L’atto del dono è per sua natura volontario e privato, perché implica una relazione diretta o indiretta fra due persone; personale, in quanto deve rispecchiare i desideri e i bisogni di chi riceve; intenzionale, perché nel rapporto di dono è essenziale che la motivazione di chi dona sia di fare il bene di chi riceve o essere da questi ben accettato.
Non abbiamo informazioni sistematiche sulla dimensione della redistribuzione di risorse che avvengono in forma di dono, ma molti indizi ci suggeriscono che si tratta di una dimensione centrale della vita economica, sia per il suo valore economico che per i benefici sociali. Per quanto riguarda i beni mobili e immobili di valore disponiamo tuttavia di dati notarili ufficiali: il numero di abitazioni donate, che era di 48 mila unità nel 2000, nel 2006 era aumentato a 326 mila unità.
È plausibile supporre che questi dati rispecchino in larga misura donazioni di genitori ai propri figli che desiderino creare una famiglia, con un implicito accordo anziché conflitto fra generazioni: il problema è che non tutte le famiglie dei genitori dispongono delle risorse necessarie per aiutare i loro figli a possedere una casa, il che rappresenta, con il lavoro, uno dei vincoli maggiori per i giovani che desiderino una famiglia.
L’impossibilità di rispondere al bisogno dei giovani diventa così un freno anche per lo sviluppo economico del mercato, ed è ancora alla famiglia di origine che i giovani si rivolgono quando sono in serie difficoltà economiche, ricevendo dai genitori un sostegno in denaro, un dono, per il 70% dei casi. È quindi evidente l’importanza cruciale del dono nell’economia familiare e per il suo tramite nel promuovere il buon funzionamento dell’economia.
È altresì utile distinguere fra ciò che potremmo definire un “dono personale” da un “dono di mercato”, quali sono spesso i doni rituali che si ricevono in occasione di festività o ricorrenze: spesso si tratta di doni dal significato simbolico ma con un basso valore d’uso, che solo per caso coincide con le preferenze di chi riceve il dono. La conseguenza è uno spreco che è stato definito come “la perdita di benessere del Natale”.
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È tuttavia possibile trasformare i “doni di mercato” in “doni personali” quando vi sia un soggetto economico che operi da intermediario fra una disponibilità a “donare” nella consapevolezza che vi sono altre persone che hanno il bisogno di “ricevere” un aiuto materiale insieme a quello morale. È questa l’esperienza di successo del Banco Alimentare, di cui l’annuale “colletta” è simbolo tangibile di un’esperienza partecipata e coinvolgente.
Il dono è necessariamente privato perché implica un rapporto umano diretto fra due persone, anche quando sia mediato da ente intermedio, e non è quindi possibile che si stabilisca una relazione diretta fra lo Stato e un cittadino, se non rispettando le regole impersonali del procedimento burocratico. Lo Stato può invece promuovere quelle realtà intermedie che meglio possono favorire un rapporto diretto, viso-a-viso, fra due persone che si conoscono o desiderano conoscersi.
L’analisi dei problemi ambientali legati ai dilemmi della cosiddetta “proprietà comune”, come i mari, ha portato all’evoluzione di un nuovo approccio al funzionamento dei mercati, in cui diventano centrali le istituzioni che consentono ai soggetti economici di promuovere forme di auto-organizzazione basate sulla fiducia, il controllo reciproco, la libera scelta di sanzioni graduate, meccanismi di rapida risoluzione dei conflitti, distribuzione dei costi in proporzione ai benefici, imprese organizzate su livelli molteplici e nidificati, sistemi policentrici per governare la complessità: questa categoria di beni, centrale per il mondo del XXI secolo, rappresentano in realtà “doni” per la famiglia umana, che ne ha la custodia più che la proprietà.
Sono necessarie istituzioni che migliorino la capacità di custodire questi “doni collettivi” con la medesima cura dei beni di proprietà privata. Le comunità, dotate di senso civico, assolvono questo compito meglio di quanto avvenga da parti di entità statuali.
Il valore delle donazioni monetarie negli Stati Uniti è stato pari nel 2009 al 2,1% del Pil e la donazione media delle famiglie americane è stata di 1.940 dollari (includendo i non donatori): questo elevato ammontare di risorse è indirizzato a sostenere l’attività di 1,2 milioni organizzazioni caritative. Nonostante la crisi, la diminuzione delle donazioni nel 2009, rispetto al 2008, è stata contenuta al 3,6% ed è proprio nel corso di questa Grande Crisi che le famiglie Gates e Buffett hanno promosso un’iniziativa del tutto nuova, con la quale hanno invitato i miliardari americani a sottoscrivere un impegno a lasciare in eredità almeno il 50% del loro patrimonio: all’inizio di agosto del 2010 già 40 altri miliardari americani avevano aderito all’iniziativa denominata “The Giving Pledge”, cioè “La promessa solenne a donare”.
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L’impatto di questo impegno sarà senza dubbio rilevante sia sul piano economico, per la dimensione del patrimonio, sia sul piano culturale, perché porta in primo piano un’intenzionalità al bene che appare inconsueta nel mondo degli affari americano. Buffett si è impegnato a donare il 99% della sua società a fondazioni filantropiche che operino a favore di coloro che “per il gioco della sorte hanno ricevuto nella vita la pagliuzza più corta”, così come i coniugi Gates hanno già creato una loro fondazione dedicata a ridurre la mortalità infantile ed eliminare le barriere allo sviluppo umano e intellettuale dei minori perché, così affermano, “crediamo che ogni bambino meriti l’opportunità di crescere, sognare e fare grandi cose”.
Per quanto riguarda la situazione italiana, l’indagine campionaria più recente evidenzia un’ampia platea di donatori individuali, regolari o saltuari, per importi annui medi pari a 180 euro per quelli regolari e 48 euro per quelli saltuari: si tratta di una stima per difetto, perché esclude offerte, elemosine, contributi e il 5 per mille, ma nel confronto con il corrispondente contributo americano emerge implicitamente un ampio spazio di potenzialità e di ulteriore crescita.
Per quanto riguarda il mondo delle imprese non esiste un’indagine analoga a quella per gli individui, se non per un numero troppo limitato di imprese, ma vi è fondato motivo per ipotizzare che la crisi economica abbia ridotto la loro disponibilità di risorse a favore di iniziative sociali. Va sottolineato tuttavia come le motivazioni emerse per i grandi filantropi americani sono ben presenti anche nella tradizione culturale dell’imprenditoria italiana, alla quale si devono fornire opportunità ed esempi come quelli descritti per gli Stati Uniti.
A ciò si deve aggiungere che per rispondere alle attuali difficoltà economiche è fondamentale un genuino spirito di solidarietà e collaborazione: le donazioni seguono il ciclo economico, quando sarebbe invece opportuno che si muovessero in direzione opposta, soprattutto nell’attuale fase di incerta ripresa internazionale e un modello di sviluppo troppo legato a queste incertezze.
Come accade negli Stati Uniti, è cruciale che chi più ha beneficiato della fase di espansione dimostri ora lungimiranza e responsabilità nei confronti di chi, parafrasando Buffett, è rimasto con il cerino corto, acceso in mano, e rischia di essere vittima di un ingiusto danno.