e ripetuto che fabbricare la Panda nello stabilimento di Thychy in Polonia, con produttività più alta rispetto a qualsiasi impianto italiano, permetterebbe di centrare l’obiettivo. Allora c’è da domandarsi – rispettosamente – perché non sia andato diritto per la sua strada: quando si è trattato di spostare il baricentro del gruppo verso gli Stati Uniti acquisendo il controllo della Chrysler, lo ha fatto senza consultare nessuno e, quasi sicuramente, la storia dimostrerà che ha avuto ragione. Anche se tutti sanno che questa decisione, inevitabilmente, ridurrà gli investimenti in Italia.

 

Sul caso Panda-Pomigliano-Thychy invece – come dicono quelli che s’intendono di calcio – ha cambiato passo. Si è dimostrato sensibile a temi politici, sociali, occupazionali. E penso che questo onestamente gli faccia onore. Ma gli affari sono affari e il problema di portare a casa più soldi su ogni Panda prodotta rimane. Quale strada verrà scelta? Per ora non si sa. Marchionne è andato in America. La questione, al momento, è allo stato di pasticcio.