La crisi di fiducia sul debito e sull’euro, scatenata dal caso greco, ha costretto il governo, in poche settimane, a dimostrare al mercato che l’Italia avrebbe saputo contenere con megatagli i deficit annui e, pertanto l’aumento del debito cumulato. Al momento i calcoli fanno ritenere che 25 miliardi tra decurtazioni e nuove entrate, nel 2011 e 2012, possano bastare. Ma, sottovoce, molti, tra cui la Banca d’Italia, temono o prevedono che bisognerà arrivare in pochi anni alla situazione di pareggio di bilancio, cioè di deficit (quasi) zero annuo, perché diventerà un requisito europeo imposto dalla Germania per rendere solido l’euro. Berlino, per legge costituzionale varata nel 2009, lo applicherà dal 2016 in poi nel bilancio federale e dal 2020 a quello degli enti locali.
“Deficit zero” significa non poter più contare sul margine di indebitamento annuo dello Stato entro la soglia del 3% del Pil, che per l’Italia significa circa 45 miliardi. Inoltre un debito pubblico ottiene fiducia e minori costi di rifinanziamento non solo se non aumenta, ma, soprattutto, se aumenta la crescita del Pil. Pertanto il criterio di deficit zero va calcolato inserendo anche la riduzione delle tasse. Il che significa dover tagliare dai 40 agli 80 miliardi, probabilmente 60 oltre a quelli già previsti, di spesa strutturale. Tale cifra implica un grande cambiamento di modello economico e dobbiamo valutare come il governo dovrà gestirlo.
La prima reazione del governo alla necessità di tagliare di più e prima del previsto è stata disorganizzata. Lo ha rilevato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, con un duro rimprovero al ministro dell’Economia, Tremonti, per aver sostituito con atto di imperio, sostenuto da un linguaggio ricattatorio – «o così o insolvenza dell’Italia» – la funzione di coordinamento del Primo ministro.
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Con questa posizione Letta ha voluto rimarcare che tagli di spesa così pesanti hanno bisogno di un processo articolato di studio e condivisione con chi è oggetto di decurtazione. Per esempio, ogni Regione deve avere il tempo per rappresentare il proprio modello economico specifico per capire come riorganizzar la spesa. Così non è successo.
Da un lato, esistono motivi d’emergenza per semplificare la complessità politica. Dall’altro, non si può governare a frustate perché poi la “bestia” si ribella. In particolare non lo si potrà se sarà necessario tagliare di più. Da notare, poi, che Tremonti ha portato Berlusconi a sostenere presso la Ue una posizione politicamente debole: il debito di una nazione va calcolato sommando quelli pubblico e privato. In Italia il secondo è minore e ciò renderebbe la sua posizione meno grave, comparata con altri. Ma il debito pubblico è un oggetto preciso e non si scappa. Quando la Commissione Ue lo ha rimarcato, ironizzando, l’Italia ha fatto la figura di chi si vuole svicolare proprio in un momento in cui ha la priorità di dimostrarsi credibile.
I guizzi di genio non funzionano in questa materia. Inoltre serve strategia e non solo tattica. L’obiettivo dell’Italia è convincere il mercato che metterà i conti in ordine e aumenterà la crescita. Non è necessario farlo realmente, per dire, in 5 anni rischiando la destabilizzazione. Quello che è importante è rendere credibile il percorso e l’esito finale in modo da adattare i tempi di esecuzione alle reali possibilità. A me sembra che l’attuale conduzione economica sia troppo tattica e perfino isterica. Per questo ne raccomando una più carica di competenza strategica, coordinata dal Primo ministro via un ufficio speciale che includa i Presidenti di Regione ed una rappresentanza dei sindaci.