Di Antonio Quaglio – Caporedattore responsabile Plus24 -Il Sole 24 Ore

Sei anni fa – era l’inizio del 2004 – la modernizzazione della vigilanza finanziaria guidata dalla tutela del risparmio appariva un’urgenza solo al ministro dell’Economia italiano. I crack Cirio e Parmalat avevano scosso il sistema-paese assai più di quanto il collasso di Enron avesse allarmato l’America. Quaranta giorni dopo il fallimento Tanzi – che rovinò 100mila piccoli azionisti e obbligazionisti – Giulio Tremonti presentò un disegno di legge che puntava a trasformare la Consob in super-authority dei mercati, ridimensionando la Banca d’Italia di Antonio Fazio e dando spazio anche a Isvap, Covip, Antitrust. Londra aveva già riorganizzato la sua Fsa a lato della Banca d’Inghilterra. Ma in quel “Tremonti standard”(solo poi divenuto “global”) era nuova la centralità della difesa del risparmio diffuso e il realismo nel tentare di ricombinare vecchio e nuovo tra i “regulator”. Lo stesso “mix” che c’è nella «legge Obama» su Wall Street firmata nei giorni scorsi. Lo stesso “sentiment” espresso dai 1003 italiani intervistati nel sondaggio esclusivo Ipsos per «Plus24».



La super-authority italiana, poi, non si è fatta. E sei anni dopo, neppure il Consumer Financial Protection Bureau solennemente istituito dalla Casa Bianca sembra possedere uno vero “status” di “cane da guardia”. È ancora, inevitabilmente, una scommessa politico-istituzionale: una sorta di difensore civico incaricato di incunearsi tra Fed, Sec e “big banking”; di pungolare giorno dopo giorno le grandi burocrazie finanziarie e di tener testa al lobbismo di Wall Street. Ma tant’è: da qualcosa Obama (molto votato dal “risparmio tradito”) doveva pur partire. E da qualcosa anche l’Italia (in Europa) dovrà pur ri-partire.



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Gli italiani non hanno certo dimenticato la provocazione di Tremonti, poi tradotta dal governo “Berlusconi 2” nelle legge 262 del 2005, testualmente battezzata “per la tutela del risparmio”. Una legge che, tuttavia, è rimasta inequivocabilmente incompiuta se – nel sondaggio Ipsos (pagine 4-5) – il 62% del campione giudica «poco» o «per nulla» efficaci i sistemi di controllo sull’industria del risparmio. È vero che negli ultimi mille giorni l’intero sistema finanziario globale è stato disastrato. Ma che dire egualmente di una Consob – a suo tempo candidata a super-authority dei mercati – tuttora “ignota” al 46% degli interpellati dall’Ipsos? Come pretendere di rilanciare la previdenza integrativa se il 73% del campione “non indica/non conosce” la Covip, ente vigilante sui fondi pensione? Il corollario, in ogni caso, è scontato: il 60% dei contatti Ipsos è pessimista sul fatto che la situazione migliori (o anche solo non peggiori) nel prossimo quinquennio. E pone nuovamente in cima ai propri protettori il «governo»: quello «stato» che in molti altri paesi ha salvato di peso le banche sull’orlo del fallimento. Di un quarto di secolo “rivoluzionario” nei mercati finanziari in apparenza è rimasto poco.



 

Dall’albero scosso da Tremonti, tuttavia, qualche buon frutto è caduto. Lo storico primato della Banca d’Italia come “watchdog” riconosciuto appare ripristinato dall’arrivo di Mario Draghi: il cui ruolo è stato ridefinito in termini di “accountability” proprio dalla legge 262, che non ha intaccato l’autonomia. E se il sistema creditizio italiano non è crollato come altri lo si deve anche alla “nuova” Banca d’Italia. Cinque anni fa, d’altronde, l’Antitrust era pressoché sconosciuto al mondo del risparmio. L’averlo fatto entrare nel “laboratorio vigilanza finanziaria” – tra le riserve e i sospetti dei fan di Via Nazionale – non è stata una cattiva idea se a metà 2010 è la seconda authority “preferita” dai pur scettici risparmiatori italiani: evidentemente convinti che il garante della concorrenza immetta anche dosi di tutela del risparmio. Dalla Consob, invece, ci si attende chiaramente di più: molto di più. Come dalle due authority in campo assicurativo e previdenziale: Isvap e Covip.

 

(Tratto da Plus 24 del 24 luglio 2010)