È quasi trascorso un mese da quando l’Unione europea ha deciso di risolvere la grana Grecia mettendo sul piatto un piano a difesa dell’eurozona per oltre 700 miliardi di euro. Ancora, però, non ci sono novità sui cambiamenti, inevatibili, che dovranno avvenire all’interno dell’Unione monetaria, soprattutto per quel che riguarda i paesi più indebitati che rischiano di finire presto nel mirino degli speculatori come successo alla Grecia. Data questa situazione, cerchiamo di fare il punto con l’economista Antonino Galloni.



Nonostante il piano “salva-euro”, la situazione della Grecia desta ancora preoccupazioni. Qual è secondo lei lo stato di salute di Atene?

Alla Grecia non ha fatto bene l’euro. Non ha aiutato la competitività del turismo, non ha favorito lo sviluppo della manifattura specie agroalimentare, non ha impedito che il livello dei tassi di interesse sul debito pubblico dipendesse dalla debolezza della sua economia. La Grecia doveva essere aiutata a risollevarsi, ma se tutti vogliono far aumentare le proprie esportazioni e il proprio turismo…



Data la situazione, la Grecia riuscirà a ripagare il suo debito?

Se non ci sono le condizioni per ciò – fuori da uno scenario di fuoriuscita dall’euro con forte inflazione che ridimensiona i debiti – non si capisce nemmeno perché si prestino i soldi e poi si dica che la Grecia non ce la farà; l’unica spiegazione è che ci sia una connessione tra chi presta e chi specula.

Vuol dire che di fatto le autorità monetarie hanno favorito la speculazione?

Voglio dire che mi pare veramente strano che le autorità monetarie europee accettino il rischio e il danno di quello che sta per succedere per loro stessa ammissione – il fallimento della manovra per la Grecia – mentre i titoli a elevato interesse, così generati, servono a chi cerca di guadagnare sulle difficoltà degli altri.



C’è un reale rischio contagio in Europa? Risolto (o rimandato nel tempo) il problema della solvibilità della Grecia, c’è il rischio che lo stesso problema riguardi altri paesi dell’eurozona?

Il problema riguarda già Paesi come la Spagna e il Portogallo; in misura persino maggiore della stessa Grecia. Se non cresce il Pil, se non si aggancia la ripresa chi – tra i Paesi con maggiore debito – potrà dare almeno l’idea che sta creando risorse per fronteggiare gli impegni? Il rischio più grave è che il caso Grecia “faccia scuola”: Spagna, Portogallo, Irlanda e, a novembre Italia, saranno costrette a far lievitare i tassi di interesse sui rinnovi dei titoli di Stato e ciò genererà un allargamento del mercato speculativo consentendo a chi passa per “solido e affidabile” di mantenere bassi i propri tassi e competitiva la propria economia.

Si può evitare questo rischio?

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Per evitare ciò occorrerebbe che i titoli pubblici fossero dell’Unione Europea a tassi bassi pagati dai singoli Paesi che ne hanno bisogno, ma evitando che la loro debolezza determini peggioramento delle loro condizioni. Ma ciò significherebbe, da parte dei Paesi “forti” rinunciare a un po’ di esportazioni e a un po’ di competitività relativa. È difficile che lo facciano: sono egoisti, pronti a prestare soldi e anche a perderli, ma non a ceder potere.

 

Come giudica la recente manovra finanziaria italiana?

 

Penso che si muova nella vecchia logica di mostrare quanto siamo bravi e affidabili invece di trovare strade comuni e alternative; perciò è un segnale di debolezza. Potrebbe addirittura risultare controproducente e innescare l’esigenza di fare qualcosa di più pesante dopo le aste di novembre; ma un singolo Paese può fallire nel fronteggiare i modi degli speculatori sovranazionali.

 

Quali sono le priorità che dovrebbe avere il governo italiano?

 

Dovrebbe cercare, prioritariamente, di riaprire tutto il discorso sui parametri di Maastricht. Uscire dalla logica fallimentare dettata dalla schizofrenia tra convergenza (su parametri finanziari solo arbitrari nella natura e nel livello quantitativo che son già tutti belli e saltati) e coesione che dovrebbe compensare i disastri della prima. Occorrerebbe muoversi su una sola logica, di convergenza, ma su parametri reali e scientifici come la crescita potenziale di ciascun Paese; per stabilire il pareggio del bilancio pubblico a riguardo della spesa corrente, coperta da tassazione, da una parte e, dall’altra, gli investimenti che, invece, sono una funzione del futuro: non si basano semplicisticamente sulla disponibilità di risorse.

 

Come giudica la decisione del governo tedesco di impedire le vendite allo scoperto di certi titoli? Hanno una qualche valenza finanziaria oppure sono un mero tentativo politico, per tentare di salvare le banche tedesche piene di titoli tossici?

 

È una misura che andava presa qualche decennio fa; intendiamoci, è buona anche adesso, ma se uno s’è preso la polmonite, va bene se si mette la canottiera di lana, ma deve anche curarsi. Voglio dire che di titoli tossici adesso ce n’è in giro più di un milione di miliardi di dollari; quindi occorre neutralizzarli, sterilizzarli; questo si può fare solo se gli Stati collaborano tra loro requisendoli e utilizzandoli come se fossero credito per finanziare investimenti di largo respiro capaci di stimolare la ripresa e, quindi, rilanciare gli investimenti dei privati che, giova ripeterlo, ci saranno solo dopo la ripresa e non prima. È stato l’errore fondamentale anche in tema di tagli della spesa e delle tasse: ai privati non servono le risorse (liberate dalle politiche dei tagli), ma le prospettive di sviluppo. Queste ultime dipendono dalla spesa per investimenti produttivi, ovviamente sganciata dalle risorse accumulate e, invece, agganciata a una realistica valutazione delle potenzialità di crescita.

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