L’intervista è tratta dal numero di Tempi in edicola

Davanti alla platea di un convegno promosso dalle Settimane sociali della Cei a Verona nelle scorse settimane, Stefano Zamagni ha tirato fuori il suo spirito di professore bolognese per una tirata di orecchie al mondo cattolico in tema di «sterco del demonio», ovvero finanza e denaro: «Il mio vecchio arcivescovo Biffi diceva che sarà pure sterco del demonio, ma il soldo concima molto bene». Già, perché l’affermato docente di Economia politica all’Università di Bologna, una delle “menti” dell’enciclica Caritas in veritate, ha scandito nell’assise scaligera dedicata a “Finanza sociale. Finanza plurale”: «I cattolici si sono fatti sfilare la finanza, che i cristiani hanno inventato nel Quattrocento. La prima borsa nasce a fine ‘400 a Firenze, poi sono venute le banche di credito cooperativo, personaggi come Tovini e Toniolo. Oggi chi governa la finanza è la massoneria, non è un segreto». Con Tempi il professor Zamagni ha accettato di affrontare le questioni economicamente “calde” nel mondo, a un anno dall’enciclica.



Professor Zamagni, lei recentemente ha affermato che l’attuale crisi economica «durerà ancora qualche anno». Perché?

Come in tutte le crisi economiche, anche quella che stiamo vivendo ha una fase acuta e degli effetti di strascico. La fase acuta l’abbiamo superata da diversi mesi, gli effetti indiretti si faranno sentire per 3-4 anni a seconda dell’andamento del sistema. Questo è un fatto normale se si pensa che la grande crisi del ‘29 trascinò le sue conseguenze fino al ’34-‘35. Il discorso da fare però riguarda il modo in cui si debba uscire da questa crisi. I governi hanno spento l’incendio finanziario due anni fa ma non hanno modificato le regole del gioco: o perché non hanno voluto o perché non hanno potuto dare al sistema finanziario altre regole, che ancora oggi sono quelle di prima. Le grandi banche hanno solamente rallentato la speculazione, ma c’è già ora un dato di fatto: i profitti bancari hanno ricominciato a crescere. E la distribuzione del reddito è peggiorata, tanto che dalla crisi i segmenti di reddito più alti hanno aumentato la loro ricchezza del 21%. Nessuno lo dice, ma nella crisi c’è anche chi ci ha guadagnato. I governi, che hanno aiutato le banche nel momento del bisogno, non hanno imposto agli istituti di credito delle altre regole, cosa che forse in quel momento le banche avrebbero accettato. Questo è avvenuto per dissidi tra i governi, con Inghilterra e Germania che hanno rafforzato le loro posizioni nazionali. Questa divergenza ha impedito una presa di posizione comune a livello europeo.



Che provvedimenti andrebbero presi a livello internazionale?

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Una serie di riforme, tra cui l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie. Molti economisti non la considerano opportuna, ma secondo me è una misura giusta. Inoltre occorre stabilire una volta per tutte che l’interesse economico di un’azienda non è solo degli shareholders, cioè degli azionisti, ma di tutti coloro che concorrono a quell’impresa (stakeholders), a cominciare dai lavoratori e il territorio. Infine, un’azione sulle agenzie di rating per renderle veramente indipendenti, non legate alle banche al punto che, se queste ultime pagano bene, le agenzie emettono su di loro un buon giudizio, come avvenuto in questa crisi.



Un anno fa veniva pubblicata l’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI. A 12 mesi di distanza, quale bilancio si sente di fare?

Nessuna enciclica a livello “pubblicistico” ha ricevuto un’accoglienza pari a questa. Padre Salvini de La Civiltà Cattolica ha censito oltre 6.500 conferenze in tutto il mondo dedicate a questa enciclica. Io ne potrei citare numerose cui ho partecipato in prima persona: l’università di Princeton o quella di Chicago, naturalmente non cattoliche, hanno organizzato dei seminari di studio ad hoc. In Italia sono stato in 53 diocesi a parlare di questo documento. Nei primi 5 mesi di pubblicazione la Caritas in veritate è stata il libro di saggistica più venduto in Italia: mai accaduto niente di simile prima con un testo papale. Anche la stampa vi ha dedicato molta attenzione. Sul versante della traduzione dell’enciclica nella pratica bisogna aspettare, perché per questo ci vuole tempo. L’enciclica di Benedetto XVI è molto innovativa e da molti non è stata capita, appunto perché introduce una nuova categoria di pensiero: accanto allo Stato e al mercato, nell’economia deve essere introdotto un altro elemento, un terzo pilastro, ovvero il concetto di dono e di gratuità. Nemmeno Giovanni Paolo II era arrivato a tanto, perché egli aveva suggerito che il contributo extra-mercantile si limitasse alla Chiesa, alla famiglia, all’associazionismo. Questo Papa invece dice che la gratuità deve entrare nell’agire economico normale. E guarda caso i grandi gruppi massonici hanno giurato al Papa di fargliela pagare, come si è visto. Per i non credenti è impossibile pensare di fare economia in una logica di dono: per loro è una bestemmia. In pratica il Papa sostiene che il dono non va limitato all’offerta, ma anzi diventa una sfida economica, per esempio con le banche di credito cooperativo. Queste fanno atti gratuiti dentro la loro normale attività finanziaria, non con la beneficenza a fine anno, come le banche speculative.

Nel convegno di Verona promosso dalla Cei sulla finanza, lei ha dichiarato che prima del welfare «bisogna riformare la finanza per renderla più pluralistica». Come attuare questo intendimento?

 

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Questa è una delle vie che suggerisco per uscire dalla crisi, uno strumento molto concreto che può impedire esperienze analoghe. Se ci fosse stata una finanza più pluralistica, ovvero con la presenza di banche che non rispondono solo al principio della speculazione finanziaria, la crisi scoppiata avrebbe avuto un impatto più leggero. Bisogna modificare gli assetti legislativi per consentire la fioritura di banche del territorio, come lo sono le banche di credito cooperativo o, per certi versi, le popolari. Certo, molti dicono: «Anche le banche speculative sono nel territorio». Ma io parlo di banche “del” territorio, cioè che reinvestono nel territorio gli utili che hanno ottenuto da lì. Mentre le banche speculative fanno profitti in Emilia Romagna o in Toscana, ma il forziere è altrove e viene utilizzato secondo altre logiche. Questo non è tollerabile. Per questo motivo c’è bisogno di banche cooperative e popolari o di altre forme, come le banche etiche. La legislazione di oggi, però, e mi riferisco a Basilea 2 e alla futura Basilea 3, è tale per cui questa fioritura è resa estremamente difficile. 

  

(Lorenzo Fazzini)