Secondo la CNN, mediamente uno studente americano al momento della laurea ha cumulato debiti per prestiti di studio per circa 21.000 dollari. In una nazione ancora sotto gli effetti del disastroso scoppio della bolla derivante dai mutui subprime, sta iniziando a manifestarsi il timore che anche la forte esposizione per i prestiti agli studenti possa dar luogo a una nuova bolla con risultati simili.
Ilsussidiario.net ha quindi intervistato Richard Vedder, professore di Economia alla Università dell’Ohio, per approfondire le cause di questa possibile bolla, legata anche al fatto che le università americane risultano essere ancora le più costose del mondo.
Professor Vedder, innanzitutto, ci può aiutare a capire perché le università americane sono così costose?
Un primo problema è che attualmente “parti terze”, cioè diverse dai “consumatori” (gli studenti) e dai “produttori” (le università), stanno pagando la maggior parte dei costi delle università. Di solito si tratta del governo, che mette in campo sovvenzioni, sussidi, e prestiti. Anche se i prestiti vengono alla fine restituiti, a breve termine è il governo che copre i costi.
Perché questo è un problema?
Perché quando qualcun altro paga, c’è la tendenza a essere meno preoccupati di quanto costi un servizio. Anche quando c’è un aumento delle rette assistiamo a un incremento dei prestiti agli studenti o del numero di borse di studio. Non bisogna poi dimenticare che le nostre università sono in maggioranza enti non profit, quindi chi le dirige è meno incentivato a tagliare i costi rispetto a quanto avviene in un’azienda privata.
Da quanto ci sono continui aumenti delle tasse universitarie?
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Gli aumenti più importanti ci sono stati già a partire dagli anni ‘70, quando sono cresciuti fortemente gli aiuti agli studenti da parte dello Stato con prestiti e borse di studio. Tanto per fare un esempio, quando negli anni ’60 ero studente a Northwestern (un’università privata) pagavo 790 dollari l’anno, mentre oggi ne servono circa 50.000. Quando invece ho cominciato a insegnare (a metà degli anni ’60) in un’università statale, gli studenti pagavano circa 450 dollari l’anno, mentre ora ce ne vogliono 10.000.
Perché questi aumenti così forti?
Il fatto è che più gente vuole frequentare l’università proprio perché è più facile trovare i soldi per pagare le rette. Gli atenei, tuttavia, accettano lo stesso numero di persone di 40 anni fa. In altri termini, con questi programmi si è aumentata molto più la domanda per l’educazione rispetto all’offerta. Se da un lato questi programmi aiutano i ragazzi ad andare all’università, in realtà il loro effetto più grande è stato quello di far lievitare le rette. Tanto per essere chiari, se si lasciano cadere soldi dal cielo sulle università, queste trovano comunque un modo per spenderli.
Due anni fa lei ha scritto che i prestiti per gli studenti universitari costituivano il 70% di tutti i prestiti governativi. La situazione è ora cambiata?
I dati statistici non sono cambiati di molto, ma è cambiata la filosofia dell’amministrazione Obama rispetto a quella precedente di Bush. La tendenza (sancita con un provvedimento approvato dal Congresso all’interno della riforma sanitaria) è ora quella di passare da un sistema di prestiti privati (il governo infatti dava sovvenzioni a prestatori privati) a uno in cui i prestiti sono erogati agli studenti direttamente dal governo. L’amministrazione Obama sostiene che così sarà possibile ottenere dei notevoli risparmi, ma non tutti sono d’accordo.
La situazione dei debiti degli studenti è simile a quella della crisi dei mutui?
La bolla immobiliare è scoppiata perché il denaro era facilmente disponibile per chi voleva comprare case. I bassi tassi di interesse e gli scarsi controlli delle autorità sulle banche hanno fatto sì che nel periodo 2002-2008 fossero concessi prestiti a persone con discutibili possibilità di restituirli. Una situazione simile a quanto avviene con i prestiti agli studenti. Quasi il 50% di chi comincia gli studi universitari non si laurea neppure dopo 6 anni (il periodo normale dovrebbe essere di 4 anni). Nel frattempo, come per le abitazioni, i tassi di interesse sui prestiti sono rimasti artificialmente più bassi (un range tra il 3,9% e l’8%) di quelli di mercato, grazie alle politiche del governo. In sintesi, molti studenti senza nessuna capacità di credito hanno ottenuto prestiti sempre più considerevoli con bassi tassi di interesse. Una situazione molto simile a quella della bolla immobiliare.
Dovremo quindi aspettarci una nuova crisi?
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Potrebbe arrivare, ma sarebbe diversa, perché da un punto di vista finanziario l’entità è minore e quindi vi sarebbe un effetto limitato sull’economia generale. Inoltre la maggior parte dei debiti è verso il governo federale, che non andrà in bancarotta come hanno rischiato alcune delle grandi banche durante la crisi immobiliare: se il governo si troverà nei guai potrà sempre prendere altri soldi a prestito, anche se così si indebolirà.
Che rischi si corrono allora?
Il vero problema è la situazione di grave difficoltà in cui verranno a trovarsi milioni di giovani. Alcuni hanno preso in prestito somme molto grandi, ma non riescono a laurearsi, e questo non li favorisce nel restituire i soldi. Altri si laureano, ma poi continuano gli studi, per diventare medici o avvocati. Per questo hanno bisogno di ulteriori prestiti. Questa situazione riguarda sempre più persone e sta diventando sempre più pericolosa.
Che previsioni si possono fare circa lo scoppio di questa bolla?
Siamo già arrivati ai primi stadi dello scoppio. L’inizio della crisi immobiliare si è cominciato ad avvertire con la caduta dei prezzi delle case, ma probabilmente non ci sarà un crollo simile nel costo delle università. Credo che se la situazione verrà sufficientemente discussa sui media, e se vi saranno molte persone che andranno in bancarotta a causa di questa situazione, forse la gente eviterà un certo tipo di università.
In che modo le università risentiranno di questa situazione?
Credo che soffriranno di più quelle costose, ma non prestigiose quanto per esempio, quelle della Ivy League (Harvard, Princeton, Yale, ecc.). Ci si chiederà, per esempio, perché frequentare un ateneo che costa come Harvard o Yale, senza averne però il prestigio, quando ci si può iscrivere a una scuola migliore che costa meno. Personalmente mi aspetterei di vedere la gente scegliere una buona università statale invece di una privata. E chi non può permettersi le migliori università statali potrà rivolgersi ai “community college” (università senza campus, di qualità inferiore e con corsi prevalentemente serali, ndr) Attualmente il maggior incremento di iscrizioni sta avvenendo proprio ai “community college” e alle università “for-profit,” dove le rette sono inferiori a quelle di Yale o Harvard.
Cosa si può fare per evitare questa crisi?
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Credo che alla lunga l’educazione universitaria trarrà vantaggio dall’uscita del governo federale dal sistema dei prestiti, o almeno da una riduzione del suo intervento, perché i suoi sussidi sono un aperto invito per le università ad aumentare le tariffe. Il ciclo è questo: il governo aumenta ogni anno del 5% l’ammontare dei suoi prestiti, di conseguenza, le università aumentano le loro rette del 5% ogni anno, e la situazione degli studenti non migliora. Con qualche differenza, la stessa cosa accade con il programma per le borse di studio. Si deve in qualche maniera rompere questo circolo.
Mettere un freno ai prestiti agli studenti, non creerebbe problemi al sistema educativo americano?
Penso che qualche rischio ci sia. Non si deve cambiare tutto da un giorno all’altro, sarebbe dirompente, perché gli studenti già all’università si troverebbero improvvisamente senza la capacità di pagare le rette. Si deve introdurre il nuovo programma in un periodo di 3 o 4 anni, creando protezioni per gli studenti che studiano con l’aiuto dei prestiti e abituando le persone all’idea di accumulare i risparmi necessari agli studi. Nel frattempo occorre continuare ad aiutare chi è veramente bisognoso e sperare che le famiglie di classe media e alta cambino le loro abitudini.
In che senso?
Un tempo i genitori facevano molti sacrifici per mandare figli all’università, rinunciando ad andare frequentemente al ristorante, a comprare una nuova macchina e a vivere nel lusso. Oggi questo avviene di meno, perché la gente semplicemente prende a prestito più soldi. A mio parere, le classi abbienti sono in grado di tagliate le loro spese, anche se ciò può sembrare spiacevole, per mandare i figli all’università. In breve, credo che tagliare i prestiti ci farà un gran bene, nel lungo termine, e non impedirà a nessuno di frequentare l’università.
(Mariangela C. Sullivan)