La scorsa settimana mettevo in guardia dall’ottimismo della Bce e del suo capo, Jean-Claude Trichet, riguardo lo stato di salute dell’eurozona ponendo l’accento, oltre al carico di debito sovrano lungi dall’essere risolto, sui rischi che potrebbero giungere dai cosiddetti paesi “pre-ins”, ovvero coloro che pur non essendo nell’eurozona operano come stati membri ponendo le proprie liabilities come aggregati di rischio per l’Ue.
In particolar modo, a preoccupare è l’Ungheria per una serie di motivi, il primo dei quali è puramente politico e sta tutto in questo motto: la crescita dell’economia conta più della capacità di tenere in ordine i conti pubblici. È questa, infatti, la scommessa del premier ungherese, Viktor Orban, il quale ha sacrificato 20 miliardi di dollari di finanziamenti da Unione europea e Fondo monetario internazionale sull’altare del suo ambizioso piano di rilancio dell’economia che prevede, tra l’altro, un’aliquota unica sui redditi al 16%, sostegno alle piccole imprese e forti tasse sulle banche e le assicurazioni.
Insomma, un azzardo potenzialmente mortale in una situazione di fragilità simile: un corpo sano reagisce in fretta a un’influenza, uno debilitato rischia di trasformare l’influenza in polmonite. Era la fine del 2008, il periodo del crack Lehman e del gran terremoto nelle Borse di tutto il mondo, quando il precedente governo socialista si trovò a corto di fondi per ripagare il debito in scadenza: gli vennero in aiuto il Fondo monetario internazionale e l’Unione europea che concordarono un piano di aiuto da 20 miliardi di dollari.
Proprio nelle scorse settimane il nuovo governo di centrodestra avrebbe dovuto concordarne il rinnovo in scadenza a ottobre: così non è stato. «L’Ungheria vuole riguadagnare la propria sovranità nazionale», ha detto Orban, e per uscire dalla crisi può farcela da sola. Impossibile, non tanto perché tassare banche e assicurazioni non garantisce maggior gettito perché queste, già in sofferenza, rischiano il default o di scaricare i costi sui cittadini.
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Inoltre, un altro chiaro segnale di avventatezza è giunto un paio di mesi fa, quando proprio il buon Orban, attraverso il suo portavoce, per scaricare sui governi precedenti il disastro dei costi aveva detto a chiare lettere che «non è esagerato ipotizzare di essere a rischio di default», salvo poi fare immediatamente retromarcia. Detto fatto, i mercati andarono in allarme, con i credit default swap sul debito ungherese cresciuti di 100 punti base in un solo giorno.
Orban, il cui unico scopo è quello di uscire vincitore dalle elezioni amministrative del 3 ottobre prossimo evitando tagli alla spesa pubblica, sa benissimo che il suo governo non riuscirà nell’obiettivo di tenere sotto controllo il deficit, tanto più che le agenzie di rating hanno già minacciato di tagliare ulteriormente il già poco esaltante giudizio sul debito di Budapest: Standard & Poor’s, che già gli assegna un poco lusinghiero BB-, ha detto che potrebbe bollare le obbligazioni ungheresi come «junk», spazzatura.
Rifinanziare a quel punto sarebbe impossibile e in tanti, banche in testa, si troveranno con quegli assets inutili in pancia: dove e come potranno scaricarli? A quali prezzi, poi? A quel punto, solo l’intervento di Ue e Fmi potrà cercare di placare l’incendio. Che, però, sarà già divampato. Anche perché, in ossequi alla corsa alle obbligazioni e agli alti rendimenti, il tesoro ungherese due settimane fa è riuscito comunque a piazzare 57,5 miliardi di fiorini (263,8 milioni di dollari) di bond, peccato che per i decennali sia stato offerto un rendimento appena sopra il 7%. Alto ma comunque inferiore alla media per i titoli a lunga scadenza.
Insomma, a ora la scommessa del governo di raccogliere credito sul mercato obbligazionario pare vincente, tanto che nei primi sei mesi dell’anno il Tesoro ha venduto bond per circa 340 miliardi di fiorini, esattamente il doppio di quanto aveva programmato di piazzare all’inizio dell’anno. Ma è sostenibile questo indebitamento?
No. Tanto più che per gli analisti di Citigroup, se dovesse esserci un peggioramento della situazione, Budapest potrebbe aver difficoltà a reperire fondi nel 2011, anno i cui andranno in scadenza enormi quantità di obbligazioni sia pubbliche che bancarie in Europa: e l’Ungheria deve rimborsare 11 miliardi di dollari.
Ma il problema più grave, dopo quello politico dato da un governo apertamente nazionalista, populista e non ultimo antisemita, è quello della bolla immobiliare che sta per esplodere in tutta la sua virulenza a causa dei tassi di cambio. La grandissima parte dei mutui stipulati in Ungheria, infatti, sono denominati in franchi svizzeri e i costi mensili per tantissimi proprietari di casa sono raddoppiati da quando il fiorino ungherese è crollato del 35% contro la valuta elvetica dal 2008 in poi. Il totale del valore di questi mutui era di 2,2 trilioni di fiorini (10,2 miliardi di dollari) a maggio scorso dai 133,8 miliardi di fiorini dell’inizio del 2005, questo stando a dati ufficiali della Banca centrale di Budapest.
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Per alcune banche locali come OTP Bank Nyrt, Erste Group Bank AG e Foldhitel es Jelzalogbank Nyrt, i cosiddetti “non-performing loans”, ovvero i prestiti che non andranno a buon fine, potrebbero salire al 10% del totale di quelli erogati entro la fine dell’anno. In tutto il paese ci sono 5,4 trilioni di fiorini denominati in moneta straniera, l’equivalente di due terzi del credito personale e l’82% di quella cifra è denominata in franchi svizzeri: la bolla sta per esplodere.
Lo certifica Andras Simor, presidente della Banca centrale, secondo cui nel paese «non abbiamo ancora trovato un modo per far smettere la gente di comprare televisore Lcd attraverso il credito di moneta estera». Una bolla di falso benessere, insomma, figlia della logica del carry trade che ha riversato montagne di assets liquidi in paesi che ora si trovano costretti a fare i conti con i tassi di cambio e l’apprezzamento record del franco.
I rimborsi del debito privato sono cresciuti in tutta l’Ungheria da quando il franco è salito al record di 219 sul fiorino lo scorso 1° luglio, a causa anche di una classe politica folle. Lajos Kosa, uno dei principali esponenti del partito do governo Fidesz, è riuscito a far perdere il 4% al fiorino lo scorso giugno, affermando che l’Ungheria «ha poche chances di evitare una crisi in stile greco».
L’Associazione dei debitori in difficoltà a Budapest riceve oltre 15mila telefonate al mese, dieci volte tanto quelle che riceveva solo due anni fa. La presidentessa, Mariann Lenard, ha dichiarato a Bloomberg che «la classe media con salari decenti rappresenta la maggioranza delle persone che ci telefona. Ci sono 2-3 milioni di persone che non sanno letteralmente come far fronte al prossimo pagamento».
Il governo per ora ha dato vita a una moratoria sulle ripossessione di immobili e sui pignoramenti fino al 15 aprile 2011 e il consiglio dei ministri sta studiando l’ipotesi di un’azienda per la gestione del patrimonio immobiliare che farebbe fronte ai bad loans e convertirebbe i debitori in affittuari con il governo come “padrone di casa”: con quali soldi occorrerebbe chiederlo al bravo Orban e alla sua ricetta folle. Alla fine di marzo, i prestiti privati in ritardo erano oltre due milioni e al loro interno si trovavano 100mila mutui. Il problema è che una simile politica di statalismo totale, potrebbe portare la gente a pensare di non dover più ripagare i debiti visto che il governo sta preparando la propria azione di copertura: a quel punto lo stato di salute delle banche, già poco sano e ora ulteriormente minato dalle tasse spropositate del governo, rischia di subire un colpo mortale.
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Per il Fmi, questa politica è rischiosissima: «Siamo d’accordo che alcune persone che hanno contratto prestiti abbiano bisogno di aiuto, ma questo deve essere fatto in modo diretto e trasparente». Le banche, oltretutto, stanno già ristrutturando i prestiti, estendendo i periodo di maturazione e usando tassi fissi per aiutare i clienti più i difficoltà: la FHB ha introdotto una tasso “scontato” con il franco a 205 fiorini per tre mesi a partire dal 6 luglio per abbattere l’onere nei confronti dei clienti con mutui denominati in valuta elvetica.
OTP, tanto per dirvi come stanno le cose, ha passato gli stress tests europei con il secondo miglior risultato dopo la spagnola Banca March, ha già ristrutturato prestiti per 110 miliardi di fiorini a 41mila clienti, stando a quanto dichiarato il 28 luglio dall’amministratore delegato, Antal Pongracz. «La situazione attuale richiede misure straordinarie, non possiamo permetterci di sederci qui e aspettare che le cose si risolvano da sole», ha ammesso a Bloomberg, il vice-presidente di FHB Bank Nyrt, Laszlo Harmati. Ditelo a Viktor Orban…