La crisi finanziaria globale ha messo in evidenza come del cuore, cioè di una spinta che vada oltre la mera valutazione economico-finanziaria, noi non potremmo fare a meno. E una spinta del genere significa, in particolare, valutazione degli interessi collettivi della comunità in cui operano la banca, l’intermediario finanziario, l’impresa assicurativa. Considerazione attenta, dunque, dell’operare anche con una prospettiva di redditività differita.
Occorre slancio, non certo azzardo morale, nel valutare la possibile evoluzione di quei progetti che, come una volta ebbe a dire Emma Marcegaglia, “stanno in piedi”, anche se non sono assistiti da garanzie che potrebbero essere opportune e, tanto meno, da garanzie immobiliari. Gli effetti della crisi hanno messo in evidenza come sia importante che il banchiere sostenga le operazioni meritevoli anche quando i dati non sono a favore dell’impresa da affidare. Ciò che è avvenuto in questi ultimi tre anni si avvicina a un passaggio d’epoca.
Dai mutui americani subprime il contagio, nella finanza, si è facilmente propagato, attraverso la via dell’impacchettamento dei titoli emessi dagli intermediari finanziari, che passano di mano in mano dei diversi sottoscrittori, fino alla costruzione di derivati di derivati diffusi in tutto il mondo. È stato il modo per trasferire i rischi.
La banca ha trasformato la sua natura. Non più intermediario che raccoglie risparmio e si assume il rischio del suo impiego, ma soggetto che innanzitutto trasferisce i rischi dell’impiego del risparmio ad altri soggetti. Hanno reso possibile ciò una politica monetaria negli Usa lungamente espansiva e carenze nella regolamentazione bancaria e finanziaria, nonché nell’azione di vigilanza.
Tuttavia non può trascurarsi che, alla base delle cause della tempesta finanziaria ed economica sia una distorsione profonda dei valori ai quali guardano parti delle società in varie aree del globo, finendo con il porre in primo piano l’arricchimento facile e la prevalenza dell’avere sull’essere. Dunque, c’è una esigenza del ritorno ai valori veri, della riaffermazione della coesione sociale, del ruolo del volontariato, del dono, della capacità di agire in una logica di sussidiarietà e di ricostituire le relazioni nelle comunità, nel territorio.
Il tema della definizione delle nuove regole e delle attività economiche e finanziarie dopo la fase più virulenta della crisi è ancora all’ordine del giorno. Occorre accelerare il percorso soprattutto in Europa. Tarda la definizione di una efficace nuova architettura della vigilanza nell’Unione. Si constata quanto sia difficile il percorso per introdurre nuove regole e principi nella finanza globale. Nonostante le elaborazioni del Financial Stability Board, i progressi finora segnati a livello internazionale non sono rilevanti. Del tutto abbandonata sembra l’ipotesi di una riforma del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale.
Una rivisitazione cruciale, dal momento che è essenziale, per un nuovo ordine monetario, un organo che sovraintenda alla liquidità internazionale: una sorta di banca centrale globale. L’adozione di nuove regole in materie come la supervisione degli organi di controllo, gli effetti di contagio ed i rischi sistemici, i derivati, gli hedge fund e le agenzie di rating non è più procrastinabile. Il sistema finanziario deve essere, nel contesto economico, un fattore di efficienza e di sostegno dello sviluppo.
Dovrà avere più capitale, meno debiti, minore esposizione di rischi, per potere svolgere la sua elettiva funzione ed essere capace di una sintesi nuova tra interessi aziendali e interessi generali. Oggi, in Italia, da un lato, bisogna riequilibrare la finanza pubblica, dall’altro, è fondamentale attivare una crescita maggiore di quella prevista, pur comparativamente da non sottovalutare, dell’1% nel 2010 e nel 2011.
Muove in una corretta direzione la manovra finanziaria approvata dal Governo a fine luglio. L’attuazione del federalismo fiscale, in una logica di cooperazione e solidarietà nazionale, accentua l’esigenza di un protagonismo delle forze sociali ed economiche del territorio. Sarà fondamentale affrontare le riforme di struttura, reagire al calo demografico, contrastare quel vero e proprio bradisismo economico che ci caratterizza da un quindicennio per il quale avanziamo sempre della metà rispetto ai nostri concorrenti. Nel versante dell’Unione Europea, è fondamentale dare avvio alla costruzione di un governo economico, per la quale non è sufficiente la pur importante revisione della struttura e dei contenuti del Patto di stabilità e di crescita.
Nel frattempo, occorrono scelte concrete, che facciano avvertire effettivamente l’essenzialità del ruolo dell’Unione, quale potrebbe essere un programma di emissione di titoli europei per finanziare un piano comunitario di sviluppo nelle infrastrutture e nella ricerca. All’interno, e in coerenza con gli indirizzi europei, come accennato, è cruciale rialimentare la crescita. Gli ammortizzatori hanno svolto un ruolo importante. Ma occorre ora guardare alla prospettiva, in maggiore lontananza.
Una nuova regolamentazione dei rapporti di lavoro, un nuovo statuto (non dei lavoratori) ma dei lavori, che privilegi il momento della partecipazione di chi lavora al processo produttivo aziendale prevedendo un più efficace aggancio dei salari alla produttività senza superare alcune garanzie di carattere nazionale, potrebbe essere la via da seguire secondo un modello di nuova, diversa, concertazione. Un piano per il lavoro fatto di nuovi strumenti e di nuove impostazioni potrebbe essere la risposta che valorizzi il merito, assicuri parità dei punti di partenza, dia una prospettiva ai giovani e alle famiglie.
E a tal fine si pone l’urgenza di sostenere la ricerca e l’innovazione con un maggiore concorso pubblico-privato. Vanno sperimentate forme articolate di partecipazione ai risultati aziendali. La cruciale questione lavoro passa per la necessaria apertura di una stagione di riforme di cui il Paese ha grande bisogno. Dobbiamo lavorare per una crescita maggiore. Fondamentali sono la produttività e la competitività. Esigono innovazioni a livello aziendale e di sistema. Diversamente, ogni sostegno pubblico sarebbe vano.
Condotta positivamente dal Governo l’azione di contrasto della crisi, ora siamo chiamati tutti – esecutivo, Parlamento, istituzioni, in genere parti sociali – a una fase di impegno e di costruzione del futuro. Spetta alla politica, nelle sue espressioni rappresentative, individuare, con le sue scelte istituzionali, la via più idonea per corrispondere a queste esigenze, per rafforzare l’incerta ripresa, in un momento assai delicato, nel quale ritornano segnali di difficoltà in campo internazionale e, all’interno, il “Tesoro” si appresta a ricorrere a mercato per una cospicua raccolta di fondi in questa parte finale dell’anno.
Un ruolo rilevante spetta al mondo del credito e della finanza. Dobbiamo operare con decisione per migliorare l’immagine e, in generale, il rapporto con la clientela, imprese e famiglie. Il settore del no-profit è chiamato, anche esso, a fare la sua parte. Si parla, oggi, di nuova filantropia. È un orizzonte che, di pari passo con il necessario riequilibrio della finanza pubblica e con l’evoluzione di settori come quello dell’istruzione è della ricerca, dovrebbe mobilitare le intelligenze e la capacità di antivedere del legislatore, del Governo, dell’iniziativa privata.
In un momento nel quale si manifestano anche correnti di pensiero relativistiche e scettiche, desiderare, con Camus, l’impossibile forse può apparire fuori dai tempi. E tuttavia dobbiamo proporci obiettivi più ambiziosi, capaci di una nuova sintesi tra la vita e gli interessi dei singoli e la vita della comunità di cui si è parte, per una vita, insomma, degna di essere vissuta, nella quale non vengano meno gli ideali. Nella crisi c’è un “cairòs”, un’opportunità che dobbiamo cogliere.