Sono forti i timori di rallentamento della ripresa nel secondo semestre. La locomotiva americana sta perdendo vapore. Le minori importazioni dall’America faranno calare le esportazioni cinesi e quindi le importazioni. Anche perché Pechino sta raffreddando la crescita per evitare sia sovracapacità sia le tendenze inflazionistiche apparse nei mesi scorsi.
In sintesi, la domanda globale che ha trainato la crescita dell’export di Germania (spettacolare) e Italia (notevole) nel primo semestre pare ridursi. Nel secondo ciò potrebbe trasformarsi in recessione o stagnazione da noi. Tale ipotesi si basa sul fatto che sia Italia sia Germania fanno il più della loro crescita via esportazioni e pochissima via dinamiche del mercato interno, che infatti resta piatto in ambedue, e che quindi sono molto dipendenti dal traino esterno. Cerchiamo di inquadrare meglio lo scenario.
Al momento è difficile valutare se il rallentamento della ripresa statunitense si trasformerà in recessione che poi si trasferirà al globo penalizzando nuovamente le economie esportatrici. Infatti l’America ha un grosso problema, ma anche risolvibile, volendo, in poco tempo.
I consumi si riprendono lentamente perché le famiglie stanno ricostruendo i risparmi distrutti dalla crisi finanziaria. Ma non è necessariamente un grave problema sistemico in quanto la ripresa potrebbe essere sostenuta da più investimenti in una situazione dove gli attori economici hanno molta liquidità. Il problema è che le loro decisioni di nuovo investimento sono tardate dall’ambiguità sul regime fiscale dei prossimi anni.
L’Amministrazione Obama, infatti, deve decidere a fine anno se confermare la continuità dei megatagli delle tasse decisi da Bush nel passato oppure no. Al momento resta indecisa, anche per le elezioni parlamentari di novembre. Poiché la decisione modificherà lo scenario economico in un senso o nell’altro è ovvio che molti aspettino chiarezza prima di investire. Se decidesse per una conferma sostanziale dei tagli fiscali vi sarebbe un boom immediato della crescita interna statunitense, poi trasferito alla domanda globale e, alla fine, al nostro export.
Ma, data la storia di indecisioni e stranezze economiche dell’Amministrazione Obama, non è prevedibile né una decisione tempestiva, né che questa sia espansiva. Ma non potrà essere nemmeno recessiva. Pertanto gli andamenti americani resteranno in bilico tra forte ripresa e ricaduta in recessione.
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Conseguenze? L’export tedesco perderà qualcosa, ma continuerà nei settori dei grandi sistemi perché basato su megacontratti siglati dal suo governo con quelli emergenti (Cina, India, Russia, ecc.). L’Italia che esporta merci più sensibili al ciclo contingente subirà un calo più pronunciato del suo export.
Va detto che Germania e Italia, le due potenze esportatrici dell’Eurozona, stanno conquistando nuovi mercati (Brasile, Turchia, Balcani, ecc.) proprio per compensare il calo di importazioni nell’Europa stagnante e in America. Tuttavia, l’export potrebbe non bilanciare la poca crescita del mercato interno.
Non è pensabile che avvengano detassazioni stimolative in tempi brevi. Quindi l’unica spinta di crescita sarebbe quella di tenere basso il cambio dell’euro. Ma Cina ed America non lo vogliono per mantenere la competitività valutaria del loro export. E neppure la Bce lo vuole per contrastare l’inflazione importata via euro alto. La Germania terrà comunque. All’Italia non resta altro che imitare la Germania per aumentare il suo export pur in condizioni di solo media crescita globale e di svantaggio valutario. E cercare di fare perfino meglio.