Allarme rientrato, o almeno così pare. Nel tardo pomeriggio di ieri, Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, ha potuto dire, dopo aver parlato telefonicamente con Berlusconi e Tremonti, che “le nostre richieste sono state accolte”. Un risultato importante per Confindustria e Rete Imprese Italia, promotrici nei giorni scorsi di un appello alle istituzioni politiche per modificare gli articoli 31, 38 e 45 della manovra correttiva, considerati un ostacolo eccessivo per le nostre imprese. Un focolaio di protesta contro il provvedimento del governo è stato quindi spento. Ne abbiamo discusso con Guido Gentili, editorialista de Il Sole 24 Ore.
Dottor Gentili, queste norme erano davvero un grosso ostacolo per le imprese?
Si tratta di una serie di provvedimenti che messi tutti insieme rappresentano un bel ceffone, soprattutto per le piccole e piccolissime imprese. Ora, per la verità, si tratta di capire che cosa significa esattamente che le richieste imprenditoriali sono state accolte. Potrebbe trattarsi di una soluzione di compromesso, che magari lascia ancora vivo qualche piccolo ostacolo. Tuttavia ritengo che se Emma Marcegaglia si è spinta a rilasciare quelle dichiarazioni ieri, allora gli aggiustamenti sono abbastanza seri: non dovrebbe trattarsi di un contentino passeggero.
Quella delle imprese è l’ultima, in ordine cronologico, di una serie di proteste contro la manovra. Sembra che tutti la ritengano necessaria, ma che poi si sentano eccessivamente colpiti.
Le proteste ci sono sempre a ogni manovra degna di questo nome, soprattutto in Italia. Ciascuna corporazione difende i propri interessi e non vuole essere colpita. Tuttavia questa volta ci troviamo in una condizione di eccezionalità, e le imprese non hanno commesso l’errore di dire no a priori alla manovra, anzi ne hanno riconosciuto la necessità. Del resto in Italia abbiamo un sistema disastrato di spesa pubblica che crea sprechi e squilibri, per cui si può chiedere di intervenire duramente su questo fronte e di non essere punitivi nei confronti delle imprese e, aggiungerei, delle famiglie.
In un suo recente articolo, lei ha scritto che non ci possiamo accontentare per il 2010 di una crescita del Pil “pari all’uno virgola qualcosa”. Pensa che tolte queste norme dalla manovra si potrà avere una crescita più forte?
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Certamente si avrà una spinta un più, quanto meno un’iniezione di fiducia. Siamo infatti in una situazione in cui i dati ci dicono che la recessione è alle nostre spalle, il settore manifatturiero è riuscito a tenere sui mercati e la produzione industriale è stata buona. Certo, abbiamo ancora dei problemi legati all’occupazione, che però dovrebbe tornare a crescere l’anno prossimo. In questo momento c’è quindi un sottofondo favorevole. Se fossero arrivate misure capaci di deprimere questo contesto, sarebbe stato difficile pensare a un sentiero di crescita diverso da quello che negli ultimi 15 anni ci ha portato a crescite dello 0 virgola.
Le norme contestate fanno parte di un pacchetto relativo al contrasto dell’evasione fiscale. Le imprese hanno però spiegato che nulla hanno a che fare con questo obiettivo. Perché?
Il procedimento medio di un processo tributario di primo grado è superiore ai 730 giorni. Le norme volevano però portare a 300 giorni (grazie a un emendamento, perché originariamente il limite era di 150 giorni) il limite di validità della sospensione dei crediti tributari presunti. Ci si sarebbe trovati quindi nelle condizioni di pagare prima della sentenza, quando nel 70% circa dei casi le imprese alla fine vincono queste cause. Nel caso delle compensazioni ci si trovava nelle condizioni per cui pur essendo creditori verso l’erario di una cifra molto alta, nel caso di un debito superiore a 1.500 euro si doveva pagare senza poter compensare. L’idea di queste norme non sembrava quindi quella di combattere l’evasione fiscale, ma di cercare di portare in cassa più denaro possibile in un momento economicamente difficile.
In questo caso, come in altre occasioni quest’anno, Confindustria sembra puntare molto il dito contro il peso del fisco sulle imprese. È davvero questo il primo freno per lo sviluppo economico del nostro paese?
Il peso del fisco sulle imprese, in particolare piccole e medie, è fortissimo, soprattutto rispetto ai competitor stranieri. Un peso anche per le famiglie, dato che sui contribuenti che pagano tutte le imposte i contributi (quindi solo sugli italiani che non sono evasori) grava una pressione fiscale sul reddito superiore al 50%. Ogni passo che verrà fatto per diminuire questo fardello non potrà che fare bene a produzione e consumi, quindi al nostro sviluppo economico.
(Lorenzo Torrisi)