Governo a pezzi, premier e presidente della Camera allo scontro frontale, rischio di instabilità e soprattutto di possibile ammutinamento in sede di voto dei nuovi gruppi finiani nei due rami del Parlamento. Il rischio che il governo arrivi al capolinea c’è tutto, con l’interrogativo sul da farsi dopo: governo tecnico, di transizione o ritorno alle urne. Basta e avanza per turbare i mercati. Che, infatti, si sfregano le mani in attesa di settembre.
Ma non serviva lo showdown, con botta e risposta tra il Cavaliere e Gianfranco Fini, per far agitare traders e speculatori. Non è infatti da tre giorni ma da qualche settimana che l’Italia è finita nel mirino molto speciale della speculazione internazionale, fatto testimoniato dal report al vetriolo elaborato da Roger Bootle di Capital Economics che definisce il Belpaese «una minaccia insita all’eurozona» che abbiamo pubblicato quasi un mese fa.
Meglio dare una rinfrescatina ai contenuti, alla luce di quanto accaduto da quattro giorni a questa parte. Per Bootle, «la perenne debole crescita e la montagna di debito governativo hanno trasformato le finanze pubbliche italiane in una bomba a orologeria ticchettante che sta aspettando di esplodere». Nonostante il focus dei mercati sia stato indirizzato finora verso Grecia, Spagna e Portogallo, per Bootle «l’Italia potrebbe essere presto il fronte e il centro della vicenda riguardante il debito sovrano nell’Ue. Pensiamo infatti che il volume dei debiti governativi inciterà i mercati a volgere il proprio sguardo verso l’Italia e l’ipotesi di un default è possibile».
E, attenzione, Capital Economics non è l’ultima arrivata, se lancia warning simili c’è un motivo. Per Bootle, «se un altro Stato dell’eurozona sarà obbligato a ristrutturare il proprio debito, l’Italia difficilmente potrebbe non seguirlo (e le voci di queste ore di un taglio del rating spagnolo da parte di Moody’s parlano questa lingua, ndr). Se la pressione sostenuta dei mercati e una prolungata prova di bassa crescita colpirà uno o più paesi periferici dell’eurozona obbligandoli al default e all’uscita dalla moneta unica, allora l’Italia sarà costretta a fare lo stesso.
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Fin dagli anni Settanta, i governi italiani che si sono succeduti hanno vissuto ben oltre i propri mezzi e il debito pubblico è salito a circa il 115% del Pil, in linea con la ratio greca. E da quando è entrata nell’euro, l’Italia ha perso in competitività: pensiamo che per recuperare il gap creatosi negli anni servirà almeno un decennio di salari stagnanti o in calo. L’unica possibilità dell’Italia di riportare la ratio debito/Pil sotto il 100% sarebbe arrivare a surplus di budget del 5% in quindici anni.
Se i mercati giungeranno alla certezza dell’incapacità da parte del governo di dar vita a una simile operazione, allora l’Italia potrebbe cadere nella cosiddetta “trappola del debito”. In uno scenario simile, i costi crescenti per ottenere credito porteranno a una crescita molto rapida della ratio debito/Pil, lasciando il paese e chi lo governo con l’unica opzione del default. Se accadrà tutto questo, ovvero il governo andrà in default sui suoi debiti e gli investitori saranno obbligati a una ampio haircut, all’incirca del 50%, questo porterà al collasso del capitale tier one dell’80% delle banche italiane, causando un tempesta nel mercato finanziario interno».
Stando ai calcoli di Bootle, il rischio di perdita per gli investitori esteri in Italia è di circa 400 miliardi di euro: «L’incertezza riguardo quali banche sarebbero maggiormente colpite da uno scenario simile porterà con sé una contrazione del mercato interbancario e potrebbe innescare una nuova, profonda recessione». Nero su bianco, direttamente dalla City e con ampia diffusione su siti specializzati come Cnbc e Bloomberg. Evviva, quindi.
Attualmente, stando alla rilevazione pubblicata nel weekend proprio da Cnbc, il cds sul debito sovrano italiano a 5 anni è a 138 punti base, risultato di un aumento minimo dell’1,47% a fronte di quello greco salito del 4,47%, di quello portoghese al +4,62% e più o meno pari a quello spagnolo, +1,55%. Nulla a che vedere con il picco record registrato in fase di dibattito della manovra economica, visto che il 1° giugno il nostro cds sul debito sovrano toccò i 239 punti base con un aumento di 33 punti base, almeno stando alle rilevazioni ufficiali di CMA DataVision.
Il problema è che si sa che la danza macabra dei cds può partire da un momento all’altro e schizzare in maniera siderale, se le condizioni di incertezza gettano tensione sui mercati: a settembre il rischio che questo accada è decisamente alto, anche perché nonostante si continui a negare l’evidenza, entro fine anno sarà necessaria una manovra correttiva e questo potrebbe innescare nuovamente tensioni politiche sull’entità dei conti e nervosismo sui mercati rispetto alla stabilità del paese. Se poi si arrivasse alla sciagurata decisione delle urne anticipate, prepariamoci a un effetto greco sui nostri cds: anche perché, al netto delle coalizioni che si creeranno, sarà forte la tentazione per il PdL di allargare i cordoni della borsa per captare consensi.
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Sarebbe il disastro, anche perché da qui alla fine dell’anno resta da collocare il 35% del totale dei bond sul mercato: ad oggi siamo a quota 315 miliardi in sette mesi ma restano aste per oltre 150 miliardi da qui al 31 dicembre e una brusca frenata della crescita, avvertono molti traders, avrebbe riflessi pessimi su deficit/Pil, su debito/Pil e sui piani di risanamento dei conti pubblici imposti nell’eurozona. Compromettendo di fatto il lento processo di rassicurazione dei mercati partito con il salvataggio greco e proseguito artificialmente dopo la pubblicazione dei risultati degli stress tests: unite a uno stop del Club Med la tensione interna, una guida monca dell’economia e della gestione della crisi e capite da soli a cosa rischiamo di andare incontro se la china politica resterà questa.
Come se questo non bastasse, come ammonivamo la scorsa settimana, le autorità monetarie e i responsabili della politica economica hanno totalmente ignorato il rischio inflattivo, con un crescita del tasso che in Italia nell’ultimo mese ha registrato un +1,7%. Miopia continua e generale. Se a questo uniamo il fatto che un profeta di sventura come Alan Greenspan nel weekend ha detto chiaramente che la lente ripresa economica Usa è ormai una sorta di “quasi-recessione” e che l’economia potrebbe contrarsi ancora se i prezzi degli immobili scenderanno ancora, allora il quadro della ripresa globale si fa davvero fosco.
E, si sa, nessun uomo è un’isola. Tanto più che la crescita manufatturiera cinese ha subito il peggior rallentamento da diciassette mesi a questa parte, sintomo che il Dragone potrebbe non essere il motore della ripresa mondiale come molti ottimisti preannunciavano. A quel punto servirà davvero un mago per scoprire quale sarà il traino a cui agganciarsi. Anche perché, quadro macro a parte, gli ultimi quattro mesi di quest’anno saranno decisivi anche per un’altra ragione: ovvero, i veri stress tests per le banche dei paesi europei più indebitati.
Le quali, infatti, dovranno rifinanziare 122 miliardi di dollari di bond con il forte rischio di dover pagare interessi più alti. Il debito di Intesa SanPaolo è a quota 28 miliardi di dollari, Unicredit 21 mentre il totale degli istituti italiani deve rifinanziarie 69 miliardi di dollari quest’anno e 157 nel 2011, stando a dati compilati da Bloomberg.
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Il conto delle banche spagnole, invece, è di 28 miliardi quest’anno e 73 il prossimo. Evviva! Banco Santander, la più grande banca spagnola con 18,5 miliardi di dollari di bond a maturazione quest’anno e circa 30 nel 2011, il 29 luglio ha pagato un margine del 50% più alto rispetto a quando ha venduto il suo debito a febbraio: «Ci sono ancora nuvole nere che gravano sui mercati», ha dichiarato Peter Chatwell, analista strategico di Credit Agricole CIB a Londra.
I 24 istituti portoghesi, italiani, irlandesi, greci e spagnoli presenti nel benchmark Stoxx 600 Banks Index devono rifinanziare 271 miliardi di dollari di debito il prossimo anno e 230 nel 2012, sempre stando alle analisi di Bloomberg. Nonostante questo, il Markit iTraxx Financial Index dei cds delle 25 principali banche e assicurazioni è sceso di 4 punti base a quota 110,5, stando a quanto riportato da JP Morgan Chase&Co. a Londra: il perché è semplice, le banche in qualche modo quel debito lo ripagheranno. Con aiuti di Stato e comunitari o ulteriore indebitamento a costo ancora più alto, il prezzo tanto lo pagheranno i correntisti.
In Gran Bretagna il ministro delle Finanze, George Osborne, ha ordinato agli istituti di riaprire i rubinetti del credito alle persone e alle piccole e medie imprese: qui, in questo giorni di bailamme politico, non sappiamo più nemmeno se abbiamo un ministro delle Finanze. Sparito. O, forse, troppo impegnato a studiare da primo ministro di transizione. Forse, Silvio Berlusconi ha decisamente guardato il dito e non la luna, scambiando amici e nemici.