Le ultime notizie dall’Ungheria aiutano capire meglio i contorni relativi alla interruzione dei rapporti tra il governo e i rappresentanti di Fmi e Unione Europea, che si erano presentati a Budapest per controllare i conti e la finanziaria che il governo ha appena approvato. Questi controlli sono stati vincolati al prestito da 20 miliardi di euro, di cui rimane una parte da circa cinque miliardi.
Come già raccontato, tali rappresentanti hanno ricevuto e fatto proprie le vibrate proteste di alcune banche, irritate per una nuova tassa sugli utili delle banche. Alcuni siti avevano anche presentato questa tassa come “maxi tassa”. Ebbene, si tratta solo dello 0,45%. Evidentemente, qui non c’è in gioco solo del volgare denaro, ma si tratta di non violare un principio, quello per il quale lo stato deve saper rinunciare alla propria sovranità monetaria (e finanziaria, se serve) per seguire le loro ideologie.
Ma il governo non ha ascoltato le proteste del Fmi e la legge è stata approvata con quasi l’unanimità dei voti (301 a favore, 12 contrari). Il governo ha risposto che non si potevano chiedere altri sacrifici ai cittadini e che il patto sottoscritto per il prestito richiedeva un rapporto deficit/Pil al 3,8% per il 2010, senza preclusioni sul modo per raggiungere un tale risultato.
L’Ungheria si è potuta permettere questo tipo di risposta poiché ha ancora una valuta nazionale, pur avendo chiesto di entrare nell’euro. Del resto, questo tipo di scontri sono destinati a moltiplicarsi, con l’aggravarsi della crisi finanziaria.
Le crisi si acuiscono quando soggetti con idee molto diverse non riescono a trovare un punto di incontro e condivisione di fronte a problemi pressanti. Non si tratta solo di questioni che riguardano forti interessi, ma di un vero problema culturale, quello per cui non si riesce a capire la natura della situazione reale e si cerca di dirigere la realtà con le regole.
Un’evidenza di questo la ritroviamo in un articolo di Gabriele Grecchi apparso su ilsussidiario.net il 2 agosto. In tale articolo l’autore cerca di difendere la categoria degli speculatori, ma utilizza il consueto elenco di luoghi comuni, come se questa crisi non avesse insegnato nulla.
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Inizia col dire che la definizione di “speculatore” è semplicemente quella di un operatore che “specula”, cioè riflette, pensa, e trova una soluzione finanziariamente efficiente. Nessuna definizione di finanza, o di moneta. L’autore arriva tranquillamente ad affermare: “Molto più semplicemente, gli ‘speculatori’ erano e rimangono operatori normali di mercato che con le loro attività di analisi e di studio (eccola, la ‘speculazione’), con l’intento di ottenere un risultato per i propri clienti, cercano di trovare situazioni di disequilibrio sui mercati così da poterne trarre vantaggio. Ovvero – per esemplificare l’attività dei speculatori – chi non venderebbe qualcosa, che si è scoperto essere molto più caro del giusto, per comprare qualcosa di valore che è invece a sconto e sottovalutato dal mercato?”.
Impressionante la cancellazione di ogni riferimento morale. “Chi non venderebbe qualcosa che si è scoperto essere molto più caro del giusto?”. Si arriva a fare simili affermazioni, senza rendersi conto che la stessa identica valutazione, fatta da un commerciante in riferimento a un bene reale, verrebbe definita immorale. Se un tassista si fa pagare da un ignaro turista giapponese 100 euro la corsa, oppure un barista si fa pagare 10 euro per un caffè, allora gli diamo del ladro. Se invece si tratta di un operatore di borsa, allora no, è uno “speculatore”, è un esperto di borsa, un esperto di “attività di analisi e studio”.
In mancanza di ogni riferimento morale, tutto è lecito al fine di fare profitti. E così Marchionne dichiara che l’ultimo trimestre è stato “eccezionale”, con risultati che “hanno superato quasi tutte le attese dei mercati”. Poi si leggono questi titoli: “Auto: senza incentivi crollano vendite nell’Eurozona. Italia maglia nera”; “Immatricolazioni: Fiat, quota di mercato scende al 29,1% a luglio”. Insomma, un disastro. E lo stesso per il resto dell’economia: “Hsbc: raddopia utile netto nel primo semestre a 6,8 mld di dollari”, ma poi si scopre che “il gruppo ha dimezzato gli accantonamenti per crediti a rischio a 7,5 miliardi.” Tutta fuffa, insomma.
E le borse cosa fanno? Salgono imperterrite, come se tutto questo non le riguardasse. Gli analisti stimano un dato pessimo, il dato viene fuori solo negativo, e le borse continuano a salire, sicure che per ogni problema la soluzione alla fine sarà solo una: moneta stampata a fiumi, tutta a spese dell’economia reale. E tutti vanno avanti allegramente, quasi euforici, come se tutto potesse andare avanti così, senza disfunzioni e senza correzioni: c’è “il mercato che corregge le disfunzioni”, la famosa “mano invisibile”. E questa è la migliore soluzione.
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Ebbene no, non è così. In ogni attività speculativa, per uno che si arricchisce, c’è qualcun altro che va in rovina. Questa è la cruda realtà. E questo non dipende dall’attività speculativa in se stessa, ma dall’attuale sistema monetario, in cui, essendo tutta la moneta a debito, e rimanendo tale debito strutturalmente impagabile, il fallimento di qualcuno è la condizione necessaria alla sopravvivenza del sistema stesso.
In fin dei conti, lo speculatore è solo l’esecutore materiale di un sistema a fallimento garantito. Se l’alta finanza fosse la mafia, lo speculatore è solo il suo esecutore materiale, il killer della situazione. Ma anche qui bisogna essere chiari. La sopravvivenza di un simile sistema è solo temporanea. Prima o poi il sistema è destinato al collasso, stile Grande Depressione.
Le notizie di questi giorni ne danno ampia conferma. Sugli stress test del sistema bancario europeo è inutile ripetersi, Mauro Bottarelli ha già dato ampie informazioni sulla mancanza di trasparenza di questi presunti test.
Ricordate un mio articolo sui ritmi impressionanti di fallimenti di banche statunitensi? Ora è bene dare un breve aggiornamento. Ci eravamo lasciati con 14 banche fallite nel mese di maggio, che avevano portato il totale dall’inizio dell’anno a 78, mentre in tutto il 2009 le banche fallite sono state 141. A che punto siamo ora?
Nel mese di giugno ne sono fallite altre otto, mentre in luglio ne sono fallite ben 22. Il totale per il 2010 va quindi aggiornato a 108. Il ritmo di fallimenti per il 2010 sembra consolidato, circa 15 banche al mese, per un totale a fine anno, come preventivato in quell’articolo, di oltre 180 piccole banche fallite: se la situazione non peggiora. E si tratta delle piccole banche, proprio quelle che sono più strettamente legate al tessuto produttivo.
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Ma non si può certo dire che le grandi banche stiano meglio. Il Fmi ha stimato una necessità di finanziamento per le grandi banche pari a circa 76 miliardi di dollari. Denaro che le banche dovrebbero cercare di ottenere dal mercato, ma che probabilmente otterrà dalla Fed, sempre pronta a stampare moneta, magari indebitando di nuovo lo stato Usa. Come al solito, socializzano le perdite e privatizzano i profitti. E magari li chiamano pure “speculatori”.
Il sistema bancario è tutto da riformare, come del resto quello finanziario e, più radicalmente, quello monetario. Si tratta di una questione culturale, prima che tecnica. Occorre rimettere al centro della questione l’uomo, con le sue esigenze fondamentali. Occorre porre al centro della questione il principio di sussidiarietà, come cardine dei rapporti tra i diversi soggetti. E occorre ribadire che “lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità” (Caritas in Veritate, n. 34).