Questa settimana segnerà probabilmente la fine delle querelle tra Regioni e Governo sulla manovra correttiva. In una nota congiunta diffusa ieri, infatti, Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti hanno comunicato che domani mattina incontreranno gli enti locali. Difficile, stando ai toni usati nel comunicato di ieri, che Errani e Formigoni riescano a ottenere uno sconto rispetto ai tagli annunciati. Una linea che Francesco Forte, ex ministro delle Finanze, condivide: «Berlusconi deve tenere duro, o si rischia una Babele. La manovra va portata in porto il più presto possibile, in modo da dare dell’Italia l’immagine di un paese serio, evitando così declassamenti da parte delle agenzie di rating internazionali e tenendo alla larga gli speculatori finanziari, dato che abbiamo il debito pubblico più alto d’Europa. Non dimentichiamoci che stiamo pattinando sul ghiaccio».



Al di là di questo rischio, le Regioni hanno ragione o torto a protestare?

Hanno completamente torto. Soprattutto perché mentre protestano stanno ricevendo dallo Stato, attraverso la devoluzione, beni demaniali (in particolare il demanio marittimo e idrico) per un importo nominale di circa 3,2 miliardi di euro, che valorizzato può raggiungere i 12,8 miliardi. Quindi le Regioni potrebbero portare a casa 9,6 miliardi di euro, una cifra superiore ai tagli richiesti.



Sempre che siano capaci di valorizzare questi beni…

Lo Stato ha fatto una lista di tali beni, dicendo alle Regioni qual è il loro costo e non obbligandole a prenderseli. Potranno sceglierne solo alcuni o lasciarli tutti allo Stato. Comunque, nel caso di caserme dismesse o terreni non penso ci voglia molto a valorizzarli.

Le Regioni chiedono però che i sacrifici vengano fatti anche a livello centrale e non scaricati solo a quello periferico. Anche in questo caso hanno torto?

Tremonti, nella relazione di qualche giorno fa sul federalismo, ha fornito dei dati sulla spesa regionale che sono effettivamente allarmanti rispetto a quelli dello Stato. Si nota che la spesa per la burocrazia delle Regioni è anomala rispetto a quella dello Stato. Se le Regioni hanno letto questo testo sono in malafede, se non lo hanno fatto le invito a dargli un’occhiata.



Le Regioni chiedono che nei tagli si tenga conto di quelle che sono state virtuose. Anche qui sbagliano?

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Mi permetto di dire che certe Regioni sono più virtuose di altre grazie ai nostri soldi: avendo basi imponibili dell’Irap e delle addizionali Irpef più elevate di altre, hanno più entrate e quindi più facilità a far quadrare i bilanci. Sarebbe quindi improponibile chiedere a chi è più “povero” di fare sacrifici maggiori di chi è più “ricco”.

 

Perché allora le Regioni stanno protestando?

 

Lo scopo è puramente politico. Errani e le Regioni del centrosinistra vogliono poter arrivare a dire che la colpa dei tagli è di Berlusconi. Vogliono incontrare il Premier non per ottenere qualcosa da lui (sanno benissimo che non ci riusciranno), ma perché lui metta la propria faccia sui sacrifici richiesti. Formigoni cerca invece di coinvolgere Berlusconi nella sua personalissima battaglia politica, mentre potrebbe cercare di risolvere la questione all’interno del Pdl.

 

Dunque secondo lei Berlusconi avrebbe dovuto declinare l’invito a incontrare le Regioni?

 

Mi chiedo perché le Regioni non possano discutere della questione con il ministro Fitto, che è quello competente per materia. Probabilmente perché lo ritengono un ministro di serie B. Il Presidente del Consiglio non ha però certamente il compito di incontrare gli enti locali. Se loro dicessero che hanno da fare una proposta a Berlusconi, allora potrebbero eventualmente lamentarsi se rimanessero inascoltate.

 

Cosa intende dire?

 

A differenza di quanto fatto la settimana scorsa da Confindustria e Rete Imprese Italia, le Regioni non ha ancora fatto nessuna proposta. Non hanno detto quale sarebbero i settori in cui non vorrebbero che ci fossero i tagli, né quali potrebbero essere i mezzi di copertura alternativi. Non si capisce quale dovrebbe essere l’oggetto dell’incontro con Berlusconi. In questo sembrano avere un atteggiamento più chiuso della Fiom, che a Pomigliano d’Arco chiede di iniziare le trattative su quello che è stato già oggetto del referendum tra i lavoratori di Fiat.

 

Errani ha però spiegato che è stato lo stesso Berlusconi, dall’America Latina, a promettere che ci avrebbe pensato lui a risolvere la querelle.

 

Il riferimento di Berlusconi penso fosse in generale sulla manovra, dato che nei giorni in cui era in viaggio continuavano a circolare notizie, poi smentite, come quelle sui tagli alle tredicesime. Per segnalare il fatto che intendeva cercare di mettere freno a una situazione caotica ha detto “ci penso io”. Magari, una volta tornato in Italia, gli è stato spiegato, attraverso la relazione sul federalismo, che la protesta delle Regioni è immotivata.

 

Resta comunque la minaccia delle Regioni, per voce di Formigoni, di rimettere allo Stato le competenze che sono state loro trasferite.

 

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Trovo sia sbagliato fare certi discorsi solo per il fatto che le Regioni non riescono a gestire un taglio della loro spesa. Tremonti, nella già citata relazione, ha spiegato che questa operazione di tagli è preliminare all’attuazione del sistema federale, che non significa passare le funzioni dallo Stato alle Regioni ingrassando quest’ultime di risorse. Lo scopo è creare un sistema più leggero, compreso quello delle Regioni. Esse stanno per ricevere maggiori poteri di entrate e di spesa e devono quindi dimostrare di essere affidabili.

 

Tremonti avrà pur commesso qualche sbaglio in questa vicenda.

 

Ha sbagliato a incolpare le Regioni del Sud per l’utilizzo dei fondi, parlando di “cialtroneria”. Non solo per la parola che ha usato, ma anche perché gli errori non sono oggettivi: sono stati commessi dalle amministrazioni di determinate Regioni e ora ci sono dei nuovi amministratori che si spera possano far meglio. Non dimentichiamoci poi che per fare una spesa regionale, specie per opere pubbliche, esistono incombenze e procedure pazzesche.

 

A inizio settimana è rientrata la protesta di Confindustria e Rete imprese Italia. Il loro appello era motivato?

 

Una parte della protesta era giusta: quella sui giorni stabiliti come limite di validità della sospensione dei crediti tributari presunti. In sostanza si voleva reintrodurre la clausola del solve et repete: in caso di avviso di accertamento si sarebbe dovuto pagare prima di poter presentare ricorso. Cosa non da poco, dati i tempi necessari per una sentenza. Le altre richieste mi sembravano eccessive, un po’ perché sono contrario alla compensazione tra crediti (che vengono presunti dal contribuente) e debiti verso l’erario, un po’ perché incentivare i certificati verdi vorrebbe dire far sostenere alla collettività delle spese (dai ritorni spesso incerti) al posto delle imprese.

 

Germania, Inghilterra e Francia hanno varato manovre più consistenti della nostra. Siamo sicuri che non sia necessario un saldo superiore a 25 miliardi di euro?

 

La nostra manovra è effettivamente più piccola rispetto a quella di altri paesi, ma lo scopo di questo provvedimento è di portare il deficit al 2,7% del Pil. Poiché l’Italia non aveva nel 2009 e nel 2010 un deficit molto alto, bastano questi tagli correttivi e un po’ di crescita per raggiungere il risultato. In altri Stati, dove il deficit è balzato più in su, i sacrifici necessari a riportare la situazione sotto controllo sono ovviamente maggiori.

 

Resta però il fatto che il nostro debito pubblico è altissimo.

 

Naturalmente questo problema esiste. Se però facessimo una manovra troppo dura si metterebbe a rischio la ripresa economica. Inoltre, la situazione delle banche e del risparmio delle famiglie rende l’Italia più solvibile rispetto ad altri paesi che hanno un rapporto debito/Pil inferiore come la Spagna. L’unica cosa eventualmente da fare per accentuare la manovra è mettere seriamente mano alle pensioni, ma né Tremonti, né Sacconi, né i sindacati sembrano disponibili a farlo.

 

(Lorenzo Torrisi)