Sembra una metafora dell’impasse politica nazionale, la vicenda di Telecom Italia. Lo sembra, in effetti, anche perché in buona parte ne risente.

Oggi l’azienda incontrerà governo e sindacati per un nuovo “round” sulla trattativa che ha aperto sui 3.700 licenziamenti annunciati e congelati. È ben difficile che un governo dimezzato come l’attuale, impotente nella spesa a causa dei vincoli europei e delegittimato nella forza parlamentare dallo “scisma” di Fini possa rappresentare per Telecom da una parte un interlocutore autorevole nell’imporre eventuali scelte non condivise – per esempio in materia di investimenti nella fibra ottica – e dall’altra un interlocutore affidabile per garantire sostegni, agevolazioni anche solo normative o comunque tutto quanto un grande gruppo può sperare da un governo alla vigilia di una fase di metamorfosi.



Lo stallo dell’azienda non è però sensibile solo sul fronte sindacale, bensì anche su quello industriale. Le idee di Franco Bernabè sono chiare, indubbiamente, e hanno finora avuto una loro conseguenzialità.

Ma il fatto che il governo abbia prestato ascolto alle proposte-proteste dei concorrenti di Telecom sulla rete fissa e sulla sua ristrutturazione in fibra ottica, cioè al gruppo costituito da Vodafone, Wind, Fastweb e Tiscali, aprendo un secondo tavolo di trattative senza però avere la forza finanziaria per sparigliare i giochi (perché il governo non ha un euro da investire sulla fibra), né la forza politicale per costringere una parte o l’altra a cedere e a convergere sulle posizioni dei rivali, si traduce in un’impasse anche su questo fronte.



Imbarazzante come anche nelle sedi pubbliche potenzialmente più appropriate, come la carrellata di convegni di Cortina InConTra a Cortina d’Ampezzo, in un convegno sugli investimenti in infrastrutture né il ministro competente Altero Matteoli, né il suo vice Roberto Castelli, pur citando a gogò autostrade, ponti e alta velocità, non abbiamo fatto minimamente menzione della eventuale nuova rete in fibra ottica, cui secondo gli auspici dei concorrenti di Telecom dovrebbe partecipare la Cassa depositi e prestiti, né l’abbia fatto il presidente della Commissione Trasporti e Infrastrutture della Camera Mario Valducci. Come dire: un assordante, eloquente silenzio.



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Una schiarita – fosse anche solo psicologica – potrebbe venire dai risultati della semestrale, che verranno approvati dal consiglio d’amministrazione del 5 agosto prossimo: ma non è dato sapere nulla sul trend, anche se alcuni risultati degli operatori confrontabili come France Telecom fanno ben sperare e se la controllata Telecom Italia Media, che possiede La7, ha annunciato nei suoi conti un superamento del budget e una netta riduzione delle perdite.

 

Niente di chiaro neanche nelle relazioni internazionali del gruppo, stretto tra l’ingombrante maggior singolo azionista, che è la spagnola Telefonica, e l’impossibilità di creare con essa maggiori sinergie senza un contemporaneo chiarimento sul piano societario. Qualcosa di utile insieme i due gruppi già la fanno, ma niente di risolutivo per nessuno.

 

Telefonica ha appena rilevato da Portugal Telecom l’operatore telefonico brasiliano Vivo, un concorrente di Brasil Telecom, che è controllata da Telecom Italia, ma questa nuova mossa, pur apparentemente fuori da qualsiasi coerenza d’azione, non dovrebbe sortire ripercussioni di sorta sulle vicende italiane: né integrazioni ravvicinate, né divorzi, dunque, anche se la possibilità di un’integrazione tra Telecom Italia e Telefonica resta in tempi medio-lunghi una possibile evoluzione realistica.

 

Insomma, proprio come per il governo, si profila per Telecom Italia un’estate tranquilla, per non dire soporosa. L’ordinaria amministrazione procede bene, e questo è già qualcosa. Tutte le beghe – e sono tante – verranno rinviate a settembre.