Qualcuno di voi ha per caso notizie riguardo la Grecia, spina nel fianco dell’Ue che per settimane ha tenuto l’Europa con il fiato sospeso nel timore di un default e del conseguente contagio? L’ultima notizia, almeno ufficiale, è di quelle che in Inghilterra vengono definite “double-edged”: da un lato il Fmi ha dato luce verde al piano di risanamento messo in atto dal governo di Atene, sbloccando di fatto la seconda tranche di aiuti. Dall’altro, l’economia ellenica continua a contrarsi. E non di poco.
Stando a un report pubblicato pochi giorni fa da Hsbc, le banche greche, nei cinque mesi che hanno portato allo scorso mese di maggio, hanno perso l’8% dei loro depositi: «Il mercato ellenico non ha mai conosciuto, dai primi rilevamenti fatti nel 2001, una simile situazione», ha confermato l’analista bancaria, Joanna Telioudi.
Insomma, i greci ricchi hanno prelevato e fatto sparire all’estero i loro risparmi, mentre la Camera di Commercio avverte che molti dei suoi membri cominciano a fronteggiare seri problemi di liquidità. Per Simon Ward della Henderson Global Investors gli istituti greci stanno coprendo i loro gap di capitale attraverso prestiti della Bce, che nel mese di luglio hanno toccato il record di 96 miliardi di euro.
Il problema è quanto limite di collaterale viene posto in essere per accedere a quei prestiti: «Penso sia davvero al limite del possibile», sentenzia Ward, secondo cui «la cosa che deve far paura è che non sono solo gli istituti greci a ricorrere a questa pratica. Le banche portoghesi hanno preso in prestito 50 miliardi di euro nel mese di luglio, un netto aumento rispetto ai 41,5 miliardi di giugno. Questi due paesi, insieme a Spagna e Irlanda, in totale hanno prestiti in atto con la Bce per 387 miliardi di euro».
Per Oli Rehn, commissario economico della Ue, la Grecia «ha raggiunto un impressionante consolidamento del budget e dato via a una rapida riforma strutturale», anche se «rimangono rischi legati al crollo delle entrate fiscali, scese del 16% rispetto agli obiettivi per l’anno in corso». Ma, soprattutto, il via libera di Bruxelles al piano greco non ha garantito la sperata boccata di ossigeno ai bonds di Atene, il cui spread sui decennali del debito è salito a 835 punti base rispetto alla controparte tedesca.
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Vengono trattati, di fatto, ai livelli di emergenza di inizio maggio, prima che Ue e Fmi lanciassero il piano di emergenza. Per Stephen Lewis della Monument Securities, «gli investitori hanno seri dubbi sulla percorribilità del piano Ue-Fmi senza una seria ristrutturazione del debito e la svalutazione, cura classica del Fondo Monetario internazionale per nazioni nelle condizioni della Grecia. Inoltre, anche se il governo dovesse portare pedissequamente a termine il proprio piano, i documenti del Fmi dimostrano chiaramente che il debito pubblico salirà al 150% del Pil nei prossimi tre anni.
Per Lewis, «i mercati sospettano che la Grecia presto o tardi dovrà ristrutturare il suo debito e i detentori di bonds saranno i veri sconfitti. L’idea generale è che la permanenza stessa della Grecia nell’area euro non sia più percorribile e gestibile a livello economico, questo poiché la nazione non ha sufficiente libertà di azione per poter uscire dalla crisi».
Insomma, servirebbe svalutare ma non si può. Ian Stannard, analista monetario presso Bnp Paribas, lancia un ulteriore allarme: «Gli investitori sono stati spaventati dall’annunciato spagnolo di un ammorbidimento del piano di austerity che si sostanzierà nello stanziamento di 500 miliardi di euro per nuovi progetto stradali e ferroviari. La paura è che se la Spagna cederà alle lusinghe della spesa pubblica altrettanto farà la Grecia. Ci sono segnali di allarme sui radar dei mercati europei».
Il problema è che Atene, in autunno, sarà veramente tentata di allentare i cordoni della borsa per evitare una sorta di guerra civile. Lo conferma Der Spiegel, che in un articolo intitolato “Entering a Death Spiral”, ricorda come i rischi di instabilità politica in Grecia rischiano di essere più seri della situazione economica in sé, con una nazione alle soglie della rivolta popolare visto che nelle zone maggiormente depresse la disoccupazione ha ormai raggiunto picchi del 70%.
L’economia greca si è contratta dell’1,5% nel secondo trimestre, anche a causa dei continui scioperi nei trasporti che hanno fatto crollare le entrate legate al turismo del 16% in giugno. Un report riservato e informale del Fmi conferma ciò che molti analisti ripetono da tempo inascoltati: la Grecia ha già oltrepassato il punto di non ritorno con le sue dinamiche di debito. È, insomma, già in default.
Per Willem Buiter, capo economista a Citigroup, resta da chiarire come il debitore dell’eurozona possa riprendersi al fronte di una contrazione fiscale: «I problemi reali, quelli sottotraccia, dell’Ue non sono stati affatto risolti. I timori di medio termine sulla qualità del credito sovrano in nazioni periferiche quasi certamente riemergeranno nei prossimi mesi».
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Chris Pryce di Fitch Ratings conferma senza tanti giri di parole che la Grecia è sull’orlo dello status di junk, spazzatura: «Mi aspetto che l’economia si contrarrà tra il 4,5% e il 5% quest’anno, molto peggio rispetto alle previsioni degli analisti. Al momento è gestibile ma occorre capire quale sarà il tenore del declino, se questo ci sarà, l’anno prossimo e la gestione del deficit: la Grecia, in quel caso, potrà accettare e sopportare ulteriore austerity? Ora quasi tutti sono in vacanza ma quando torneranno dovranno affrontare la miseria del loro nuovo mondo in autunno. A quel punto vedremo».
I cds sul debito sovrano greco sono a quota 841 punti base, quattro volte quelli del disastrato Portogallo: certo, l’hedging ha un ruolo pesante – come dar torto a chi si difende dai rischi di default – ma il significato reale di questo dato, come di quello dello spread dei bonds sul benchmark tedesco, è che i mercati non credono alla percorribilità del piano Ue-Fmi e del risanamento all’irlandese.
Anche in questo caso, difficile dar loro torto. C’è terribile instabilità e nervosismo sui mercati in questa fine di estate, segnale che i timori per l’autunno si fanno sentire: il 20 agosto l’indice S&P 500 di Wall Street ha conosciuto un volume decisamente inusuale di scambi, con enormi dislivelli tra le azioni trattate al 50% in meno del loro valore medio e titoli trattati al 40%: è un bruttissimo segnale, il secondo in due settimane. Si sentono gli echi sinistri dell’Hindenburg Omen: di cosa si tratti, ne parleremo giovedì.