La crisi è alle spalle? Questa la domanda che tutti gli esperti si pongono in questi ultimi mesi, soprattutto ogni volta che vengono notificati dati macroeconomici. Certamente un punto di vista privilegiato sulla situazione reale è quello di una banca, soprattutto quando ha forti legami con il sistema produttivo. Abbiamo quindi chiesto a Corrado Passera, Ceo di Intesa Sanpaolo, che sarà ospite di questa giornata inaugurale del Meeting di Rimini, di aiutarci a capire la situazione.
Dottor Passera, al Meeting lei partecipa a un incontro dal titolo “Ripresa a quali condizioni?”. A questo proposito, a livello internazionale sembrano scontrarsi due ricette: quella americana di forti stimoli all’economia e quella europea di austerity e attenzione al debito pubblico. Cosa ne pensa?
Penso che ora più che mai rigore fiscale e politiche per la crescita debbano trovare una sintesi per uscire dalla crisi con finanze pubbliche più solide ed economie più competitive in grado di esprimere crescita sostenibile e creare nuova occupazione. In Europa, ma anche negli Stati Uniti si è sviluppato un acceso dibattito fra supporter del rigore e supporter della spesa. Credo sia un dibattito vecchio di almeno 40 anni, spesso animato da posizioni un po’ ideologiche. La crisi ci insegna che occorre cercare strade nuove, anche creative per trovare soluzioni pragmatiche ai delicati problemi che ci stanno di fronte. L’Italia in particolare è il Paese dove appare forse più evidente che rigore e rilancio della spesa (soprattutto quella per gli investimenti) devono trovare una sintesi di mutuo rafforzamento. Le risorse per il rilancio degli investimenti e della crescita si possono infatti trovare solo attraverso uno sforzo di rigore volto a ridurre le considerevoli sacche di spesa improduttiva e l’enorme bacino di evasione fiscale.
Dopo la crisi finanziaria e le avvisaglie di miglioramento che sono state registrate in Italia negli ultimi mesi, che segnali arrivano a Intesa Sanpaolo dal sistema produttivo? Il livello delle sofferenze induce ottimismo, tenendo anche conto dei continui appelli delle imprese al sistema bancario per quanto riguarda l’accesso al credito?
Registriamo segnali positivi, che stanno assumendo una chiara consistenza: gli ordini, i fatturati, le esportazioni sono variabili in crescita in molti settori e distretti. Questo comporterà una ripresa positiva della domanda di credito che è mancata per un lungo periodo ma che comincia a intravedersi. Tuttavia la crisi lascia pesanti eredità: una significativa capacità produttiva inutilizzata frena gli investimenti delle imprese, la crescita della disoccupazione e della sotto-occupazione riduce il potere di spesa delle famiglie. Il contesto in cui le banche sono chiamate a fare credito permane difficile: incertezza regolamentare, margini di interesse ai minimi storici, sofferenze e quindi alto costo del credito, elevata tassazione che penalizza le banche che prendono rischi di credito. Come abbiamo fatto fin dall’inizio della crisi, cercheremo con tutte le associazioni di categoria le formule migliori per accompagnare le imprese in questa fase ancora fragile e ancora insufficiente della ripresa.
Ultimamente sta avanzando il timore di una nuova recessione (double-dip): stando sempre ai segnali che ricevete, in che condizioni finanziarie versa il sistema delle Pmi? Quali conseguenze avrebbe un eventuale peggioramento delle condizioni macroeconomiche?
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Il sistema delle Pmi è una grande risorsa del Paese e dobbiamo fare di tutto per rendere più agevole l’attività a questa categoria di imprenditori. Non dobbiamo perdere però l’“occasione” della crisi per attivare tutti quei processi virtuosi di rafforzamento strutturale delle Pmi. E prima di tutto i processi di aggregazione e consolidamento fra imprese di ridotta dimensione che in alcuni settori è ineludibile, in modo da poter mettere a fattor comune l’incidenza dei costi fissi e avere spalle più grandi per proseguire e rilanciare gli investimenti necessari a stare su mercati sempre più integrati e competitivi. Non esiste una ricetta per tutti i settori, ma è indubbio che in molti di essi la Pmi italiana se la potrà giocare solo se crescerà in dimensione e avrà la forza finanziaria e patrimoniale per investire La flessibilità del piccolo non basta più, occorrono investimenti in innovazione, internazionalizzazione, marketing e distribuzione, che non possono essere sostenuti dalle spalle dei “troppo piccoli”.
La pubblicazione degli stress test non ha evidenziato elementi di criticità né per Intesa Sanpaolo, né nel sistema bancario italiano. Su quali elementi occorre puntare per preservare la solidità patrimoniale delle banche e nel contempo continuare a erogare credito a famiglie e imprese?
Gli stress test hanno messo in evidenza la nostra robustezza patrimoniale soprattutto alla luce degli altri elementi che qualificano la nostra banca: un basso livello di leverage (indebitamento complessivo), una prudente gestione dei profili di liquidità, una bilanciata posizione fra raccolta e impieghi. Cose talvolta persino più importanti dei cuscinetti patrimoniali. Cose che costano, ma che ci hanno permesso di passare attraverso la crisi meglio di molte altre banche internazionali senza mai dover chiedere soldi di emergenza né pubblici né privati e senza mai dover interrompere o razionare il credito alle famiglie, alle imprese e alle pubbliche amministrazioni.
Entro la fine dell’anno sembra si arriverà a una versione definitiva dei parametri di Basilea 3. Mentre Draghi li vede di buon occhio, Tremonti pare esserne preoccupato. Lei cosa ne pensa?
È fondamentale dare presto certezza agli operatori e al mercato. L’accordo raggiunto nei giorni scorsi rappresenta sicuramente un passo positivo verso Basilea 3. Sono state introdotte delle modifiche importanti rispetto alle proposte iniziali che rendono il “pacchetto” meno recessivo di quanto si potesse temere all’inizio. Rimane però da capire a quali livelli verranno alla fine fissati i nuovi parametri patrimoniali. Ma la crisi non è stata causata solo da insufficienti dotazioni patrimoniali ma anche, e soprattutto, da eccesso di indebitamento (leverage), da eccesso di speculazione sulla liquidità (mismatching delle scadenze) ed eccesso di utilizzo di derivati su mercati non regolamentati (Otc). Non è ancora chiaro se e come Basilea affronterà questi problemi. Certamente non si percepisce la volontà di premiare da un punto di vista regolamentare le banche dell’economia reale e del credito rispetto a quelle del trading finanziario.
L’attuale contesto di tassi di interesse estremamente bassi si protrae da molti mesi e ha, in un certo senso, “distorto” il credito alle imprese e alle famiglie. Ritiene che questo scenario sia destinato a cambiare nel breve-medio periodo?
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Una delle forze peculiari del nostro Paese è che da noi non ci sono state bolle immobiliari, non abbiamo avuto la crisi dei mutui immobiliari residenziali. Da noi le regole non scritte sui margini di garanzia (loan to value) o sulla sostenibilità della rata rispetto al reddito del mutuatario sono state nel complesso rispettate e hanno contribuito a mantenere sotto controllo i livelli di indebitamento privato che sono alla base dell’accumularsi delle bolle. Il livello di indebitamento finanziario complessivo delle famiglie italiane, anche in considerazione della consistenza patrimoniale che vi sta a fronte, è sempre rimasto su livelli fisiologici e di eccellenza a livello mondiale, costituendo un punto di forza e non certo di debolezza per la solidità del nostro sistema Paese.
Negli ultimi mesi la situazione dei mercati finanziari ha convinto Intesa Sanpaolo a rimandare l’Ipo di Fideuram. La creazione di società di gestione del risparmio separate dalle banche può migliorare i servizi per i risparmiatori?
Nell’evoluzione dei modelli organizzativi delle banche italiane, l’attività di gestione del risparmio è svolta da tempo da società dedicate, maggiormente in grado di sviluppare le professionalità specifiche necessarie per tale attività e di evitare potenziali conflitti di interesse che possono crearsi all’interno delle grandi organizzazioni L’autonomia e la specializzazione costituiscono due elementi importanti per poter offrire alla clientela prodotti e servizi maggiormente in grado di soddisfarne le esigenze, che divengono sempre più sofisticate. Le nuove norme MIFID renderanno, inoltre, sempre più trasparenti i rapporti tra le società di gestione del risparmio, le reti di distribuzione dei loro prodotti e i risparmiatori.
Secondo un recente studio dell’Abi, le banche italiane sono tre volte meno esposte sull’estero rispetto alla media delle banche europee. Un dato che mostra quello che è probabilmente stato un punto di forza del nostro sistema nell’affrontare la crisi. Non può essere però un limite nel cercare di favorire l’internazionalizzazione del nostro sistema industriale?
Le banche giocano un ruolo fondamentale per sostenere i processi di internazionalizzazione delle imprese. La nostra presenza all’estero cerca di rispondere a esigenze di internazionalizzazione in alcuni importanti mercati di sbocco e di delocalizzazione del nostro sistema produttivo come di sviluppare in alcuni mercati fuori d’Italia le nostre competenze di banca commerciale e supporto delle comunità locali. In particolare, il nostro gruppo bancario opera attraverso banche universali controllate nei Paesi dell’Europa centro-orientale e del bacino del Mediterraneo. In altri paesi abbiamo società operative specializzate o filiali o uffici di rappresentanza. In tutto 44 paesi dove operano oltre 30.000 nostri collaboratori. Dove non arriviamo direttamente cerchiamo di assicurare supporto ai nostri clienti attraverso accordi con altre banche che operano localmente.
A causa dell’elevato debito pubblico e dell’esigenza di contenere il deficit, gli investimenti pubblici in infrastrutture hanno subito un forte rallentamento. Che ruolo può assumere il sistema bancario in questo settore?
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In Intesa Sanpaolo abbiamo costituito una banca specificatamente dedicata al finanziamento delle infrastrutture. Sul fronte della riduzione dei molteplici gap infrastrutturali che caratterizzano il nostro sistema Paese, dalle strade alle ferrovie, dalle infrastrutture energetiche come termovalorizzatori e rigassificatori alle reti innovative di telecomunicazione, credo che molto si possa fare. Le condizioni finanziarie per investire a lungo termine sono oggi favorevoli: basso costo del denaro e bassa inflazione. Il connubio fra rigore e spesa pubblica trova negli investimenti infrastrutturali quella sintesi in grado di rilanciare le crescita e l’occupazione sia nel breve che nel medio periodo.
Ci potrebbero essere problemi a livello di risorse? Potrà essere utile il project finance?
Le risorse sono scarse, ma possono essere trovate. Oltre alle risorse che potrebbero essere ricavate attraverso una rigorosa politica di contenimento della spesa corrente – e soprattutto degli sprechi – e di contrasto all’evasione, ci sono i tanti fondi pubblici stanziati e non ancora spesi e ciò vale anche per molti fondi comunitari, soprattutto al Sud. Molti progetti infrastrutturali si possono autofinanziare, anche attivando la finanza di progetto e mobilitando fondi privati. La collaborazione tra pubblico e privato può portare a grandi risultati. Il nodo centrale è la certezza dei tempi e del processo decisionale a tutti i livelli autorizzativi. È molto difficile strutturare operazioni di project finance quando i tempi possono dilatarsi a dismisura senza che nessuno se ne senta responsabile.
È ormai da diversi anni che lei partecipa al Meeting di Rimini. Cosa trova di particolare in questo evento? C’è qualcosa che la colpisce e che la spinge a tornare ogni volta?
Da parecchi anni partecipo con convinzione al Meeting perché sono invitato da amici che stimo e con i quali collaboriamo per tutto il corso dell’anno. È un evento che mi appassiona perché è profondamente aperto, perché sa combinare pensiero e azione, perche si parla di bene comune e si agisce per perseguirlo, perché sa sorprendere con temi mai scontati. E quest’anno non fa eccezione: bellissimo il richiamo ad avere il coraggio di immaginare e di realizzare grandi cose, grandissime cose, per noi stessi e per la società tutta, andando ben oltre i limiti e le prudenze della sola razionalità.