La rivoluzione, forte e originale, proposta dal presidente Berlusconi e dal ministro Tremonti, che ruota attorno alla proposta di modifica dell’articolo 41 della Costituzione, risponde certamente a un bisogno sentito dalle centinaia di migliaia di imprenditori che lavorano senza sosta insieme ai milioni di impiegati e operai che collaborano con loro per produrre ricchezza per tutti.
Il bisogno è quello di concentrarsi sull’innovazione, la produzione, la vendita dei prodotti o servizi, i pagamenti e gli incassi, senza perdere troppo tempo per adempimenti burocratici. Un po’ di tempo è fisiologico, perché comunque alcuni adempimenti sono necessari sia per dare prova di rispettare le leggi che per migliorare l’ordine della gestione aziendale. Ma, è fin superfluo scriverlo, in Italia gli imprenditori e i loro dipendenti ne perdono una quantità esorbitante.
Il dubbio è che la revisione di una legge costituzionale richiederebbe un tempo più lungo della approvazione della proposta di legge “Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese” sostenuta dall’on. Vignali e da altri 130 parlamentari.
Il meglio può essere nemico del bene e allora, pur se forse la proposta di revisione costituzionale potrebbe sancire con maggior forza un cambiamento culturale necessario a distanza di oltre 60 anni dalla stesura della nostra Carta costituzionale, mi parrebbe più ragionevole accelerare il più possibile l’iter della proposta Vignali per arrivare in tempi rapidi a rendere più facile la vita degli imprenditori e dei lavoratori impegnati nelle piccole (e medie e grandi) imprese.
Per arrivare all’approvazione di tale proposta di legge, senza snaturarla, occorre snidare i nemici delle imprese e, dunque, i nemici degli imprenditori e degli impiegati e operai che lavorano con loro. Ho l’impressione che alcuni oppositori non siano “convertibili”, perché agiscono sulla base di un pregiudizio che nega la realtà: purtroppo questi vanno solo messi in minoranza.
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Credo però che molti potrebbero cambiare le loro opinioni ascoltando gli imprenditori, andando a vedere le loro fabbriche o i loro uffici. Non bastano le analisi, pur utili, prodotte dai vari organi di rappresentanza del sistema delle imprese: occorre, secondo me, andare a vedere le singole imprese per capire bene di che parlano, quando dicono che fanno fatica a lavorare perché le condizioni di contesto in cui operano non sono facilitanti.
Qualche anno fa ricordo che gli onorevoli Bersani e Letta fecero un lungo giro presso i distretti italiani: magari poi non sono riusciti a tradurre ciò che hanno visto in proposte, ma il metodo è quello giusto. Così come stanno facendo alcuni parlamentari e amministratori leghisti che, prima di formulare proposte, semplicemente chiedono agli imprenditori di che hanno bisogno.
E così stanno facendo l’on. Vignali e gli altri parlamentari che hanno presentato la proposta di legge che, lo si capisce leggendo l’articolo di Vignali di lunedì proprio su ilsussidiario.net, nasce da una consapevolezza chiara della realtà. Incidentalmente, l’azione dei giornalisti può facilitare questa conoscenza diretta: il vasto lavoro condotto da Dario Di Vico sul Corriere della Sera assume come metodo proprio quello di andare a vedere, di descrivere, prima che di commentare.
Ma supponiamo pure che si “converta” un numero sufficiente di oppositori e si arrivi rapidamente all’approvazione della proposta di legge, mentre magari su un binario parallelo viaggia la proposta di modifica costituzionale. Non sarà sufficiente, perché poi occorrerà ottenere la collaborazione di almeno altri due attori: gli uomini e le donne degli uffici della pubblica amministrazione, che quotidianamente prendono decisioni che riguardano le imprese, e i magistrati che devono poi talvolta entrare nel merito di alcune scelte fatte dagli imprenditori.
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La rivoluzione culturale che deve riguardare questi soggetti mi pare più profonda e ampia e, quindi, più difficile. Per questo, credo che sia necessaria una azione coordinata e corale nella quale intervengano almeno anche i ministri Brunetta e Alfano. Per agire poi sul lungo termine dovrebbe agire anche il ministro Gelmini spazzando via dai programma scolastici tutti gli ideologismi contrari, per principio, alle imprese.
Stiamo parlando di una rifondazione culturale che riconosca agli imprenditori e ai lavoratori che collaborano con loro un valore positivo, utile “a fini sociali”. Una obiezione latente nasce dai comportamenti di alcuni imprenditori: come in tutte le categorie sociali ci sono anche tra gli imprenditori persone che si approfittano degli altri a loro esclusivo beneficio personale, ma non vi è dubbio che la grandissima maggioranza sono persone che con passione, dedizione, sacrificio, creatività stanno cercando di dare il loro contributo a migliorare le condizioni di vita del nostro paese.
Lo dimostra il fatto che dopo lo schiaffo della crisi molti hanno saputo affrontare il travaglio che porta a una nuova nascita, recuperando con azioni incisive posizioni competitive a livello internazionale.